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sabato 12 luglio 2014

"Una guerra finita, ma una pace ancora lontana". Intervista a Emmanuel Pesi sul suo saggio




Intervista di Nazareno Giusti
LUCCA, 12 luglio - Fino a poco tempo fa, quella del profondo dopo guerra a Lucca e provincia era una storia ancora tutta da scrivere. Ora questa lacuna è stata colmata grazie a un'intelligente e approfondito saggio dello storico e ricercatore Emmanuel Pesi ed edito da Maria Pacini Fazzi: "Dalla guerra alla democrazia". Il libro, uscito e presentato lo scorso anno, parte dagli ultimi mesi della fine della seconda guerra mondiale per affrontare e ricostruire i gravi problemi in cui versava tutto il territorio lucchese sino alle libere elezioni. Abbiamo ritenuto giusto proporre ai nostri lettori un seppur breve viaggio in quei fondamentali mesi, intervistando l'autore, fornendo le basi per una conoscenza che potrà essere approfondita con il saggio che tanti consensi ha ricevuto.
Il suo lavoro è frutto di anni di ricerca. Quando ha cominciato? 
“Ho iniziato le ricerche negli archivi fin dagli anni del dottorato a Scienze Politiche tra il 2006 e il 2009, poi le ho approfondite soprattutto nel corso del 2010, quando ho potuto usufruire di una borsa di studio universitaria finanziata dalla Fondazione Banca del Monte di Lucca”. 

Perché ha scelto  di trattare un così particolare tema?
“L’idea di esplorare il periodo della seconda guerra mondiale e quello della ricostruzione in provincia di Lucca è nata per due motivi: in primo luogo, perché credo che sia importante indagare l’origine della nostra democrazia, ancor più in un momento di crisi come quello attuale. Poi perché volevo parlare al cuore della mia città e riconsegnare alla comunità lucchese storie ed esperienze umane non ancora indagate dalla ricerca scientifica e quasi perdute nella memoria. In altre parole, volevo risciacquare i panni delle interpretazioni storiche generali in una concreta realtà locale e, allo stesso tempo, inserire la storia della Provincia di Lucca in un più ampio contesto nazionale. Spero di esserci riuscito…”

Per quanto tempo si sono svolte le ricerche? 
“Questa ricerca è stata lunga perché ho dovuto lavorare su fonti frammentate e disperse in una pluralità di archivi e di organi di stampa”. 

Dove si sono svolte le ricerche?
“Particolarmente preziosi sono stati gli archivi comunali di Lucca e Capannori, l’archivio di Stato di Lucca, l’archivio diocesano di Lucca, quello dell’istituto storico della resistenza di Firenze, oltreché l’archivio centrale dello Stato a Roma. Poi, una volta terminato il testo, c’è stata la possibilità di inserire le immagini, veramente belle, dell’Archivio Fotografico Lucchese. Purtroppo c’è voluto più tempo del previsto, perché, diciamo, che la precarietà non aiuta la ricerca scientifica…”

Il libro, come anche lei ha ammesso, è la continuazione di un suo precedente testo...
“Sì, ho potuto dare continuità al libro “Resistenze civili”, anch’esso pubblicato con Maria Pacini Fazzi, che racconta la storia della Chiesa e della popolazione civile lucchese durante il conflitto e analizza le forme di resistenza civile al fascismo e all’occupazione tedesca. Sono due libri autonomi e distinti, ma pensati insieme. Il prossimo settembre ricorre il 70° anniversario della liberazione di Lucca e credo che questi due libri consentano a chi li legge di immergersi nella realtà di quel profondo dopoguerra e magari di passeggere per la città e guardare con occhi diversi i luoghi ricordati nei libri”.

Bene, cerchiamo di ripercorrere, seppur brevemente, per i nostri lettori, questa storia partendo dall'inizio, da una data: 5 settembre 1944. Cosa successe in quel giorno?
“Lucca fu liberata ad opera di partigiani e Alleati. Due cose meritano di essere ricordate. I partigiani che avvertirono gli Alleati che Lucca era già nelle loro mani e che non era necessario bombardarla, evitando così gravi danni al patrimonio artistico della città.  E che la liberazione non fu un passaggio indolore. Negli scontri con i tedeschi, infatti, furono numerose le vittime fra i partigiani e fra la popolazione civile”. 

Quale fu la situazione, nei giorni successivi, a Lucca e provincia?
“La guerra era finita, ma la pace era ancora lontana. Sembra un gioco di parole, ma non lo è. Dopo la liberazione, la sopravvivenza restò a lungo la principale preoccupazione. La vita della maggior parte della popolazione era segnata dalle perdite materiali e morali provocate dalla guerra, dalla fame, dal caro vita, dalla disoccupazione, dalla ricerca dei propri cari ancora dispersi e poi dal reinserimento dei reduci civili e militari”.

Da un punto di vista politico-amministrativo cosa successe in città durante quei mesi?
“Successe che la classe dirigente che aveva diretto il movimento di resistenza a Lucca assunse la guida di enti e amministrazioni locali e cerca di risolvere i difficili problemi di questo profondo dopoguerra. Ricordo solo alcuni nomi: Giovanni Carignani, uno dei pochi casi nell’Italia centrale in cui gli Alleati nominano un Prefetto su indicazione del Comitato di Liberazione locale, Gino Baldassari, Giulio Mandoli e Italo Baccelli che assunsero rispettivamente la guida dei Comuni di Lucca e di Capannori e dell’Amministrazione Provinciale, Ferdinando Martini, che svolse un ruolo cruciale alla guida dell’Ente Comunale di Assistenza, e infine i tre dirigenti sindacali che ricostruirono il libero sindacato, Cesare Angelini, Mario Frezza e Vannuccio Vanni. Furono uomini di tutte le tendenze politiche che si meritarono la fiducia degli Alleati e dimostrarono, cosa non affatto scontata, che i lucchesi, come gli italiani in generale, erano legittimati ad autogovernarsi e d erano in grado di costruire istituzioni democratiche: il più importante lascito del movimento di resistenza”. 

Per tutta l'Italia, e non solo, quello del  1945 fu un “inverno terribile”. Quali furono i maggiori problemi in provincia?
“I principali bisogni della popolazione furono l’alimentazione, la casa, il lavoro, la ricerca di notizie dei propri congiunti ancora lontani o l’assistenza all’infanzia e alle vittime della guerra. Questi bisogni sono questioni centrali della vita politica, perché costituiscono il banco di prova della credibilità dei partiti e delle nuove istituzioni democratiche. Le faccio un solo esempio: secondo un rapporto sul costo della vita, nel gennaio del 1945 le spese mensili necessarie per il sostentamento di una famiglia media della provincia di Lucca, composta da marito, moglie e tre figli minorenni, ammontavano a 14.060 lire, di cui circa 9.200 lire solo per l’alimentazione, mentre un operaio ed un impiegato avevano un reddito mensile in media di 3.625 lire al mese, sufficiente per appena un quarto di tutte le spese. Un rapporto tra redditi e costo della vita che, com’era scritto nello stesso rapporto è così evidente, che non ha bisogno di commenti”.

Furono tanti i danni di guerra? 
“In Lucchesia i danni ci furono anche più di quanto comunemente si pensi”. 

Cioè?
“Furono colpite soprattutto le infrastrutture, strade, ponti, ferrovie, l’acquedotto, ecc. Penso alla ferrovia Lucca-Pontedera, che fu bombardata e non è più stata ricostruita. Tuttavia le zone più colpite dai bombardamenti aerei e dalle distruzioni operate dai tedeschi furono la Versilia e la Garfagnana. A Viareggio, per esempio, erano distrutti o inabitabili 2.600 fabbricati, pari al 40% dei 6.490 fabbricati civili e urbani preesistenti. Ma la guerra non lascia solo danni materiali. Nel libro provo a descrivere quella che lo storico Silvio Lanaro chiama “la perdita di beni immateriali o comunque di ricchezze simboliche, affettive, spirituali”, che è elevatissima e che deriva dal pieno coinvolgimento della popolazione civile in una pluralità di esperienze belliche”. 

In provincia e a Lucca continuarono a perire vittime civili, anche dopo la fine della guerra. Come mai?
“La principale caratteristica della seconda guerra mondiale, specie nei territori occupati dai tedeschi, è quella di affievolire fino quasi a dissolvere la tradizionale distinzione tra combattenti e non combattenti. La nostra Provincia è stata segnata da numerose violenze contro la popolazione civile, che raggiungono l’apice il 12 agosto 1944 con la premeditata strage di civili inermi a Sant'Anna di Stazzema. Quello che ho cercato di sottolineare è che anche dopo la Liberazione la guerra continua a mietere vittime fra la popolazione civile. Mi riferisco al fenomeno, quasi perduto nella nostra memoria collettiva, dei civili che muoiono per lo scoppio di mine o di ordigni inesplosi. È un numero impressionante. In tutta la Provincia solo dal settembre 1944 fino al settembre 1945 muoiono per lo scoppio di mine 75 persone, 36 rimangono ferite ed altre 37 mutilate. E molte delle vittime sono minorenni. Una vera e propria strage dopo la guerra. Senza contare gli sminatori militari e civili che muoiono per bonificare il nostro territorio”.
Fonte: http://www.loschermo.it/articoli/view/63451


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