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giovedì 27 agosto 2015

Quei semi velenosi che aiutano a non dimenticare


di Lia Celi
Sulla vendemmia 2015, che si profila ottima, dobbiamo ancora toccare ferro.
In compenso si può già parlare di anno d'oro per un'altra eccellenza della terra italiana: gli ordigni bellici risalenti alla Seconda Guerra mondiale.
Da Massa a Cosenza, da Verona a Orte, da Orvieto a Brindisi, quest'estate il Genio Artificieri e Guastatori ha sgobbato più di una squadra di raccoglitori di olive per disinnescare bombe sù e giù per la penisola, con conseguenti evacuazioni (a volte per migliaia e migliaia di persone: 13.500 i veronesi costretti a lasciare le case nel giugno scorso), blocchi stradali e disagi assortiti.
7 MILA ORDIGNI DISTRUTTI IN UN ANNO. L'ultimo episodio il 26 agosto, quando, per far brillare una bomba di 220 kg riemersa fra Orte e Attigliano, è stato chiuso un tratto dell'Autostrada del Sole, tagliando in due l'Italia come ai tempi della linea gotica.
L'ordigno è stato fatto brillare in un luogo sicuro, come gli altri 7 mila recuperati e distrutti dall'esercito solo nell'ultimo anno; otto al giorno circa gli interventi di bonifica o verifica.
Perché non bastano le bombe vere, parecchie, visto che fra il '43 e il '45 gli alleati ce ne sganciarono addosso 1 milione circa, di cui un quarto non esplose del tutto o è tuttora inesploso.
A queste, secondo il Genio dell'Esercito, vanno aggiunti affini come le granate, le bombe da mortaio e quelle a mano, per un totale di 25 mila potenziali sorpresine col botto ancora nascoste su tutto il territorio nazionale.
A RISCHIO GLI EX «OBIETTIVI STRATEGICI». Statisticamente, può essercene una non lontano da casa vostra, soprattutto se abitate nelle vicinanze di quelli che durante la guerra erano considerati «obiettivi strategici»: zone industriali, aeroporti militari o stazioni di una certa importanza.
Io abito non lontano dalla stazione di Rimini, che durante l'ultimo conflitto veniva usata dai tedeschi per rifornire le truppe nella zona di Roma, e qualche anno fa ho dovuto sfollare per alcune ore, mentre disseppellivano una bomba a poche centinaia di metri da casa mia.
Forse era stata sganciata durante l'incursione aerea alleata del 21 gennaio 1944, che si concentrò sulla ferrovia, forse in quella del '29 che semidistrusse il vicino Tempio malatestiano.
IL RISPETTO PER LE TRACCE DELLA BATTAGLIA. Fatto sta che non fece il suo dovere, forse per un difetto di fabbricazione o perché era stata lanciata da una quota troppo bassa, e, come una brutta addormentata, rimase immota e silenziosa per decenni, in attesa del bacio disinnescante di un artificiere.
Noi del quartiere abbiamo lasciato le nostre le case in silenzio, con un senso di rispetto, più che di paura. Rispetto per le tracce di quella immane battaglia di giganti consumata 70 anni fa nelle stesse strade dove oggi viviamo, dormiamo, passeggiamo in sicurezza con i nostri cari, sotto lo stesso cielo dal quale oggi possono cadere solo bombe d'acqua - pericolose e a volte mortali, certo, ma non come due quintali di tritolo.
I semi velenosi della guerra
La Storia ha arato profondamente la nostra terra, lasciando nelle sue viscere dei semi velenosi.
Molti vengono neutralizzati, altri generano a distanza di decenni la loro fioritura di sangue, come la bomba a mano Breda 35 che due anni fa ha ferito un gruppo di giovani vicino a un casolare nelle campagna di Novalesa.
«Era una scatoletta grossa come una lattina di Coca Cola, l'avevamo già vista, sembrava nuova», ha raccontato uno dei ragazzi colpiti.
CAMPI COLMI DI MINE E GRANATE. Era il 2013, ma poteva essere anche il 1945, quando campi e prati pullulavano di mine e granate. In molti cimiteri di campagna si trovano vecchie tombe di bambini che oggi sarebbero arzilli settantenni se un giorno, quando sembrava che l'incubo fosse finito, non avessero inavvertitamente inciampato in una granata inesplosa.
Ho una foto di mio padre a sei anni, in piedi nel suo cortile fra due bombe da mortaio alte quasi come lui. Era appena rientrato nella sua casa che i tedeschi avevano requisito l'anno prima come comando, e poi avevano abbandonato in tutta fretta inseguiti dagli Alleati, lasciando armi e proiettili (le armi le requisì mio nonno, comunista, che le consegnò alle autorità solo dopo l'attentato a Togliatti, quando il Migliore fece capire che sulla rivoluzione bisognava metterci una pietra sopra).
ERA L'ITALIA, SEMBRA L'AFGHANISTAN. Quell'Italia era come l'Afghanistan, 487 bambini uccisi o feriti dalle mine antiuomo solo nel 2014; però da noi non c'era Emergency. Nei due dopoguerra, lavorare come «recuperante», addetto al recupero di ordigni e proiettili inesplosi, era l'unica possibilità di guadagno per chi aveva una famiglia ma non possedeva che una zappa o un badile; poi divenne un hobby per collezionisti di «militaria».
Mortale sia come mestiere che come passatempo: decine le vittime in 90 anni, fra cui i sette morti sull'altopiano di Asiago nel 1974, due recuperanti a caccia di bombe e cinque innocenti che passavano di lì. Se tutto fosse andato bene, le bombe sarebbero state disseppellite e finite in qualche collezione privata.
NON RESTA CHE INCROCIARE LE DITA. Pare che esistano veri e propri arsenali privati di vecchi ordigni della Seconda e perfino della Grande Guerra, scoperti e non denunciati da gente che non sempre è in grado di identificarli e valutarne la pericolosità.
Forse la bonifica di certi armadi raddoppierebbe il lavoro già intenso degli artificieri dell'Esercito. A noi non resta che incrociare le dita e non esitare a disturbarli quando vediamo spuntare dalla terra una ferraglia sospetta.

Perché sì, potrebbe essere un innocuo scaldabagno arrugginito, come quello rinvenuto in luglio a Lignano, ma ci sono altrettante possibilità che sia un vecchio megapetardo sganciato dalla Raf o un letale souvenir di zio Adolf. Per capirlo, ci vuole un Genio. Fonte: http://www.lettera43.it/firme/quei-semi-velenosi-che-aiutano-a-non-dimenticare_43675184472.htm

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