di Lia Celi
Sulla vendemmia 2015, che si profila ottima, dobbiamo ancora
toccare ferro.
In compenso si può già parlare di anno d'oro per un'altra
eccellenza della terra italiana: gli ordigni bellici risalenti alla Seconda
Guerra mondiale.
Da Massa a Cosenza, da Verona a Orte, da Orvieto a Brindisi,
quest'estate il Genio Artificieri e Guastatori ha sgobbato più di una squadra
di raccoglitori di olive per disinnescare bombe sù e giù per la penisola, con
conseguenti evacuazioni (a volte per migliaia e migliaia di persone: 13.500 i
veronesi costretti a lasciare le case nel giugno scorso), blocchi stradali e
disagi assortiti.
7 MILA ORDIGNI DISTRUTTI IN UN ANNO. L'ultimo episodio il 26
agosto, quando, per far brillare una bomba di 220 kg riemersa fra Orte e
Attigliano, è stato chiuso un tratto dell'Autostrada del Sole, tagliando in due
l'Italia come ai tempi della linea gotica.
L'ordigno è stato fatto brillare in un luogo sicuro, come gli
altri 7 mila recuperati e distrutti dall'esercito solo nell'ultimo anno; otto
al giorno circa gli interventi di bonifica o verifica.
Perché non bastano le bombe vere, parecchie, visto che fra il
'43 e il '45 gli alleati ce ne sganciarono addosso 1 milione circa, di cui un
quarto non esplose del tutto o è tuttora inesploso.
A queste, secondo il Genio dell'Esercito, vanno aggiunti
affini come le granate, le bombe da mortaio e quelle a mano, per un totale di
25 mila potenziali sorpresine col botto ancora nascoste su tutto il territorio
nazionale.
A RISCHIO GLI EX «OBIETTIVI STRATEGICI». Statisticamente, può
essercene una non lontano da casa vostra, soprattutto se abitate nelle
vicinanze di quelli che durante la guerra erano considerati «obiettivi
strategici»: zone industriali, aeroporti militari o stazioni di una certa
importanza.
Io abito non lontano dalla stazione di Rimini, che durante l'ultimo
conflitto veniva usata dai tedeschi per rifornire le truppe nella zona di Roma,
e qualche anno fa ho dovuto sfollare per alcune ore, mentre disseppellivano una
bomba a poche centinaia di metri da casa mia.
Forse era stata sganciata durante l'incursione aerea alleata
del 21 gennaio 1944, che si concentrò sulla ferrovia, forse in quella del '29
che semidistrusse il vicino Tempio malatestiano.
IL RISPETTO PER LE TRACCE DELLA BATTAGLIA. Fatto sta che non
fece il suo dovere, forse per un difetto di fabbricazione o perché era stata
lanciata da una quota troppo bassa, e, come una brutta addormentata, rimase
immota e silenziosa per decenni, in attesa del bacio disinnescante di un
artificiere.
Noi del quartiere abbiamo lasciato le nostre le case in
silenzio, con un senso di rispetto, più che di paura. Rispetto per le tracce di
quella immane battaglia di giganti consumata 70 anni fa nelle stesse strade
dove oggi viviamo, dormiamo, passeggiamo in sicurezza con i nostri cari, sotto
lo stesso cielo dal quale oggi possono cadere solo bombe d'acqua - pericolose e
a volte mortali, certo, ma non come due quintali di tritolo.
I semi velenosi della guerra
La Storia ha arato profondamente la nostra terra, lasciando
nelle sue viscere dei semi velenosi.
Molti vengono neutralizzati, altri generano a distanza di
decenni la loro fioritura di sangue, come la bomba a mano Breda 35 che due anni
fa ha ferito un gruppo di giovani vicino a un casolare nelle campagna di
Novalesa.
«Era una scatoletta grossa come una lattina di Coca Cola,
l'avevamo già vista, sembrava nuova», ha raccontato uno dei ragazzi colpiti.
CAMPI COLMI DI MINE E GRANATE. Era il 2013, ma poteva essere
anche il 1945, quando campi e prati pullulavano di mine e granate. In molti
cimiteri di campagna si trovano vecchie tombe di bambini che oggi sarebbero
arzilli settantenni se un giorno, quando sembrava che l'incubo fosse finito,
non avessero inavvertitamente inciampato in una granata inesplosa.
Ho una foto di mio padre a sei anni, in piedi nel suo cortile
fra due bombe da mortaio alte quasi come lui. Era appena rientrato nella sua
casa che i tedeschi avevano requisito l'anno prima come comando, e poi avevano
abbandonato in tutta fretta inseguiti dagli Alleati, lasciando armi e
proiettili (le armi le requisì mio nonno, comunista, che le consegnò alle
autorità solo dopo l'attentato a Togliatti, quando il Migliore fece capire che
sulla rivoluzione bisognava metterci una pietra sopra).
ERA L'ITALIA, SEMBRA L'AFGHANISTAN. Quell'Italia era come
l'Afghanistan, 487 bambini uccisi o feriti dalle mine antiuomo solo nel 2014;
però da noi non c'era Emergency. Nei due dopoguerra, lavorare come
«recuperante», addetto al recupero di ordigni e proiettili inesplosi, era
l'unica possibilità di guadagno per chi aveva una famiglia ma non possedeva che
una zappa o un badile; poi divenne un hobby per collezionisti di «militaria».
Mortale sia come mestiere che come passatempo: decine le
vittime in 90 anni, fra cui i sette morti sull'altopiano di Asiago nel 1974,
due recuperanti a caccia di bombe e cinque innocenti che passavano di lì. Se
tutto fosse andato bene, le bombe sarebbero state disseppellite e finite in
qualche collezione privata.
NON RESTA CHE INCROCIARE LE DITA. Pare che esistano veri e
propri arsenali privati di vecchi ordigni della Seconda e perfino della Grande
Guerra, scoperti e non denunciati da gente che non sempre è in grado di
identificarli e valutarne la pericolosità.
Forse la bonifica di certi armadi raddoppierebbe il lavoro
già intenso degli artificieri dell'Esercito. A noi non resta che incrociare le
dita e non esitare a disturbarli quando vediamo spuntare dalla terra una
ferraglia sospetta.
Perché sì, potrebbe essere un innocuo scaldabagno
arrugginito, come quello rinvenuto in luglio a Lignano, ma ci sono altrettante
possibilità che sia un vecchio megapetardo sganciato dalla Raf o un letale
souvenir di zio Adolf. Per capirlo, ci vuole un Genio. Fonte: http://www.lettera43.it/firme/quei-semi-velenosi-che-aiutano-a-non-dimenticare_43675184472.htm
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