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martedì 15 gennaio 2013

La Battaglia del Piave o del Solstizio (15 - 23 giugno 1918)



 Generale B. Tullio Vidulich

Nel giugno di novanta anni fa, sul Piave, si infranse la potente
 offensiva dell’Esercito austro-ungarico e le ultime speranze di vittoria

Nella primavera del 1918 l’Austria – Ungheria, invogliata dai successi tedeschi conseguiti sul fronte franco-inglese, si preparò a lanciare una gigantesca offensiva, nel tratto fra la Val d’Astico e il mare, per conseguire la completa disfatta militare dell’Italia.
La fine delle ostilità con la Russia, aveva dato la possibilità all’Austria, di ricuperare una notevole massa di forze da impiegare sul fronte italiano, elevando  in tale modo, la capacità offensiva dell’esercito austro-ungarico.“Come risultato di questa operazione, che ci deve portare sino all’Adige, mi riprometto lo sfacelo militare dell’Italia”. Così scriveva, nel marzo del 1918, il generale Arz von Straussenburg capo di stato maggiore dell’esercito austriaco, al maresciallo von Hindenburg, capo di stato maggiore dell’esercito germanico.
L’offensiva venne preparata con larghezza di mezzi e con ogni accorgimento in campo tecnico e morale, tanto da suscitare in capi e gregari la più assoluta fiducia nel successo. Il nostro avversario si dispose alla battaglia con l’animo di fare “l’ultimo sforzo” per costringere l’Italia alla resa.
Sullo scacchiere italiano, le forze austriache agli ordini del generale von Arz erano suddivise in due gruppi di armate: il Gruppo d’Armate del Tirolo al comando del feldmaresciallo Conrad, ex capo di stato maggiore dell’esercito austriaco, con le armate 10a e 11a sul fronte dello Stelvio – Trentino – Monte Grappa (con limite di settore a Fener) e il Gruppo d’Armate del Piave (schierate dal Monfenera al mare Adriatico) al comando del feldmaresciallo Boroevic con la 6a Armata e la 5a (o Isonzo Armée) con limite di settore il Ponte della Priula.
Il piano operativo del Comando Austro – Ungarico prevedeva una manovra a tenaglia con uno sforzo principale a cavallo del fiume Brenta, tendente a sfondare il fronte montano, raggiungere la pianura fra Vicenza e Castelfranco per prendere alle spalle le armate italiane schierate sul Piave, mentre la branca meridionale della tenaglia, costituita dal Gruppo di Armate dell’Isonzo, con un attacco coordinato e contemporaneo a quello montano, aveva il compito di colpire Treviso e raggiungere Padova.
Con anticipo di due giorni, era stato previsto, inoltre, un attacco al Passo del Tonale (operazione Lawine), accompagnato da azioni diversive nelle Giudicarie e in Val Lagarina allo scopo di attirare le forze italiane in quel settore del fronte. Ma il generale Diaz non cadde in inganno.
L’ambizioso piano austro – ungarico, se condotto con unità di comando, avrebbe potuto consentire all’esercito avversario di raggiungere la pianura dopo uno o due giorni di combattimenti, ma l’antagonismo esistente fra il Conrad e il Boroevic, due grandi comandanti, ciascuno dei quali voleva avere l’onore di decidere le sorti della battaglia, lo trasformò in due offensive condotte con forze pressoché equivalenti e quindi incapaci di raggiungere il successo sperato. A causa della controversia fra i due condottieri veniva ignorato un principio fondamentale quello cioè della gravitazione delle forze da concentrare sul  tratto più debole del dispositivo nemico, come avvenne invece nell’ottobre del 1917 a Caporetto.
Le forze italiane contrapposte alle quattro armate austro-ungariche erano cosi ripartite: la 7a Armata schierata dallo Stelvio al Garda, la 1a Armata dal Garda alla Val d’Astico, di fronte alla 11a Armata la 6a Armata (tenente generale Luca Montuori) dalla Val d’Astico alla Valle del Brenta e la 4a Armata (tenente generale Gaetano Giardino) dalla Valle del Brenta a Pederobba, per un complesso di  33 divisioni.
Di fronte alle armate del generale Boroevic erano schierate l’8a Armata (tenente generale Giuseppe Pennella) da Pederobba a Palazzòn forte di quattro divisioni ed infine la 3a Armata (S.A.R. Emanuele Filiberto di Savoia) da Palazzòn al mare con sette divisioni. Facevano parte della 6a Armata (costituita da dieci divisioni) schierata sull’Altopiano di Asiago tre divisioni inglesi e due francesi .La riserva  generale del Comando Supremo era costituita dalla 9a Armata su dodici divisioni di cui due di cavalleria e una divisione cecoslovacca.
Il Comando austriaco, dall’Astico al mare, su un fronte di 140 chilometri, disponeva di 50 divisioni contro 41 italiane, di 5470 pezzi di artiglieria contro 5100 italiani e di un maggior numero di mitragliatrici, specie di quelle leggere, in possesso di un maggiore volume di fuoco.
L’offensiva non arrivò inaspettata. I nostri comandi da tempo avevano compreso da molteplici segnali le intenzioni nemiche ed a queste uniformarono le contromisure da prendere.
15 giugno: iniziano le operazioni “Radetzky” e “Albrecht”.
Alle ore tre di notte del 15 giugno iniziavano le due operazioni “Radetzky” sull’Altopiano di Asiago e sul Monte Grappa e “Albrecht” contro il Montello e il Basso Piave con un breve ma potentissimo fuoco di artiglieria con l’impiego anche di granate a gas.
Questa volta l’artiglieria italiana, ricordando l’amara lezione di Caporetto non si fece sorprendere, ma aprì immediatamente il fuoco di contro preparazione, anticipando in alcuni settori del fronte il fuoco nemico, provocando sensibili perdite nel dispositivo di attacco avversario, ai pontoni di barche montati sul Piave e sui centri di comando.
Il morale delle fanterie avversarie fu scosso in modo tangibile al punto da incidere in maniera determinante sullo sviluppo dell’intera offensiva.
Sull’ Altopiano dei Sette Comuni e sul Monte Grappa, dopo aspri combattimenti e alcune cessioni di terreno, le truppe del generale Conrad vennero arrestate.
Epica fu la difesa del Grappa che impedì al nemico di irrompere verso Treviso-Vicenza.
In pianura, lungo il Piave, gli austro-ungarici riuscirono a costruire una robusta testa di ponte sul Montello. Facendo largo uso di artiglieria e cortine nebbiogene tre divisioni d’assalto (la 17a e 31a Divisione e la 13a Schützen) al comando del generale Ludwig Goiginger superarono il Piave a Falzé e conquistarono un’ampia testa di ponte sul Montello sino a raggiungere Casa Faveri a nord e fino a Giavera a sud, ma la pronta e decisa reazione delle nostre Divisioni 47a, 48a, 50a, 57a e 60a, dopo violentissimi contrattacchi, il 22 giugno, costrinsero gli austriaci a ritirarsi dal Montello e ripassare il Piave sotto l’incessante fuoco delle nostre artiglierie.
Sul fronte della 3a Armata, nel basso Piave, nel tratto fra Candelù e Capo Sile, sulla riva destra del fiume, gli austriaci costituirono tre teste di ponte che, dopo furiosi combattimenti, riuscirono a congiungere e ad allargarsi su un fronte di trenta chilometri di sviluppo per una profondità di sette chilometri ma, nonostante reiterati sforzi e l’ impiego di consistenti riserve, non riuscirono a penetrare in profondità.
La notte del 23 giugno, per difficoltà di alimentare lo sforzo a causa del Piave in piena e con i ponti ed i traghetti continuamente battuti dal tiro implacabile delle nostre artiglierie e dall’aviazione, vista l’impossibilità di sfondare nel settore del Piave, l’Alto Comando austriaco, ordinava, su tutta la fronte, la sospensione dell’offensiva e il ripiegamento sulla sponda sinistra del fiume.
L’esercito austro-ungarico usciva dalla lotta profondamente scosso ed indebolito. Il gruppo di armate che presero parte all’offensiva accusò la perdita di 150.000 uomini fra morti, feriti, dispersi e prigionieri. Gli italiani ebbero 6110 caduti, 27.660 feriti, 51.860 dispersi.
La Battaglia del Piave fu una grande vittoria delle armi italiane, la prima conseguita nel 1918 da un esercito delle potenze dell’Intesa sugli eserciti degli Imperi Centrali.
Da quella sconfitta  il prestigioso esercito dell’Austria - Ungheria iniziò il suo declino e accelerò di fatto lo sgretolamento della potente monarchia Asburgica.
Le conseguenze del fallimento dell’offensiva si ripercossero anche sull’alleato tedesco come ammise anche il capo di stato maggiore tedesco, generale Hindenburg: “L’offensiva austro – ungarica in Italia, dopo i successi iniziali molto promettenti, era fallita…. La sfortuna del nostro alleato era una disgrazia anche per noi”.
Il Comando Supremo italiano, nel citare all’ordine del giorno l’eroico comportamento dell’Armata del Grappa, affermò, nel bollettino di guerra del 18 giugno 1918: “ciascun soldato, difendendo il Grappa, sentì che ogni palmo del monte era sacro alla Patria!”. Le 640 medaglie al valore militare concesse per quella battaglia, di cui 486 a soldati semplici, ne sono la luminosa testimonianza.
La clamorosa sconfitta subita dall’Esercito austro-ungarico sul Piave provocò un repentino crollo morale nel cuore dei valorosi combattenti avversari, i quali, persero la fiducia nella vittoria delle loro armi.
                                                                                             
                                                                                 

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