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lunedì 14 gennaio 2013

Per non dimenticare Monte Ortigara: il Calvario degli Alpini 10 – 29 giugno 1917



 
Generale B. Tullio Vidulich

Genesi della Battaglia
La “Sud Tirol Offensive” passata alla storia con il nome di “Strafexpedition”, sferrata nel maggio 1916 nel Trentino, aveva portato l’esercito austriaco su una nuova linea che, rispetto a quella precedente aveva raggiunto i margini meridionali dell’Altopiano dei Sette Comuni e, più a sud, Monte Cimone. Pur avendo contenuto l’avanzata verso la pianura l’esercito italiano dovette abbandonare alle armate nemiche posizioni molto importanti per la difesa dei confini.
Dal punto di vista strategico, l’Italia corse un gravissimo pericolo, in quanto il nemico fu ad un soffio dalla pianura veneta.
Esauritasi la formidabile offensiva nemica senza aver colto gli obiettivi strategici che si era posta, per il valore dei nostri soldati e per un concorso di favorevoli circostanze, il 16 giugno, il generale Conrad ordinava la sospensione generale dell’offensiva e il ripiegamento su una linea di resistenza sapientemente scelta imperniata su Passo dell’Agnella - Monte Ortigara – Monte Campigoletti - Monte Chiesa - Monte Forno - Monte Zebio - Monte Mosciagh - sponda destra della Val d’Assa per poi piegare verso ovest al Castelletto e al Monte Cimone.
Lo stesso giorno della sospensione dell’offensiva austriaca iniziò la controffensiva italiana della I Armata, al comando del tenente generale Pecori Giraldi, una manovra a tenaglia condotta sui fianchi dell’avversario e che aveva per obiettivo, le cime nord dell’Altopiano e a ovest la riconquista del Col Santo nel settore del Monte Pasubio per riprendere il territorio perduto.
L’offensiva si sviluppò dal 16 giugno al 24 luglio.
Dalla piana di Marcesina, sull’estremità orientale dell’Altopiano di Asiago, si mosse la controffensiva del XX Corpo d’Armata agli ordini del generale Luca Montuori in direzione di Cima Caldiera - M. Castelnuovo - Cima Portule - Bocchetta di Portule.
Da quella piana avanzò il Gruppo alpino “Stringa” al comando del valoroso colonnello Pirio Stringa, che diede il nome al Gruppo, (costituito dai Battaglioni Alpini Saccarello, Monviso, Valmaira, Argentera, Cenischia, Morbegno, Bassano, Sette Comuni, gli ultimi due ricuperati dal fronte dell’alto Isonzo, più 4 Battaglioni del 14° Reggimento Bersaglieri e 4 batterie da montagna) e conquistò con ripetuti e brillanti assalti, prima le posizioni avversarie di Castelloni di S. Marco, Monte Fossetta, Monte Magari e Cima Isidoro e il 26 giugno l’intera dorsale di Cima Caldiera – Monte Lozze –Cima delle Saette, posizioni che si trovavano di fronte alla prima linea di resistenza austriaca, separati dal vallone dell’Agnellizza e dalla Pozza dell’Ortigara.
Da quelle posizioni i battaglioni alpini del Gruppo Stringa, rinforzati dal Gruppo Alpini Sapienza, condussero con grande impeto una serie di violenti attacchi contro la linea di resistenza nemica, ricca di ostacoli naturali e potenziata da nidi di mitragliatrici, ma tutti i tentativi si infransero contro quella formidabile barriera.
Terminò così la controffensiva voluta dal generale Cadorna, durante la quale gli alpini, con grande coraggio e tenacia, si prodigarono senza risparmio di energie e con ammirevole valore.
Offensiva che non si era potuta realizzare con successo per mancanza di artiglieria pesante che in luglio era stata inviata sul fronte dell’Isonzo, in vista dell’attacco del campo trincerato di Gorizia.
Mentre era in corso la controffensiva sull’Altopiano di Asiago, sul fronte dell’Isonzo, Cadorna stava ultimando i preparativi per la conquista della soglia di Gorizia. La Sesta Battaglia dell’Isonzo si concludeva felicemente, ai primi di agosto 1916, con la brillante conquista di Gorizia e delle posizioni del San Michele.
E dopo quella splendida impresa conseguita dall’esercito italiano, il generale Cadorna, che non aveva mai abbandonato il progetto di eliminare la minaccia proveniente dal saliente trentino, decise di dare soluzione definitiva alla precaria situazione rimasta in atto su quel fronte.
La prima iniziativa del generale per ricuperare il territorio perduto risale al settembre del 1916: il 5 settembre Cadorna inviò una lettera al comandante della 1a Armata con la quale dava ordine al generale Pecori Giraldi di studiare una operazione offensiva da svolgersi prima dell’inizio dell’inverno diretta a rioccupare il Costone del Portule, previa conquista del Monte Ortigara – Monte Campigoletti, per “scollare gli austriaci dal settore nord dell’Altopiano e garantire un più sicuro assetto difensivo in quel tratto di fronte che era una continua minaccia per le truppe schierate in Cadore e sull’Isonzo”.
L’azione doveva essere compiuta al più presto per approfittare della condizione sfavorevole in cui si trovava il nemico, per il radicale mutamento della situazione e per l’incompleta sistemazione difensiva della linea, che esso aveva scelto.
 
L’inverno giunto prematuramente, con abbondanti nevicate e temperature molto basse, seppellendo uomini, trincee e apprestamenti logistici, costrinse il Comando Truppe dell’Altopiano a rinviare l’operazione, denominata in codice”Azione K”, alla primavera del 1917. Sulle cime dell’altopiano la neve in dicembre raggiunse l’altezza di due metri. Durante quel rigido inverno le truppe da entrambi le parti e per opposte finalità, provvidero alla sistemazione delle posizioni.
I soldati dovettero affrontare una somma di enormi sacrifici, di sofferenze, di privazioni d’ogni sorta in condizioni da preistoria.
I nostri alpini per sopravvivere, con il loro innato spirito di iniziativa, recuperando tavole e tronchi d’albero, costruirono baracche e ricoveri per ripararsi dal gelo  polare e dalle bufere di neve.
Fu questo il periodo più penoso durante il quale rifulse l’ingegnosità e il grande spirito di adattamento degli alpini.
Mentre il Comando Supremo italiano stava preparando l’offensiva, nel cuore della Duplice Monarchia avvenivano due eventi molto importanti: il 21 novembre del 1916 moriva l’Imperatore Francesco Giuseppe e subentrava sul trono d’Austria – Ungheria il pronipote ventinovenne Carlo I d’Asburgo, che assunse personalmente il comando delle forze armate.
Dopo qualche mese, il 28 febbraio 1917  il generale Franz Conrad Hoetzendorf, capo di stato maggiore dell’esercito imperiale, veniva sollevato dal prestigioso incarico e inviato a comandare il Gruppo di Armate del Tirolo meridionale. Decisione questa ultima di notevole rilevanza ai fini delle condotta delle operazioni in Tirolo in quanto, il Conrad, da sempre convinto nemico dell’Italia, possedeva una profonda conoscenza del trentino per aver, negli anni precedenti il conflitto, studiato accurati piani di operazione per agire contro l’Italia.

Nel frattempo il 1° dicembre, il generale Cadorna decideva, con il comando e le truppe dell’Altopiano, di costituire la 6a Armata, su tre Corpi d’Armata, agli ordini del generale Mambretti, molto stimato dal Cadorna, ma poco ben visto  dai suoi soldati per la fama che aveva di uomo molto sfortunato.
La nuova Armata era così articolata:
- XX Corpo d’Armata (Divisioni 13a e 29a) al comando del generale Luca Montuori;
- XXII Corpo d’Armata (Divisioni 25a e 30a) al comando del generale Negri di Lamporo;
- XVIII Corpo d’Armata (Divisioni 15a e 51a) al comando del generale Donato Etna.
Durante i mesi dell’anno nuovo vennero attuati tutti i preparativi tecnici, operativi e logistici per riprendere l’offensiva denominata con il nuovo nome  “Difensiva Ipotesi Uno”, (tale denominazione aveva il fine di ingannare l’avversario sull’azione da svolgere), alfine di togliersi definitivamente la spina sul fianco del saliente trentino che era una costante minaccia per le armate schierate sul Carso e verso la pianura veneta.
L’offensiva prevista, in un primo tempo, ai primi di aprile, a causa dell’abbondante innevamento ancora esistente, venne rinviata ai primi di giugno.
I preparativi per l’offensiva, che nel frattempo venne ampliata sul restante fronte dell’Altopiano, vennero portati a termine fra la fine di maggio ed i primi di giugno. In conseguenza di tale ampliamento alla fine di maggio la 6a Armata assunse la seguente articolazione ad iniziare da nord a sud:
- XVIII Corpo d’Armata (Divisioni 15ª e 51ª); (comandante tenente generale Etna), in Val Sugana;
- XX Corpo d’Armata (Divisioni 52ª e 29ª); (comandante tenente generale Montuori), dalla Cima del Campanaro a M. Fiara;
- XXII Corpo d’Armata (Divisioni 25ª e 57ª), (comandante generale Negri di Lamporo), da M. Fiara a Camporovere;
- XXXVI Corpo d’Armata (Divisioni 30ª e 12ª), (comandante tenente generale Fabbri), da Camporovere a Cima Arde.
In riserva: 10a Divisione con le Brigate Campobasso e Piemonte, 21a Divisione con le Brigate Regina e Pisa, 27a Divisione con le Brigate Aosta e Sele, più la 4a Brigata Bersaglieri.
Complessivamente la 6a Armata schierava 171 battaglioni, di cui 22 alpini e 18 di bersaglieri, 1150 pezzi di artiglieria di ogni calibro e 575 bombarde.
Il terreno dell’azione. Cenni orografici.
Il terreno presenta molte affinità con la regione carsica, con cui ha in comune la natura calcarea delle rocce e parecchie particolarità morfologiche.
La vegetazione costituita da boschi di conifere si dirada man mano che si procede verso la cintura settentrionale dell’Altopiano dominato dall’arco montano Cima Undici –Cima Dodici – Portule, cime che si elevano all’altezza di 2300 – 2200 metri.
Caratteristica della regione sono le cosiddette Buse o Doline che hanno una notevole somiglianza con le doline carsiche del S. Michele, sono veri catini naturali, taluni profondi con sponde ripide, tal’altri ampi a dolce declivio con orli boscosi.
Come sempre accade nella guerra in montagna, il terreno diventa un protagonista in misura almeno pari agli stessi contendenti.
Di fronte a Monte Ortigara – Monte Campigoletti si eleva Cima Caldiera (q.2127) dalla quale si diparte una dorsale che si articola con Cima Campanella, Monte Lozze, Cima delle Saette e poi, agganciandosi alla cresta di Monte Palo si collega al sistema montuoso che delimita la sinistra orografica della Val di Nos.
In particolare il terreno che si interpone fra la linea italiana e quella austriaca, nella sua parte settentrionale, è costituito da un profondo avallamento, un vero e proprio corridoio contenuto fra i ripidi fianchi del M. Ortigara e Cima Caldiera, denominato il Vallone dell’Agnellizza che si interrompe affacciandosi, col Passo dell’Agnella, ai ripidi canaloni che scendono in Valsugana.
Procedendo verso sud, il corridoio si apre allargandosi nella Pozza dell’Ortigara, vasta conca in cui sbocca da nord – ovest, con facile declivio il Vallone dell’Agnella, che stacca l’Ortigara dal Monte Campigoletti.
In sintesi la zona dell’azione è un terreno accidentato, frastagliato di buche, aspro, con pendici a volte ripide, brulle e sassose, dagli aspetti talvolta lunari, dove le acque superficiali sono pressoché assenti data la natura della roccia molto simile a quella dell’Altopiano Carsico.
Preparazione dell’azione.
Nei mesi precedenti, tenendo presente l’importanza dell’operazione, vennero dedicate tutte le cure necessarie alla preparazione tecnica e morale della truppa.
Su quell’ accidentato Altopiano di difficile percorribilità, i soldati della 6a Armata provvidero a scavare posti comando, postazioni di artiglieria, osservatori e a costruire strade, acquedotti, ospedali da campo, teleferiche allo scopo di preparare l’offensiva di primavera.
Anche l’avversario, durante il lungo e rigido inverno, dedicò gran parte delle sue energie per consolidare le posizioni con lavori in roccia, costruzione di postazioni, trincee, osservatori, ricoveri per la truppa, posti medicazione, strade, teleferiche, acquedotti per il trasporto dell’acqua e preparate linee arretrate di difesa.
In particolare nel tratto Passo dell’Agnella - Monte Ortigara - Monte Campigoletti l’avversario aveva scavato nella viva roccia trincee profonde circa m. 1,50 con parapetti costruiti con muretti a secco.
Tutto il sistema trincerato era difeso da robusti reticolati, sovente su più ordini, con palificazione metallica infissa nella roccia con campi minati antistanti,  ed abbondava di postazioni per mitragliatrici, molte delle quali protette in caverna, disposte con perizia in modo da effettuare il tiro d’infilata.
L’azione principale fu affidata al XX Corpo d’Armata (tenente generale Luca Montuori) con il compito di conquistare l’estrema dorsale nord dell’Altopiano (Passo dell’Agnella - Monte Ortigara – M. Castelnuovo – Cima Portule) per far cadere con manovra avvolgente tutta la linea difensiva avversaria dell’Altopiano.
Dall’esame del piano “Difensiva ipotesi uno” risultava che la nostra azione offensiva era la continuazione della manovra controffensiva iniziata nel giugno del 1916. Si riprendeva cioè l’avanzata, interrotta proprio sulle pendici dell’Ortigara nel luglio del 1916 con gli stessi battaglioni alpini che avevano conquistato nel 1916 i Castelloni di San Marco, Cima Isidoro, Cima della Caldiera, Passo dell’Agnella e la Cima dell’ Ortigara, contro la quale ultima cima di q. 2105, si infransero i sanguinosi attacchi condotti dai valorosi battaglioni alpini.
La realizzazione del piano operativo di Cadorna cozzava contro difficoltà enormi che, ad una serena e attenta valutazione, apparivano insormontabili: se l’operazione non era riuscita nel mese di luglio 1916, quando le trincee nemiche erano appena imbastite, come avrebbe potuto riuscire dopo un anno di lavori che trasformarono la linea di resistenza in una imprendibile fortezza?.
Il generale Cadorna era convinto di trovare la soluzione del problema aumentando la potenza dell’attacco attraverso l’impiego di numerose grandi unità supportate da una potente massa di artiglierie e bombarde.
Sulla fronte opposta era schierato il III Corpo d’Armata agli ordini del generale Ritter von Krautwald, con la 6a Divisione (C.te generale Artur von Mecenseffy) a difesa dell’Ortigara - M. Colombara, alla sua destra  la 22a Divisione a difesa del M. Zebio - M. Mosciagh, il Gruppo Colonnello Brigadiere Vidossich da Roana a Forni di Valdastico e la 18a Divisione a difesa della Valsugana e con un suo battaglione a difesa di Passo dell’Agnella – quota 2003, per un totale di 57 battaglioni e 400 pezzi di artiglieria di vario calibro.
Sul Monte Ortigara, fulcro della battaglia, la difesa era costituita da un robusto sistema trincerato potenziato da reticolati su più ordini, campi minati e decine di postazioni di mitragliatrici sistemate in caverne di roccia.
In particolare il comando della 6a Divisione, responsabile del fronte compreso fra Monte Colombara e la testata nord dell’Altopiano, aveva dislocato il VII Battaglione Feldjäger a difesa di Monte Campigoletti e Val Agnella, il XX Battaglione Feldjäger a difesa delle quote 2105 e 2101 dell’Ortigara, mentre la quota 2003 e il Passo dell’Agnella era difeso dal III Battaglione del 37° Reggimento della 18a Divisione, e costituiva punto di saldatura con la 6a Divisione posta a difesa dell’Altopiano.
Alle spalle della prima linea erano dislocati tre battaglioni in riserva.  
In base all’ordine di operazione del XX Corpo d’Armata, la 52a Divisione, al comando del generale Angelo Como Dagna Sabina, aveva il compito di conquistare Monte Ortigara ed il Passo della Caldiera, di procedere poi verso le pendici di M. Castelnuovo e indi occupare il costone di Cima Dodici – Cima Portule.
La 29a Divisione, al comando del generale  Enrico Caviglia, doveva conquistare Monte Forno e dopo procedere alla occupazione della Forcelletta di Galmarara.
La riserva del Corpo d’Armata, costituita dal 9° Reggimento bersaglieri e dai battaglioni alpini Saccarello e Dora, era dislocata nella zona di  Malga Moline. 
L’inizio dell’attacco, dopo una serie di rinvii per cause meteorologiche, fu fissato per il mattino del 10 giugno.
Alle 5.15 del 10 giugno, durante una giornata grigia e piovosa, entrarono in azione le artiglierie che scaricarono una valanga di fuoco sulle trincee nemiche, ma la fitta nebbia che aveva avvolto il terreno non consentì di colpire con precisione le postazioni ed i reticolati.
Alle ore 15.00, dopo dieci ore di fuoco dell’artiglieria, gli alpini della 52a Divisione iniziarono l’attacco contro le posizioni nemiche: sulla destra, contro la cima dell’Ortigara e il Passo dell’Agnella, muoveva il IV Raggruppamento Alpini del generale Antonino Di Giorgio con i Battaglioni “Sette Comuni”, “Verona”, “Bassano”, “Monte Baldo”, “Val Arroscia”, “Monte Mercantour”, “Monte Clapier”, “Val Ellero”.
Verso sinistra, contro Monte Campigoletti, a ovest del Monte Ortigara, agiva il I Raggruppamento Alpini del colonnello brigadiere Jacopo Cornaro con i Battaglioni “Mondovì”, “Ceva”, “Vestone”,  “Monte Bicocca”, “Val Stura”, “Val Tanaro”.
In riserva erano disponibili i Battaglioni “Valtellina”, “Monte Stelvio”,  “Monte Saccarello”, “Val Dora”, “Cuneo” , “Monte Marmolada”, “Tirano”, “Monte Spluga” ed i bersaglieri del 9° Reggimento della Brigata Regina. In totale 22 battaglioni alpini.
Immediata fu la reazione del nemico che con  le artiglierie e le mitragliatrici aprì un fuoco micidiale sul vallone dell’Agnellizza (denominata dagli alpini il “Vallone della morte”) e sulle pendici dell’Ortigara costringendo gli alpini a strisciare fra i sassi e a ripararsi dentro ai crateri prodotti dagli scoppi delle granate.
Fra i sassi, sui roccioni scoperti, sui reticolati intatti cominciarono ad ammassarsi morti e feriti. Gli alpini però non si persero d’animo. Guidati dai loro comandanti, in mezzo a quell’ inferno, continuarono ad avanzare verso il nemico.
Contro Cima dell’Ortigara si diresse il Battaglione “Sette Comuni” che riuscì a raggiungere la linea di contatto nemica ma gli alpini trovarono i reticolati ancora intatti e il fuoco delle mitragliatrici che li falciavano senza pietà; per non essere completamente distrutto ripiegò sotto il primo gradino roccioso.
Anche il Battaglione “Verona” che seguiva il “Sette Comuni” subiva gravi perdite.
Più a destra i Battaglioni “Bassano” e “Monte Baldo”, al prezzo di moltissimo sangue, risalendo le aspre scarpate rocciose, sotto le sventagliate delle mitragliatrici e sotto un furioso temporale, irrompendo attraverso i reticolati, dopo una furibonda lotta corpo a corpo, espugnarono il Passo dell’Agnella, quota 2003 e quota 2101 ubicate a est del Monte Ortigara.
Merita ricordare l’ardita azione di un plotone del Battaglione Bassano che, dopo aver superato un ripido canalone, oggi denominato il “Canalone degli Alpini”, e dopo un percorso a mezza costa sugli strapiombi della Valsugana, giungevano alle spalle di un reparto del XX Feldjäger che difendeva la quota 2101 dove era stato collocato un posto medicazione l’Hilfsplatz.
Nel settore più nevralgico del fronte difeso dal XX Battaglione e dal III Battaglione del 37° Reggimento, gli alpini aprirono una breccia di circa 500 metri.
Il Battaglione “Bassano”, su quota 2003 e sul Passo dell’Agnella, catturò duecento austriaci ma, a causa dei sanguinosi assalti, perdette il comandante di battaglione, tre comandanti di compagnia e nove comandanti di plotone.
La colonna del colonnello Cornaro, con in testa il Battaglione Mondovì e Vestone dopo aver conquistato il Corno della Segala nei pressi di Monte Campigoletti e una trincea avanzata sul Costone dei Ponari (il Vestone), dovette arrestarsi e ripiegare per il violentissimo fuoco dei difensori.
Alcuni reparti della colonna riuscirono a raggiungere le pendici di Monte Campigoletti, ma verso le ore 17 dovettero arrestarsi a causa delle gravi perdite subite, fra cui quelle del comandante del Battaglione Mondovì, gravemente ferito, di tre comandanti di compagnia morti e di gran parte degli ufficiali morti o feriti. Anche il Battaglione Bicocca che seguiva il Mondovì subiva gravissime perdite.
Era l’inizio del Calvario dell’Ortigara.
Più a sud gli attacchi della 29a Divisione contro M. Forno e del XXII e XXVI Corpo d’Armata erano stati tutti respinti con gravi perdite.
Il giorno dopo, l’attacco alla Cima dell’ Ortigara riprese con i Battaglioni Sette Comuni, Verona, Val Arroscia e Monte Mercantour e dopo aver messo piede sulla contestata quota 2105 vennero respinti con gravissime perdite da decisi contrattacchi austriaci. Anche questa volta vano fu il disperato sacrificio degli alpini.
Nelle stesse ore gli alpini del Monte Spluga, muovendo lungo il ripido versante nord dell’Altopiano, erano riusciti ad intaccare le trincee di M.Castelnuovo, raggiungendo il punto più avanzato di penetrazione nella linea nemica, ma essendo mancato il sostegno di fuoco dei Battaglioni Sette Comuni e Verona e pressati da contrassalti austriaci, dovette retrocedere dietro la quota 2101.
Per quattro giorni e per quattro notti fu un tragico susseguirsi di assalti corpo a corpo con mischie furibonde alla baionetta, con vanghette, con lancio di sassi, di colpi di mano, sotto la pioggia ed i temporali.
Gli austriaci non davano tregua. Quota 2101 che sbarrava la via all’Ortigara cambiò bandiera tre volte mentre la cima dell’Ortigara sembrava sempre più imprendibile.
Fra i numerosi contrattacchi lanciati dagli austriaci merita ricordare quello violentissimo sferrato nella notte del 15 giugno, alle ore 2.30, chiamato in codice “Operazione Anna”, organizzato per riprendere le posizioni perdute di quota 2101 e Passo dell’Agnella. Dopo furibondi scontri corpo a corpo, gli alpini dei Battaglioni Tirano e Monte Spluga, a prezzo di pesanti perdite, all’alba riuscirono a respingere definitivamente gli assalitori ed a ristabilire la situazione in quel tratto di linea.
Al mattino del 15 giugno i cruenti assalti erano cessati ma le perdite furono gravissime: 62 ufficiali e 1382 militari di truppa uccisi, feriti e dispersi.
19 giugno -  Gli alpini conquistano l’Ortigara
Il giorno 19 giugno, alle ore 6 del mattino, in presenza di un pessimo tempo, scalando le ripide balze, la vetta dell’Ortigara venne attaccata con azione convergente da tre battaglioni, il Monte Stelvio, il Sette Comuni e il Valtellina, dopo una lotta accanita, contro un nemico ostinato, tenace, sottoposto ad un terrificante bombardamento  di artiglieria di ogni calibro, alle 6.40 la cima venne conquistata.
Primo a mettere piede sulla agognata cima, secondo autorevoli ricostruzioni, fu la 137a compagnia del Battaglione Monte Stelvio che faceva parte della seconda ondata d’assalto al comando del capitano Parolari.
Caddero in nostre mani 860 Kaiserjäger, 45 ufficiali, 14 mitragliatrici e 5 cannoni. Anche in questa eroica, tragica giornata, i Battaglioni Ceva, Monte Baldo, Bassano, Verona , Val Stura , Val Dora, i fanti del 4° Reggimento della Brigata Piemonte ed i bersaglieri del 9° Reggimento della Brigata Regina, diedero il loro generoso ed efficace contributo per la conquista della quota 2105 dell’Ortigara, dando prova di elevato valore ed immenso spirito di sacrificio pagando quella conquista con l’olocausto di moltissime vite.
Ostacolati da ogni parte, gli alpini furono sottoposti ad un implacabile fuoco di repressione con pezzi di ogni calibro ma, nonostante la rabbiosa reazione dell’avversario, gli alpini si consolidarono nelle trincee nemiche, nelle buche aperte dalle granate, sfruttando ogni più piccolo anfratto del terreno, accampati all’addiaccio e in balia degli agenti atmosferici.
Purtroppo non fu possibile sfruttare il successo conseguito e proseguire l’attacco verso Passo di Val Caldiera – Cima Undici, perché fortemente contrastati dal fuoco delle mitragliatrici che sparavano d’infilata da Monte Campigoletti e dalle pendici di Monte Castelnuovo e sottoposti ad un violento fuoco di repressione di tutte le artiglierie nemiche.
Per cinque lunghi giorni gli alpini, ed esposti a numerosi contrattacchi resistettero a quel inferno di ferro e di fuoco, abbarbicati sulla cima consacrata dal sangue versato da migliaia di alpini. Non era possibile nemmeno dare onorata sepoltura ai caduti.
La perdita dell’Ortigara – 25 giugno 1917
Il nemico non si diede per vinto, l’Ortigara era troppo importante per la difesa dell’Altopiano e della Valsugana al punto che il generale Conrad, comandante del Gruppo Esercito del Tirolo, ordinò che le posizioni perdute dovevano essere, ad ogni costo, riconquistate.
L’incarico venne affidato ad uno dei suoi generali più abili e valorosi dell’esercito imperiale, il generale Ludwig Goiginger il quale, nel giro di pochi giorni, preparò un contrattacco con truppe scelte d’assalto (in totale 8 battaglioni appoggiati da tutte le artiglierie del III Corpo d’ Armata, che per la loro ubicazione, erano in grado di sostenere l’azione) al comando del colonnello von Sloninka, comandante della 98a Brigata Kaiserschützen.
Nei giorni precedenti il contrattacco austriaco, la difesa della prima linea nel settore Ortigara veniva affidato al colonnello Biancardi, comandante della Brigata Regina.
Il settore veniva ripartito in tre sottosettori: da quota 2003 a quota 2101 c’erano i bersaglieri del 9° Reggimento ed i battaglioni Val Dora e Val Stura; nel sottosettore centrale, a difesa della quota 2105 dell’Ortigara c’erano gli alpini del Battaglione Bassano ed i fanti della Brigata Regina, il sottosettore di sinistra dalla quota 2105 esclusa al Coston dei Ponari inclusa, era difeso dai Battaglioni Bicocca e Val Arroscia e dal II battaglione del 10° Reggimento bersaglieri della Brigata Regina.

Altri reparti erano in rincalzo alla prima linea: il Battaglione Valtellina dietro al Battaglione Bicocca, il Battaglione Monte Stelvio e il 10° Reggimento della Brigata Regina erano sistemati poco sotto la Cima dell’Ortigara.
A difesa della quota 2105, subito dopo la sua conquista, erano state portate a braccia tre batterie da montagna (12 pezzi), e una batteria da montagna, su quattro pezzi, veniva schierata su quota 2101 e al Passo dell’Agnella.
Alle ore 2.30 della notte del 25 giugno iniziò l’attacco con la massima rapidità e  violenza contro gli italiani che occupavano l’Ortigara e le quote circostanti. Sulla petraia martoriata dalle bombe, illuminata dalle fiammate terrificanti dei lanciafiamme, ricoperta da nubi di gas asfissianti, si consumò il sacrificio degli alpini e dei bersaglieri della Brigata Regina.
Dal buio, sbucarono all’improvviso le “pattuglie d’assalto”, costituite su tre Gruppi di Assalto,  armate di bombe a mano e lanciafiamme. Dopo una resistenza disperata la vetta insanguinata dell’Ortigara, trasformata in un enorme cimitero di soldati, ricadde in mano agli austriaci.
Nello stesso giorno alle ore 14.00 venne organizzato un contrattacco per riconquistare le posizioni perdute ma gli alpini ed i fanti, fortemente provati da molti giorni di durissimi combattimenti, vennero arrestati da una barriera di fuoco insuperabile.
Nei giorni successivi si fecero numerosi tentativi per riconquistare le trincee perdute, ma senza ottenere il minimo successo: ormai il destino dell’Ortigara era fatalmente segnato.
La lotta fu accanita, dalla baionetta al corpo a corpo, sino a precipitare avvinghiati giù nei ripidissimi canaloni che scendono in Valsugana.
Più a lungo resistettero i difensori di quota 2101 e di Passo dell’Agnella, ma dopo reiterati assalti del nemico, i due capisaldi passavano in mano avversaria. L’ultimo a cadere, il 29 giugno, fu il presidio di Passo dell’Agnella difeso da una sezione mitraglieri del Battaglione Cuneo, comandata dal tenente De Barbieri.
I 22 battaglioni alpini che parteciparono alla battaglia, insieme alle Brigate Regina e Piemonte e ai bersaglieri, persero 461 ufficiali dei quali 17 comandanti di Battaglione e 15.000 fra caduti, dispersi e feriti.
In totale la Sesta Armata perse 28.000 uomini fra caduti, dispersi, feriti e prigionieri su circa trecentomila soldati. Questa in sintesi la Battaglia dell’Ortigara in cui rifulsero il coraggio, l’abnegazione, la solidarietà umana e l’altissimo spirito militare di ufficiali, sottufficiali e soldati del Regio esercito italiano.
Un complesso di valori che sono ancora oggi vivo patrimonio degli Alpini.
Sull’Ortigara si è consumato il sacrificio di migliaia di anime semplici e generose.
Alpini, fanti, bersaglieri, granatieri, artiglieri, genieri, soldati dei servizi logistici, oltre al fiero e cavalleresco avversario, dovettero affrontare disagi di ogni genere, che misero a durissima prova il loro spirito e la loro capacità di resistenza. A tutti fu richiesta una prova decisiva e ciascuno, in base alla propria esperienza umana, la diede con la massima generosità.
Sebbene l’offensiva italiana contro le formidabili posizioni austro-ungariche non raggiunse i risultati prefissati, la Battaglia dell’Ortigara, nel quadro generale della guerra, servì a frenare la opprimente minaccia nemica verso la pianura vicentina e contribuì ad impegnare nel settore trentino una notevole massa di soldati austriaci a tutto vantaggio delle operazioni su altri fronti.
Su quelle aspre montagne, consacrate dal sangue dei due eserciti in lotta, alpini, fanti, bersaglieri, artiglieri, genieri e Kaiserjäger hanno scritto pagine di storia eroica che non possono essere dimenticate.
Questa rievocazione, a distanza di novanta anni da quei fatti d’arme, vuole ricordare alle generazioni di oggi e in particolare ai giovani alpini in armi e agli alpini della nostra Associazione il generoso sacrificio di migliaia di valorosi soldati che persero la vita per la Patria,  per l’affermazione di un grande ideale.
Per quei giovani soldati la loro Patria valeva più della vita. Da quei sacrifici e da quelle gloriose gesta del passato bisogna trarne motivo di riflessione ed esperienza per costruire una nuova Europa più unita dove trovi spazio un sereno clima di pace, libertà e progresso, senza più odi e rancori, tenendo sempre presente che non devono essere le armi a conquistare la pace, bensì la comprensione e la buona volontà degli uomini.
Quei tragici ed eroici eventi di novanta anni fa non sono solo pagine di storia, ma sono un prezioso patrimonio che ci riguarda direttamente e che ci deve unire nel dovere della memoria collettiva. Quelle rocce intrise dal sangue dei nostri padri e che conservano i resti dei nostri valorosi Caduti, ci invitano a riflettere e ci invitano ad avere, durante la nostra fatica quotidiana, comportamenti degni di quel loro supremo sacrificio.
Chi ha speso la sua giovane esistenza per la Patria non deve essere dimenticato ma deve essere ricordato e onorato con sentimenti di gratitudine e riconoscenza. Auspico che il ricordo del passato sia motivo di elevazione e rimanga sempre vivo nel cuore dei popoli d’Italia e Austria con la quale nazione da lungo tempo l’Italia ha stretti rapporti di amicizia e comuni interessi.
                               
                                                                                                     
                                                                                    Gen. B. (ris.) Tullio Vidulich

Bibliografia e Fonti
L’Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915 – 1918) – volume III, Le operazioni del 1916, Tomo 2° bis, (Documenti), Ufficio Storico S.M.E., Roma 1936;
L’Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915 – 1918) – volume IV, Le operazioni del 1917,Tomo 2°, Ufficio Storico S.M.E., Roma 1954;
L’Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915 – 1918) – volume IV, Le operazioni del 1917,Tomo 2°, (Documenti) Ufficio Storico S.M.E., Roma 1954;
Aldo Cabiati : Ortigara, Editore 10° Reggimento Alpini, Roma, 1934;
Como Dagna Sabina:  Ortigara – per non dimenticare, Editori Liber, Milano, 1934;
Gatti Angelo: Caporetto – dal diario di guerra inedito (maggio-dicembre 1917), Editrice Il Mulino, 1964;
Emilio Lussu: Un anno sull’Altipiano, Arnoldo Mondadori Editore, anno 1970;
Paolo Monelli: Le scarpe al sole: cronache di gaie e di tristi avventure di alpini di muli e di vino, Arnoldo Mondatori Editore, 1955;
Emilio Faldella: Storia delle Truppe Alpine, Editore Cavallotti e Landoni, Milano, 1972;
Gianni Pieropan: Ortigara 1917: il sacrificio della Sesta armata, Editore Mursia, 1974;
Gianni Pieropan: 1917 Gli Austriaci sull’Ortigara, Arcana Editrice, 1983, Milano;
Antonino Di Giorgio: La Battaglia dell’Ortigara, Editore Ardita, Roma, 1935;
Adler Battistini: Ortigara -  il Calvario degli Alpini, Editrice Narratori Moderni, Bologna, 1967;
Ettore Milanesio: Battaglione Sette Comuni, a cura del 10° Reggimento Alpini, Roma, 1934;
Schaumann Walter: La Grande Guerra 1915 – 1918: Prealpi venete e trentine, Ghedina e Bassotti, Bassano del Grappa, 1984;
Volpato Paolo – Massimo Bonomo: La prima adunata degli Alpini – Ortigara, 6 settembre 1920, Tipografia Bonomo, Asiago;
Karl Schneller: 1916 Mancò un soffio, Mursia, 1984, Milano;
Cartografia dell’Istituto Geografico Militare: Tavoletta di Cima Dodici dell’anno 1917;
Documenti dell’Archivio storico del Museo Nazionale Storico delle Truppe Alpine di Trento.

Ringraziamenti.
Ringrazio quanti hanno contribuito alla preparazione di questa mia conferenza e in particolare l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, il Museo Nazionale Storico delle Truppe Alpine, il Museo Provinciale della Grande Guerra di Gorizia, il Centro Studi A.N.A. di Milano, il Museo di Canove, il dottor Luca Girotto di Borgo Valsugana, il Dottor Massimo Bonomo e Paolo Volpato di Asiago e l’Archivio Storico Dal Molin.
Lettera testamento del sottotenente Ferrero.
L’ultima lettera scritta ai genitori, la sera prima dell’assalto, del sottotenente Adolfo Ferrero, di Torino, del 3° Reggimento Alpini, battaglione Val Dora, medaglia d’argento al V.M. alla memoria, caduto eroicamente il 19 giugno 1917 sul Monte Ortigara, le cui gloriose spoglie riposano nel Sacrario Militare  di Asiago. La lettera testamento venne ritrovata 41 anni dopo, ancora oggi il prezioso testamento testimonia la grande carica umana e spirituale che animava quella generazione di uomini in grigioverde:
                                                                                     ore 24, 18 giugno 1917
              “Cari genitori,
scrivo questo foglio nella speranza che non vi sia bisogno di farvelo pervenire. Non ne posso fare a meno. Il pericolo è grave, imminente.
Avrei un rimorso se non dedicassi a voi questi istanti di libertà per darvi un ultimo saluto. Voi sapete che io odio la retorica..... No, no, non è retorica quello che sto facendo. Sento in me la vita che reclama la sua parte di sole; sento le mie ore contate, presagisco una morte gloriosa ma orrenda.
Fra cinque ore vi sarà un inferno. Fremerà la terra, s’oscurirà il cielo, una densa caligine coprirà ogni cosa, e rombi, tuoni e boati suoneranno fra questi monti, cupi come le esplosioni che in questo istante medesimo sento in lontananza. Il cielo si è fatto nuvoloso; piove.
Vorrei dirvi tante cose, .....tante.....ma voi ve l’immaginate. Vi amo. Vi amo tutti tutti.....Darei un tesoro per potervi rivedere. Ma non posso.....il mio cieco destino non vuole. Penso, in queste ore di calma apparente, a te Papà, a te Mamma, che occupate il primo posto nel mio cuore; a te o Beppe, fanciullo innocente, a te, Adelina.....Che vi debbo dire? Mi manca la parola! Mi manca la parola: un cozzar d’idee, una ridda di lieti e tristi fantasmi, un presentimento atroce mi tolgono l’espressione...No, no, non è paura. Io non ho paura! Mi sento ora commosso, pensando a voi, a quanto lascio; ma so dimostrarmi forte dinanzi ai miei soldati, calmo e sorridente. Del resto anch’essi hanno un morale elevatissimo.
Quando riceverete questo scritto, fattovi recapitare da un’anima buona, non piangete. Siate forti come avrò saputo esserlo io. Un figlio morto in guerra non è mai morto. Il mio nome resta scolpito nell’animo dei miei fratelli; il mio abito militare, la mia fidata pistola (se vi verrà recapitata), gelosamente conservati, stiano a testimonianza della mia fine gloriosa. E se per ventura mi sarò guadagnata una medaglia, resti quella a Giuseppe.
O genitori, parlate, parlate, fra qualche anno quando saranno in grado di capirvi, ai miei fratellini, di me, morto a vent’anni per la Patria......Parlate loro di me; sforzatevi di risvegliare loro il ricordo di me ...Che è doloroso il pensiero di venir dimenticato da essi....Fra dieci, vent’anni forse non sapranno più d’avermi avuto fratello....A voi mi rivolgo. Perdono, perdono vi chiedo, se vi ho fatto soffrire, se v’ho dato dispiaceri. Credetelo non fu per malizia. La mia inesperta giovinezza vi ha fatto sopportare degli affanni: vi prego di volermi perdonare.....Spoglio di questa vita terrena andrò a godere di quel bene che credo di essermi meritato. A Voi Babbo e Mammma, un bacio, un bacio solo che dica tutto il mio affetto. A Beppe, a Nina un altro, ed un monito: ricordatevi di vostro fratello, sacra è la religione dei morti. Siate buoni. Il mio spirito sarà con voi sempre. Un bacio ardente d’affetto dal vostro affezionatissimo Adolfo”.

Lettera testamento del sottotenente  Giancarlo Conti.
Commovente, appassionata e piena di elevati sentimenti l’ultima  lettera  del sottotenente Giancarlo Conti, del Battaglione Alpini Bassano, classe 1893, nato ad Abbiategrasso, schierato con i suoi alpini in prima linea, sotto alle pendici del Monte Ortigara:

“Miei diletti genitori,
fra qualche ora dovrò affrontare le vicende della grande battaglia odierna e guidare i miei baldi, affezionati soldati alla vittoria. Affronto i pericoli del grande cimento con la più grande serenità, forte di quella fortezza che nasce dalla piena fiducia in Dio e nel completo abbandono nei suoi eterni decreti. Ho avuto nella mia vita tre grandi amori, l’un l’altro compenetrati ed alimentati  da un unico affetto e da una sola fiamma: Dio, la Patria, la famiglia. A Dio, protestando intera la mia fede, domando nuovamente perdono delle mie colpe; e lo ringrazio di ogni bene ricevuto dalla Sua Misericordia. Spero che il mio sacrificio sia propizievole alla salute eterna dell’anima mia ed alla vittoria decisiva delle armi nostre.
Per la Patria muoio contento, augurando ad Essa  ed a tutti i suoi figli giorni migliori. Alla famiglia, a voi genitori, mando il mio affettuoso saluto di devoto attaccamento, grato d’aver trovato in essa ogni gioia più pura e intima. Per voi, genitori, per voi, sorelle, per te, mio caro Alfredo, io prego da Dio la rassegnazione ai divini voleri e la forza di sopportare cristianamente il dolore immenso del mio sacrificio che io compio volentieri, per attestare con tanti altri fratelli la giustizia e la nobiltà della causa per la quale abbiamo combattuto ed offerto i nostri petti. Viva l’Italia! Giancarlo.”  

Padre Giulio Bevilacqua, da Brescia – che vi prese parte quale Tenente cappellano di complemento nelle file del Battaglione Alpini “Monte Stelvio” del 5° Reggimento Alpini, decorato con due medaglie al valore militare e che prese parte a quella battaglia- nel settembre 1920,  sacerdote (e poi elevato a Cardinale), in occasione della prima Adunata dell’Associazione Nazionale Alpini e dell’inaugurazione sulla cima dell’Ortigara della colonna mozza con la scritta “Per non dimenticare,” pronunziò una vibrante e  indimenticabile orazione per  ricordare e onorare la memoria dei Caduti, in cui fra l’altro disse:
“Alpini !
Fanti – Bersaglieri – Artiglieri – Fratelli tutti di passione !
Amici che voleste  salire con noi il calvario alpino !
Come ieri !
Come nel giorno nostro, grande e amaro !
Lo stesso cielo; l’identica montagna; un nemico davanti e uno alle spalle; un altare, una tomba sola, una solitudine sconfinata.
Come nel giugno imporporato del diciassette, come nel luglio del sedici; mesi di vendemmia per il sangue alpino quando avemmo ferro per pane, fuoco per la bocca senza saliva, sputi per compenso; quando la sera dell’immolazione restammo chiodati quassù, soli a saporare l’ultimo fiele della bevanda atroce !
Lo stesso cielo !
E’ l’identica sacra montagna; titano della terra lanciato all’assalto del cielo; capo regale che ha insegnato alle fiamme verdi la scienza dell’onore; il sale della vita. Si può arrestarsi, impallidire, ma piegare, mai !
Una tomba sola !
Solo qui potevamo celebrare il nostro rito di passione. Qui dove tutto è stato dato e dove nulla è stato chiesto.
Alpini! Superstiti sbandati del gregge di morte!
Sentite! Da l’Ortigara abbiamo cominciato la glorificazione del sacrificio alpino.
Qui non vi è pietra non sacrata dal crisma del sangue; non vi è roccia che su le lastre più sensibili non abbia fissata l’ombra di esseri che volavano e non avevano le ali; vere api di acciaio e di terra, attratte non da un pulviscolo di fiori e di sole, ma da un velo di piombo più fitto della neve, tessuto da una scienza asservita ad un sinistro segno d’universale distruzione.
Una tomba sola, ma agitata, ma vivente !
Per sedici giorni tenemmo testa all’inferno!
L’Ortigara è la parola inesprimibile di quindicimila morti; l’altare di Cristo esprime l’inesprimibile, esaurisce la possibilità di soffrire; è il riflettore gigante che fruga ogni abisso d’ombra, che stampa su la fronte dell’alpino eretto e fermo, come su la schiena della pattuglia che recede, l’unico sigillo della grandezza, l’unico principio della condanna: “Bisogna morire per vivere !”
Ortigara !
Cattedrale degli alpini !
Momento zenitale del sacrificio umano !
Monte della nostra trasfigurazione !
Incubo e sogno delle nostre notti !
Anima insanguinata dell’umana passione alpina.”

Sull’Ortigara la lotta fu furiosa, violentissima, a colpi di baionetta, sino a precipitare avvinghiati nei ripidi canaloni che scendevano in Valsugana.
Ascoltiamo ora un eroico episodio di questa cruenta battaglia tratto da “Le Scarpe al sole” (nel gergo degli alpini mettere le scarpe al sole significa morire in combattimento), scritto nel 1921, da Paolo Monelli, ufficiale di complemento della Grande Guerra, scrittore e giornalista. E’ il libro degli alpini valorosi, che dominarono il nemico e la montagna; protagonisti, con i loro fieri avversari austriaci, delle battaglie più alte del mondo e insieme più acrobatiche. 
All’alba urla d’attacco, di vittoria, di morte, nel buio. Allarme sconnesso, poi un viso segnato di sangue che annuncia la cosa.
Il presidio della 2003 è sopraffatto, gli austriaci son qui, il medico telefona che son già alla sua grotta e che si ritira, inutile richiamarlo, non risponde più, il soldato Pretto arriva e spiega come è andata la faccenda, e come è scampato, dopo esser già stato circondato.
Dopo una notte così calma che gli pareva d’ essere in malga, ecco che da lassù a sinistra si son veduti ruzzolare addosso un battaglione ungherese che vociava “vigliacchi italiani arrendetevi”; e giù una grandine di bombe, una mischia accanita nei camminamenti e attorno alle nostre due mitragliatrici finchè non le spezzarono le bombe; e lui, Pretto, ha veduto il capitano Ripamonti ferito, svenuto, sulle spalle d’un alpino che cercava di salvarlo, ferito anche lui; e voleva aiutarlo, ma s’è visto addosso due giganteschi ungheresi che gli urlavano “in cinocchio, precare, precare”, e tutt’attorno morti e feriti, e la posizione perduta; e allora “ghe go piantà la baionetta nela pansa a un, quel’altro lo go butà zo par la Valsugana, e mi son qua.”
Ci si acconcia a disperata difesa a pochi metri dal nemico. Ed ecco, ancora una volta, tutte le batterie dell’Austria su questi brandelli di compagnie, e urli di colpiti, e gemiti senza fine, senza fine.
Non ci si può muovere più. Dove uno s’è ficcato ci resti, e preghi Iddio che non ci picchi dentro la pallottola o lo scheggione. Tutto il costone è battuto. Il suolo dà l’impressione che sia percosso da correnti elettriche, frigge, crepita, chi si sposta può rimanere paralizzato, le gambe spezzate, il rene spaccato.
E il lagno del sergente col rene spaccato dura monotono, uguale, dall’alba.
Arriva un soldato – è guizzato immune fra quel crepitìo – porta un biglietto di Poli. Il capitano Ripamonti con otto o dieci buchi nel corpo di bombe a mano era stato trascinato via dalla cima da un suo soldato, poi il soldato era stato fracassato da una granata, e Ripamonti con una nuova ferita gemeva là sotto, allo scoperto. Andarlo a prendere, un suicidio. Ma Sommacal ha detto:
“El me capitano, ho da andar a torlo.” Ed è uscito fuori, Piazza il portaferiti l’ha seguito, gli austriaci, stupefatti, cavallereschi, hanno lasciato fare. Il capitano in barella deve esser già rientrato, a quest’ora. Questo dice il biglietto del tenente: dice anche, poscritto, che di dove sono nessuno li smuoverà, finché c’è penna d’alpino.
Il portaordini è in piedi, contro alla parete, faccia tagliata da uno sgraffio, occhi duri e chiari.
Casagrande, l’aiutante maggiore, sussurra qualche cosa al maggiore.
E il maggiore dice:
“Alpino, tu sei stato retrocesso un mese fa da caporale, perché a Barricate hai preso una sbornia stupida ed hai lasciato mangiare i viveri di riserva ai tuoi uomini. Da quattro giorni, qui all’Ortigara, ti porti bene. Ieri hai salvato il pezzo da montagna ed incoraggiato i tuoi compagni. Ti promuovo caporale sul campo per merito di guerra.”
E il maggiore gli stringe la mano. Mi prende un nodo alla gola, intuisco la bellezza del gesto, fra noi morituri, presi nel macinìo della battaglia disperata. E che cosa importa se la burocrazia ritarderà d’un anno o negherà la sua sanzione?
Un brivido rianima la volontà, coscienza che ogni sacrificio è accettabile per un’oscura bellezza morale che ci sovrasta ed a cui non sappiamo dar nome.
Più alta che la patria, più forte che il dovere. Umanità, forse. Ci sgozziamo ferocemente in un macello che ci ripugnerà domani, per valori che saranno angusti o nulli domani. Ma uomini siamo, con dignità d’uomini, con questa potenza di chiudere in un gesto la giustificazione e la ragione della vita.
                                                                                  Generale B. Tullio Vidulich

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