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venerdì 26 dicembre 2014

30 dicembre 1943. Cadevano le bombe su Borgo, foto e ricordi…


di Aldo Giovannini
Era il 1943. E ora vogliamo ricordare a tutti i borghigiani che  il prossimo martedì 30 dicembre 2014, avrà luogo a Borgo San Lorenzo il 71° Anniversario del bombardamento aereo, durante la seconda guerra mondiale,  avvenuto giovedì 30 dicembre del 1943, che causò la morte di 109 concittadini, compreso il padrone del cane Fido, Mario Soriani di Luco di Mugello, che all’epoca lavorava alle Fornaci Brunori, parzialmente distrutte da un grappolo di bombe dei bombardieri B/23 e B/25 alleati. In un manifesto ufficiale dell’amministrazione comunale ricorda a tutti i cittadini il programma della giornata con il seguente comunicato: “- Il sindaco e l’Assessore alla Cultura invitano gentilmente tutta la cittadinanza, martedì 30 dicembre 2014, a partecipare all’iniziative in occasione del 71° Anniversario del bombardamento su Borgo San Lorenzo, che si svolgeranno con il seguente programma:
Ore 11,00 piazza Dante, inaugurazione di una targa dedicata a “Fido – esempio di fedeltà” con esecuzione di canti. Ore 17,30 Palazzo comunale, partenza del corteo per la deposizione di una corona di alloro al Monumento alle Vittime Civili di tutte le guerre in piazza del Poggio. Il corteo sarà accompagnato dalla Banda Musicale dell’Associazione Filarmonica “Giuseppe Verdi” di Signa. Ore 18, 00 celebrazione della Santa Messa in memoria dei caduti che si svolgerà presso il Santuario del SS. Crocifisso (in Pieve ci sono le prove del complesso musicale per il concerto serale).

Ore 21,00 Pieve di San Lorenzo, “Petite Messe solennelle” di Gioacchino Rossini, concerto che rientra nella stagione lirico-sinfonica a cura dell’Associazione Culturale Camerata de’ Bardi” e della Corale “Santa Cecilia”. Tutta la cittadinanza, segnatamente  i parenti delle vittime, sono gentilmente invitati. Ecco alcune immagini d’epoca inerenti a questa cerimonia.
(Aldo Giovannini)

Fonte: 
http://www.okmugello.it/borgo-san-lorenzo/30-dicembre-1943-cadevano-le-bombe-su-borgo-foto-e-ricordi/
okmugello.it

giovedì 25 dicembre 2014

Storia di Vuon, che è tornato a "camminare"


Padre Luca (Cambogia)
La prima volta che ho incontrato Vuon, mi trovavo in viaggio con alcuni cristiani della nostra comunità di Kdol Leu. Passando vicino alla missione di Kratiè, ci siamo fermati un attimo a salutare quel trionfo di tenerezza e bontà che è suor Savier, anziana missionaria thailandese. Appena sceso dal pulmino vedo un giovanotto venirmi subito incontro, cammina a fatica a causa di un’evidente storpiatura delle gambe, ma sfoggia un bellissimo sorriso a 34 denti (mancandogli due incisivi). Mi chiama lopok, cioè “padre”, come sono chiamati i sacerdoti in Cambogia. Lo guardo meglio, ma non è un volto conosciuto. Si presenta, si chiama Vuon e sta andando a Ratanakiri, la sua provincia natale, per prendere le ceneri dei genitori e portarle in una pagoda di Kratiè. Parliamo un po’ e mi spiega che, da alcuni mesi, sta studiando al Centro per disabili dei Gesuiti vicino a Phnom Penh. Al momento di salutarlo e riprendere il viaggio, avendo saputo che è al verde, gli lascio qualcosa, ma non molto, perché purtroppo mi faccio prendere dal dubbio che forse non sia tutto vero quello che mi ha detto. E lui, in cambio, mi dà una piccola colomba di legno che ha intagliato al Centro.Parto con l’idea di non rivederlo più. Ma nel pomeriggio, sulla strada del ritorno, ritrovo Vuon da un benzinaio mentre sta ancora aspettando un mezzo di trasporto per andare a Ratanakiri. Quando mi vede mi abbraccia commosso. Quel gesto mi intenerisce, forse Vuon è più onesto di quello che penso. 

Dopo alcuni mesi, dovendo passare dal Centro dei gesuiti, ne approfitto per chiedere di Vuon. Lo chiamano e quando mi vede è tutta una festa, mi presenta i suoi amici, mi fa vedere la casetta dove vive e mi spiega che nel frattempo ha iniziato il corso di agricoltura e allevamento. La stessa scena si ripete quando ritorno dopo un paio di mesi, stavolta però mi fa conoscere anche i suoi insegnanti e mi porta a visitare i porcili e i pollai. Mi viene allora un’idea: proprio in quelle settimane, con il Consiglio Pastorale stiamo valutando la possibilità di iniziare un piccolo progetto di allevamento di polli e maiali; ne parlo con padre Indoon, giovane gesuita coreano responsabile del Centro. All’occasione successiva faccio la proposta a Vuon. È felicissimo. Fra poco concluderà il corso e non gli sembra vero di avere già un lavoro.

Il giorno che andiamo insieme a Kdol Leu, Vuon è tutto emozionato, durante il viaggio in macchina mi sommerge di idee per il nostro progetto. Si mette subito al lavoro: porcile, pollaio, casetta per anatre e tacchini... Non perde tempo. Ogni mattina, prima di iniziare le attività, partecipa anche alla Messa. Non è cristiano ma gli piace (...all’inizio aveva scambiato la chiesa per un ospedale, e non è l’unico!). Ascolta attentissimo le letture, e anche la mia omelia (e qui forse è proprio l’unico!). Una mattina durante la colazione mi dice: «Stamattina finalmente ho capito: Dio Padre ha mandato Gesù suo Figlio per salvarci!». Rimango sbalordito. Quella mattina a Messa erano venuti in due, lui e l’immancabile Jei Niang. All’omelia mi ero imposto di dire comunque un pensiero e, mezzo tramortito dal sonno, avevo sbiascicato appunto quel concetto, vergognandomi un po’ perché mi sembrava il più banale del mondo. E guarda invece che effetto aveva avuto su Vuon.

Un venerdì di Quaresima, durante la Via Crucis, vedo Vuon stare dietro a tutti. Forse non capisce cosa stiamo facendo, penso.Arrivati a metà, mi accorgo che Vuon è sempre indietro di una stazione, e si ferma a guardare fisso con gli occhi spalancati i quadretti con le immagini di Gesù che porta la croce. Rimango molto colpito e il giorno dopo gli chiedo come sia andata. Mi dice: «Padre, Gesù ha sofferto proprio tanto. Lui sì che può capire le mie sofferenze...». Inizia a raccontarmi dei suoi genitori, morti insieme su una mina anti-uomo mentre andavano a fare legna nella foresta, quando lui aveva appena tre anni. Mi racconta di come, essendo figlio unico, sia stato affidato al capo tribù del suo gruppo etnico, una specie di stregone, e di come un giorno si sia infilato in una camionetta di militari per andare a Phnom Penh a cercare fortuna. Arrivato nella capitale, viene preso sotto la protezione di un uomo senza scrupoli che lo manda in giro a chiedere l’elemosina e poi, alla sera, gli porta via tutto il ricavato. Vuon riesce a muoversi solo a gattoni, a causa di una poliomielite avuta qualche anno prima, è indifeso e in balìa degli altri. Spesso per la fame è costretto a mangiare quello che trova per terra, come ad esempio i resti dei panini lasciati dai turisti. Molti suoi compagni di strada fanno uso di droghe, sniffano la colla da scarpe, ma lui si oppone, e per questo viene picchiato e isolato. Alcuni di loro moriranno in quegli anni. Vuon resiste, finché un giorno una signora lo vede per strada e prova compassione. Si tratta di una donna svizzera che lavora in Cambogia per progetti sociali, conosce alcuni chirurghi e propone a Vuon di tentare un’operazione per farlo camminare. L’operazione riesce. Finalmente riprende a camminare sulle sue gambe seppure con una certa fatica. Dopo alcuni mesi, dopo aver trovato lavoro in una piantagione di verdure, incontra per caso padre Gerald, missionario francese, che gli propone di studiare al Centro per disabili dei Gesuiti. Vuon accetta e si sposta là. 

Io ascolto Vuon commosso, altroché se ha capito il senso della Via Crucis! Durante i suoi primi cinque-sei mesi con noi, è sempre raggiante, contento e orgoglioso del suo lavoro. Ma un giorno, accade l’imprevisto: muore una delle due scrofe. Vuon mi telefona piangendo a dirotto per darmi la notizia. Cerco di consolarlo, ma da quel momento qualcosa in lui cambia, non è più gioioso come prima. Nei mesi successivi iniziano ad arrivarmi voci che, quando io non sono al villaggio, è spesso ubriaco e ne dice contro tutto e tutti. Resto sorpreso e stento a crederci perché quando gliene parlo sembra invece tutto a posto. Finchè un giorno le prove sono lampanti, ed è addirittura il nostro Vescovo ad esserne testimone. Si decide che Vuon non possa più rimanere con noi, la situazione è troppo compromessa. Viene allora accolto da una coppia del nostro villaggio che ha un progetto sociale in città. Ma anche lì, la stessa storia. Vuon è il primo ad esserne afflitto, si rende conto del problema e si dispera. C’è però una piccola luce ora a sostenerlo: ha con sé un’immaginetta di Gesù, in quei momenti la guarda e si sente consolato. Purtroppo però deve andarsene anche da là, decide allora di tornare a Phnom Penh per cercare un nuovo lavoro. Continuiamo a sentirci per telefono, ma dopo alcune settimane ne perdo le tracce. Finché un giorno mi chiama: «Padre, sono a Siam Reap, sto lavorando in un progetto agricolo dei gesuiti!». Sono contento per lui, e spero che stavolta vada tutto bene. Ma dopo un paio di mesi, mi richiama per dirmi che è passato ad un altro progetto agricolo gestito da un giovane cattolico filippino. Penso: «Ecco, ci risiamo...». Rimango allora in attesa di una terza telefonata per sentirmi dire che ha cambiato ancora una volta lavoro. E invece non arriva. Mi chiama sì, ma per dirmi che sta bene, che lavora ed è contento. E poi, un bel giorno, per dirmi che... ha trovato moglie! 

Vuon e Mom si sposano secondo il rito semplice dei poveri, e presto arriva anche una bella bimba. Vivono in una capanna ma iniziano subito a mettere da parte i soldi per farsi una casetta. Il suo datore di lavoro mi conferma che Vuon si sta veramente dando molto da fare, ha anche iniziato un cammino di catechesi con sua moglie, e non beve più da parecchio tempo. In quel periodo, mi telefona spesso, sento in sottofondo i vagiti della piccola, la voce della mamma. Vorrebbe venire a salutarci a Kdol Leu, perché sono più di due anni che non ci vediamo, ma è troppo lontano.

Poi, due settimane fa, ecco l’occasione: nei documenti ha ancora la residenza qui con noi e deve cambiarla. Ne approfitta per venire con tutta la famiglia. Arrivano e... sorpresa: non sono in tre ma in quattro! Perché c’è anche un altro bimbo, il figlio avuto da Mom con un uomo che poi l’ha abbandonata al terzo mese di gravidanza. Parliamo a lungo, mi raccontano tante cose. Vuon mi dice che ora, quando si trova qualche soldo in tasca, non riesce più a spenderlo per sé, perchè gli viene subito in mente la sua piccolina e quello di cui potrebbe avere bisogno. Mentre li ascolto, ripenso dove era Vuon solo qualche anno fa e provo tanta ammirazione per lui. Quando ci lasciamo, consegno loro un aiuto per completare la loro nuova casetta, gli spiego che non sono soldi miei ma dei tanti amici che ci aiutano dall’Italia. Vuon con le lacrime agli occhi ringrazia Dio e promette di pregare ogni giorno per questi amici

Quando penso a Vuon, penso ad una persona in camminoavrebbe mille ragioni per fermarsi, prendersela con la vita, rivendicare tutto quello che non ha avuto, e invece va avanti, con il suo passo strascinato a causa della poliomelite e di altre ferite ben più profonde che solo Dio conosce, va avanti. Penso a sua moglie Mom e a Somnang (in khmer significa “Fortunato”) suo primo figlio. E penso alla loro bimba, Maria. Hanno infatti voluta chiamarla così in onore della mamma di Gesù. 

Ripenso allora anche alla Vergine Maria e al suo sposo Giuseppe, che di sandali ne devono avere consumati tanti per le strade di Israele, in un cammino interiore ben più lungo e faticoso: quello della speranza e della fiducia, perché la vita è in mani ben più grandi delle nostre e io sono immerso in un progetto buono, in un infinito desiderio di bene che riesce a ricucire strappi troppo grandi e sanare ferite troppo profonde. C’è quindi da avere, come Maria e Giuseppe, e come Vuon, sempre tanta speranza. È quello che vi auguro di cuore per questo Natale. Fonte: http://www.tracce.it/default.asp?id=344&id_n=45300

tracce.it

mercoledì 24 dicembre 2014

Scoppia un ordigno bellico: la Cassazione alle prese con i delitti di crollo colposo di costruzioni e disastro innominato


Cass. pen., sez. IV, 8 ottobre 2013 (dep. 19 giugno 2014), n. 26482, pres. Zecca, rel. Massafra, imp. Ietto e altro.

[Alessandra Galluccio]


1. La sentenza in commento ha ad oggetto una curiosa fattispecie concreta: l'esplosione di un ordigno interrato - più volte segnalato alle autorità competenti e mai rimosso - risalente alla seconda guerra mondiale, con conseguenti ingenti danni alle costruzioni prossime alla sede di deflagrazione. Il caso, quasi di scuola, offre l'occasione di soffermarsi sul tema della posizione di garanzia incombente su sindaci e prefetti, nella loro veste di organi decentrati di protezione civile. La vicenda costituisce, inoltre, un buon esempio di come la figura deldisastro innominato colposo (ex artt. 434 e 449 c.p.) vada "maneggiata con cura", se si intendono evitare pericolose frizioni con i fondamentali principi di legalità ed offensività del diritto penale.

2. Il caso di specie trae origine da una fortuita scoperta - risalente al luglio del 1995 - ad opera di una residente del comune di Ostiglia, nel mantovano. La donna, rovistando tra i vecchi documenti appartenuti al nonno, aveva rinvenuto copia di una lettera da lui indirizzata - nel gennaio del 1955 - all'allora sindaco del piccolo comune; la missiva denunciava la presenza, nella proprietà di famiglia, di una bomba da areoplano inesplosa, risalente al periodo della guerra ed interrata in profondità.
Allarmata dalla scoperta, la donna si era rivolta al sindaco del luogo, al quale aveva consegnato copia della missiva e riferito di avere appreso da un colloquio con la madre che il nonno, dopo la guerra, aveva effettivamente tentato di far bonificare l'area di sua proprietà; gli artificieri incaricati della bonifica tuttavia, pur avendo effettivamente individuato la presenza di un ordigno, non erano riusciti a estrarlo dalla sua sede per via di una serie di ostacoli che si erano all'epoca presentati. La bomba, insomma, non risultava essere mai stata rimossa.
Nell'agosto del 1995 il sindaco aveva segnalato l'esistenza della missiva al comandante della stazione dei Carabinieri del luogo. Solo nel marzo del 2001 tuttavia - al subentro di un nuovo comandante di stazione -  si era provveduto a trasmettere l'informazione alla Prefettura di Mantova, che celermente aveva comunicato al COMFOD di Vittorio Veneto il nulla osta all'intervento di personale specializzato per la rimozione dell'ordigno. Nel dicembre dello stesso anno, il COMFOD aveva incaricato del sopralluogo sul posto la direzione del Genio militare di Padova e invitato la Prefettura ad indicare a chi andassero addebitati gli oneri dell'operazione (se al proprietario del terreno o al Ministero degli interni).
Il comando del Genio militare di Padova aveva, innanzitutto, avvertito tanto la Prefettura quanto la stazione dei Carabinieri di Ostiglia della necessità di evitare qualunque attività di scavo nella zona indicata come pericolosa; aveva poi eseguito il sopralluogo richiestogli nei primi giorni di gennaio del 2002 ed evidenziato che la ricerca richiedeva interventi ad una profondità minima di cinque metri, con un costo preventivabile di circa 7.500 euro; aveva quindi comunicato alla Prefettura di essere in attesa del via libera per procedere.
Nel novembre dello stesso anno, il comando del Genio militare di Padova aveva nuovamente scritto alla Prefettura, segnalando di non aver ancora ricevuto alcun riscontro né relativamente alla esecutività dell'intervento né riguardo all'indicazione del soggetto a cui addebitare gli oneri dell'operazione. Nessuna risposta era giunta al comando del Genio fino al 20 marzo del 2003, data in cui nel comune di Ostiglia -  proprio nell'area indicata dalla missiva - una bomba era esplosa durante la notte,danneggiando gravemente le due abitazioni limitrofe alla sede della deflagrazione.

3. Nel settembre del 2010 il Tribunale di Mantova condannava I.G. - prefetto di Mantova alla data dello scoppio - e B.G. - sindaco di Ostiglia nella medesima data - avendoli dichiarati responsabili del reato di cui agli artt. 113, 434, 449 c.p. «perché in cooperazione fra loro [...] per colpa consistita in negligenza, imprudenza imperizia e in particolare in violazione degli artt. 5, 14, 15 della l. 225/1992 in materia di protezione civile [...] pur essendo stati investiti di specifiche attribuzioni omettevano di intervenire e di adoperarsi per ottenere l'emanazione di apposita ordinanza della Presidenza del consiglio dei ministri o del Ministro dell'interno atta a rimuovere un ordigno posto sotto una strada privata di uso pubblico [...] mediante bonifica dell'area anzidetta al fine diprevenire un evento dannoso consistito nell'esplosione del medesimo ordigno che avveniva il 20 maggio 2003 per cause imprecisate nei giorni in cui nella zona erano in atto lavori di scavo per la costruzione di un condominio a più piani autorizzati dal sindaco [...]cagionando il crollo dello stesso o di parte del medesimo derivando dal fatto pericolo per la pubblica incolumità nonché danni gravi e lesioni alle strutture portanti degli edifici e la formazione di un cratere».
Nel gennaio 2012 la Corte d'appello di Brescia dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati per intervenuta prescrizione del reato loro ascritto, confermando tuttavia le statuizioni civili. Gli imputati ricorrevano per cassazione, deducendo vizi relativi tanto allaconfigurabilità di una posizione di garanzia in capo al sindaco ed al prefetto in questi casi, quanto una erronea applicazione della legge penale in relazione all'interpretazione del reato di cui agli artt. 434 e 449 c.p.

4. La Suprema corte respinge i ricorsi degli imputati dichiarandoli infondati.

5. Per quanto concerne le doglianze relative alla presunta insussistenza di una posizione di garanzia in capo al sindaco ed al prefetto nel caso di specie, la Corte osserva che con la legge 225/1992 - istitutiva del Servizio nazionale delle protezione civile - le attività di tutela dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi o da altri eventi calamitosi (art.1), sono state dal legislatore ampiamente decentrate[1].
Ciò è avvenuto, in particolar modo, attraverso la distinzione - operata dall'art. 2 della legge -  degli eventi rilevanti ai fini delle attività di protezione civile in tre categorie:
a) eventi naturali o connessi con le attività dell'uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;
b) eventi naturali o connessi con le attività dell'uomo che per loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria;
c) calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari.
L'art. 15 l. 225/1992, che disciplina i compiti del sindaco, stabilisce che quest'ultimo - in qualità di autorità comunale di protezione civile(art. 15 c. 1) - al verificarsi di un'emergenza nell'ambito del territorio comunale assume la direzione e il coordinamento dei servizi di soccorso ed assistenza alle popolazioni colpite e provvede agli interventi necessari, dandone immediata comunicazione al prefetto ed al presidente della giunta regionale (art. 15 c.3); si tratta, evidentemente, dellagestione degli eventi di cui alla lettera a) dell'art. 2 della medesima legge: quegli eventi, cioè, che per le loro caratteristiche possono essere fronteggiati dalle amministrazioni competenti in via ordinaria.
Relativamente, invece, agli eventi di cui alle lettere b) e c) dell'art. 2 - quegli eventi cioè che per loro natura, intensità o estensione non possono essere gestiti dalla singola amministrazione ordinariamente competente - il c. 4 dell'art. 15 stabilisce che il sindaco chieda l'intervento di altre forze e strutture al prefetto, che adotta i provvedimenti di competenza coordinando i propri interventi con quelli dell'autorità comunale di protezione civile.
L'art. 14 l. 225/1992, che disciplina l'attività di organo decentrato di protezione civile del prefetto, afferma - specularmente rispetto a quanto già osservato in tema di compiti del sindaco - che al verificarsi di uno degli eventi calamitosi di cui alle lettere b) e c) dell'art. 2 l. 225/1992 quest'ultimo provvede, tra l'altro, ad assumere la direzione unitaria dei servizi di emergenza da attivare a livello provinciale, coordinandoli con gli interventi dei sindaci dei comuni interessati (art. 14, c. 2, l. b).
L'art. 3 della medesima legge, inoltre, stabilisce inequivocabilmente chesono attività di protezione civile - tra le altre - quelle volte allaprevisione e prevenzione della varie ipotesi di rischio, precisando che: «per previsione si intendono le attività dirette allo studio ed alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione dei rischi e alla individuazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi»; la prevenzione consiste, invece, nelle «attività volte ad evitare o a ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti agli eventi di cui all'art. 2 l. 225/1992, anche sulla base di conoscenze acquisite per effetto delle attività di previsione».
Il quadro normativo, insomma, lascia pochi margini di dubbio. Ed anche la giurisprudenza di legittimità afferma compatta che «al sindaco, quale autorità locale di protezione civile [...] compete la gestione dell'emergenza provocata da eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo [...]; se questi eventi non possono essere fronteggiati con i mezzi a disposizione del comune, questi è tenuto a chiedere altri mezzi e strutture al prefetto, che adotta i provvedimenti di competenza coordinandoli con quelli del sindaco le cui attribuzioni hanno natura concorrente (e non residuale) con quelle del prefetto che ne ha la direzione. Ne consegue che in tale ultima evenienza, fino a quando il prefetto non abbia concretamente e di fatto assunto la direzione dei servizi di emergenza, il sindaco mantiene integri i suoi poteri e gli obblighi di gestione dell'emergenza ed in particolare quelli di allertamento e di evacuazione delle popolazioni che si trovino nelle zone a rischio, indipendentemente dall'esistenza di una situazione di urgenza»[2].
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http://www.penalecontemporaneo.it/area/1-scienza/-/-/3564-scoppia_un_ordigno_bellico__la_cassazione_alle_prese_con_i_delitti_di_crollo_colposo_di_costruzioni_e_disastro_innominato/

La bomba ritrovata a Piedimonte Matese è stata fatta brillare. Aveva una potenzialità notevole hanno affermato gli artificieri


C'è qualcuno a Piedimonte Matese che deve ringraziare due volte il Signore che nasce stanotte. Parliamo di chi ha asportato la bomba ritrovata giovedì scorso in località Madonna del Loreto presso la frazione di Piedimonte Matese, ovvero Sepicciano. L'ordigno, un proiettile di mortaio, era perfettamente funzionante ed aveva una potenzialità notevole, secondo gli artificieri intervenuti sul posto. Quindi la persona che lo ha portato via lunedì all'alba e poi lo ha riportato quasi al suo posto, ieri martedì 23 dicembre, ha rischiato non solo lui, ma anche il ricovero dove ha custodito la bomba. Infatti era perfettamente funzionante anche l'innesco e, soprattutto, bastava un minimo di oscillazione sulla spoletta è il proiettile deflagrava con tutta la potenza che si è potuta constatare questa mattina a San Potito Sannitico, dentro una cava in disuso, laddove finalmente, gli artificieri lo hanno fatto brillare. Sul posto Carabinieri, Vigili Urbani, Ambulanza e l'Esercito Italiano. Tutto è filato liscio e si chiude quindi il capitolo bomba a Piedimonte Matese, almeno per il momento, atteso che di ordigni bellici in giro per la città pare ve ne siano ancora troppi disseminati nei luoghi di guerra. Fonte: http://www.caiazzorinasce.net/2014/12/san-potito-sannitico-la-bomba-ritrovata.html
caiazzorinasce.net

Bomba a mano trovata in un mobile antico, questa mattina sono intervenuti gli artificieri dell'Esercito


E' stato necessario l'intervento degli artificieri del 32° reggimento del genio dell'Esercito per far brillare un ordigno bellico che era stato trovato in un'abitazione di Verbania. La bomba a mano - risalente alla Seconda guerra mondiale - era stata rinvenuta nei giorni scorsi nel fondo di antico mobile. Così, su segnalazione della prefettura, è stato richiesto l'intervento del genio. Dopo aver riconosciuto l'ordigno gli artificieri intervenuti da Torino lo hanno distrutto per brillamento in un'area sicura. Fonte: http://www.lastampa.it/2014/12/24/edizioni/verbania/cronaca/a-verbania-fatta-brillare-una-bomba-della-seconda-guerra-mondiale-GGlIqx6I2W2xLOTtPmPrtN/pagina.html
lastampa.it


martedì 23 dicembre 2014

Bomba a mano di un secolo nel Garda


Un secolo nelle acque del Garda. Eppure per gli artificieri quella bomba a mano,
residuato della Prima guerra mondiale, era ancora potenzialmente in grado di esplodere.
Era rimasta fino a qualche settimana fa sul fondale antistante la spiaggia di via Tavine, a
Salò, dove l'hanno notata alcuni sub impegnati in un'immersione.
La bomba a mano ha cessato di essere pericolosa solo questa mattina, quando è stata fatta
brillare in una cava a Soprazzocco di Gavardo. Ultimo atto dopo che chi l'aveva scoperta ­
abbandonata sotto una coltre di anni e di acqua ­ ne aveva denunciato la presenza al
Comando della Polizia Locale salodiana. L’area era stata quindi interdetta alla navigazione, alla balneazione e alle immersioni subacquee. Ieri, ottenuti i permessi per la rimozione dell’ordigno, la bomba è stata recuperata dagli artificieri del Decimo Reggimento Guastatori dell'Esercito, giunti da
Cremona, e fatta brillare. Tutto dopo che a recuperarla avevano provveduto i


sommozzatori della Marina Militare giunti appositamente da La Spezia. Fonte: http://cento.virgilio.it/notizielocali/bomba_a_mano_di_un_secolo_nel_garda-44255415.html

Il VANGELO secondo le SCHEGGE: da ordigni di morte a messaggi di speranza


Anche una mostra in preparazione alla Marcia Nazionale per la Pace.
Dopo i concerti e le conferenze susseguitesi per tutto il mese di dicembre, all'Oratorio del Gonfalone in Piazza Duomo a Vicenza apre una particolarissima mostra di sculture che parlano di pace.
L'autore è un prete vicentino, don Adriano Campiello, che, oramai da molti anni, trasforma schegge di granata e altri residuati bellici in manufatti artistici che parlano di speranza, pace e fraternità.
 
La mostra sarà aperta mercoledì 24 dicembre e sabato 27 dicembre dalle 15 alle 18. Domenica 28 dicembre dalle 10.30 alle 13 e dalle 15 alle 18. Lunedì 29 e martedì 30 dalle 15 alle 18. Mercoledì 31 dicembre dalle 10.30 alle 13 e dalle 15 alle 18.

L’AUTORE E LA SUA ISPIRAZIONE

“Nel mio piccolo, ho realizzato quanto diceva il profeta Isaia: “Forgeranno le loro spade in aratri, le loro lance in falci (Is 2,4).”
Si presenta così Adriano Campiello e così presenta le proprie opere:
strumenti di guerra che parlano di pace;
strumenti di morte che parlano di vita;
strumenti di orrore che parlano di bellezza;
strumenti di odio che parlano d’amore.
Adriano Campiello è nato a Vicenza nel 1936. Per oltre vent’anni è prima coadiutore e poi parroco a Posina, alle pendici del Monte Pasubio. E’ proprio questa montagna il primo motivo d’ispirazione per le sue SCHEGGE. L’amore per i monti e per le lunghe passeggiate conducono don Adriano ad “incontrare” i tragici segni lasciati dai terribili scontri e dalle interminabili ore di trincea durante la prima guerra mondiale. Nel marzo 1918 cinquantamila chilogrammi di esplosivo vennero fatti detonare nel Dente Italiano provocando la morte di centinaia di persone e lasciando sui luoghi di battaglia grandi quantità di materiale bellico. Don Adriano fu colpito e attratto da questi materiali, reliquie ferrose che cominciò a raccogliere, dapprima con l’intento di documentare quei tragici fatti, poi, con l’idea di ricavarne degli oggetti. Era il 1968. Nel tempo, don Andriano ha realizzato duecentocinquanta opere oggetto di circa centosettanta esposizioni. Realizza soprattutto temi religiosi ma non trascura anche i soggetti profani. Non è scultore – non toglie alla materia – ma compositore: assembla, accorda, armonizza schegge e materiale bellico nelle sue infinite e tragiche declinazioni. Ogni sua opera nasce con il minor numero di schegge possibile: è la scheggia che parla, non l’autore.
 
LE SCHEGGE

I materiali utilizzati da don Adriano appartengono solo alla prima Guerra Mondiale. Per anni nascoste dalla terra intrisa di sangue, le schegge sono intatte, così come generate dalla guerra. Sono schegge di granate, bombe, fucili, elmi; selezionate, ordinate e studiate nelle linee e nelle forme. Inizialmente prive di una propria identità, poi sono guardate, osservate, studiate dall’artista e infine accordate e associate secondo la sua sensibilità. Don Adriano legge ogni singolo elemento e lo riporta a nuova vita. Nessuno dei frammenti impiegati è modificato. L’intervento dell’autore è nell’accostamento compositivo e nella saldatura, nulla di più. Le sue composizioni sono oggetti tragici soprattutto nella materia, sono resti di oggetti che hanno ucciso. Le schegge sono ciò che rimane di strumenti di morte.
 
IL MESSAGGIO

Proprio da qui prende avvio l’opera di don Adriano. Le sue schegge vanno meditate, sono un invito alla riflessione sugli errori-orrori del passato che ancora oggi si ripetono. Ma da ciò che ha seminato morte può germinare nuova vita. E’ con questa prospettiva che don Adriano continua a comporre le sue schegge: “Strumenti di morte che parlano di vita, strumenti di orrore che parlano di bellezza, strumenti di Dio che parlano d’amore. Un poema sinfonico dove concorrono ferro e cuore, guerra e spirito di pace”.
 
IL VANGELO SECONDO LE SCHEGGE

Le opere esposte in questa piccola esposizione hanno come unico tema il Vangelo e sono quelle che don Adriano ama di più. Un Vangelo per immagini ricavate da centinaia di reliquie ferrose che si sono prestate a descrivere la storia della Salvezza attraverso strumenti che furono di morte. L’esposizione prende avvio dall’Annunciazione, realizzata con alcune schegge raccolte tra le rocce del Pasubio, in apparenza ruderi arrugginiti, che diventano i due protagonisti dell’evento straordinario. L’angelo colto nel momento del suo arrivo con le ali bellissime e le vesti svolazzanti e la Madonna in umile atteggiamento, turbata nel ricevere il grande annuncio. Ma anche le Nozze di Cana: la Madonna pare quasi esigere il miracolo da Gesù che ascolta in silenzio. In mezzo un otre per il vino è realizzato da una bomba a mano, la base è un’aletta di bombarda. Stupendamente significativa la composizione della Resurrezione di Gesù: dal Sepolcro – un pezzo di bombarda calibro 210- esce Gesù che osserva la guardia addormentata. Anche qui è bene espressa l’abilità di sapere cogliere la giusta scheggia e di affidarle il giusto compito. Nella Presentazione di Gesù al Tempio si raggiunge l’apice della commozione e della perfezione stilistica: Maria e il piccolo Gesù in braccio sono un tutt’uno e il loro atteggiamento è di umiltà e di attesa davanti al vecchio Simeone che contempla rapito la Madre e il Figlio. Non c’è scena del Vangelo che non sottolinei nella sua composizione l’abile intuizione di don Andriano nel fare parlare queste schegge, sia la piccola scheggia di un etto o quella pesante di molti chilogrammi. Schegge destinate all’abbandono e alla dimenticanza, richiamate ad un servizio artistico e spirituale. Fonte: http://www.vicenza.chiesacattolica.it/pls/vicenza/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=2514&rifi=guest&rifp=guest
vicenza.chiesacattolica.it

Brillamento mine e/o ordigni bellici


Cagliari dal giorno 23 Dicembre per operazioni di brillamento residuato bellico è interdetta la zona circolare, raggio 1000mt centrata in 39°07,300'N 009°11,700'E prendere visione dell' Ordinanza della Capitaneria di Porto di Cagliari n°201/2014 Fonte: http://it.anygator.com/articolo/brillamento-mine-e-o-ordigni-bellici__2251431

lunedì 22 dicembre 2014

PIEDIMONTE MATESE. Hanno rubato l'ordigno rinvenuto giovedì scorso in località Madonna del Loreto. L'area era pure vigilata!


Giovedì scorso 18 dicembre in località Madonna del Loreto a Sepicciano, frazione di Piedimonte Matese, è stato rinvenuto da un residente un proiettile di mortaio risalente alla seconda guerra mondiale. L'ordigno era ben conservato e, ad una prima disamina, era ancora attivo, quindi pericoloso. L'area fu immediatamente messa in sicurezza e il Comune emanò anche un'ordinanza con la quale vietava tassativamente il transito pedonale e veicolare nei dintorni della zona del ritrovamento dello stesso proiettile. Successivamente i Carabinieri della Stazione di Piedimonte Matese, intervenuti insieme ai Vigili Urbani ed ai Vigili del Fuoco, sigillavano la zona che così diveniva inaccessibile. Ma non lo è stato questa notte per una mano ignota, che in maniera quasi professionale e senza timore alcuno si è recato all'interno della zona sottoposta a sequestro cautelativo e si è portato via l'ordigno! E dire che fino a ieri sera, intorno alla mezzanotte, c'è stato anche un controllo da parte dei Carabinieri, atteso che l'area era vigilata e quindi le pattuglie delle forze dell'ordine transitavano per sorvegliarla. Ieri sera la bomba era al suo posto. Poi, questa mattina, i Vigili Urbani sono passati per un controllo ed hanno notato che i sigilli erano stati rimossi e il proiettile di mortaio era sparito. Immediata la Responsabile dell'Area Vigilanza, Anna Maria Ferraro, segnalava tutto alla Procura della Repubblica, producendo una denuncia a carico di ignoti. Sul posto intervenivano anche i Carabinieri, per le successive constatazioni. E' molto probabile che l'ordigno sia finito in mano a qualche collezionista di cimeli della seconda guerra mondiale, sperando sempre che non si tratti di una bravata e che lo stesso non sia finito in mani insicure. In ogni caso le forze dell'ordine stanno indagando per risalire agli autori di questo furto. Fonte: http://www.caiazzorinasce.net/2014/12/piedimonte-matese-hanno-rubato-lordigno.html

Ordigno bellico fatto brillare a Pievasciata


E’ stato fatto brillare questa mattina a Pievasciata nel comune di Castelnuovo Berardenga un ordigno bellico della seconda guerra mondiale.  Si tratta di un proiettile di mortaio ritrovato in Via dell’Ischia.  Ad intervenire sul posto i Carabinieri di Vagliagli e i Vigili del fuoco di Siena. Fonte: http://www.antennaradioesse.it/ordigno-bellico-fatto-brillare-a-pievasciata/