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sabato 12 gennaio 2013

L'ex partigiano: «I tedeschi erano sempre quelli meglio equipaggiati»


A quindici anni imparò a maneggiare un fucile. Essere ragazzo durante la seconda guerra mondiale significa dover crescere in fretta. Troppo giovane per la divisa militare, per fortuna. Ma non per i panni di partigiano, che vestì con convinzione tra il 1944 e il 1945, nelle file della brigata Pierobon, poi brigata Verona. Insomma Raul Adami, presidente dell'associazione scaligera dei partigiani (Anpi) con svariate medaglie al valor militare, la guerra la conosce bene. «La stazione di Porta Nuova non era posto per partigiani», esordisce. «Noi eravamo impegnati in azioni di disturbo contro i nazifascisti, dal taglio dei fili delle comunicazioni ai sabotaggi dinamitardi, e poi riparavamo in Lessinia». E i soldati com'erano? «Oh, i tedeschi erano i meglio equipaggiati. Ognuno di loro aveva in dotazione uno zaino leggero, non come quelli degli italiani che pesavano più di trenta chili. Dentro, tenevano una razione di pane nero ai cereali, nutriente. In più, pastiglie di destrosio, energizzanti, e di canfora, disinfettanti. Tutti prodotti che noi ci sognavamo. Nello zaino tenevano anche una cassettina per l'igiene personale, con lamette da barba, spazzolino, dentifricio...». Ma le truppe tedesche avevano un altro punto di forza. «Le calzature. Gliele invidiavamo tutti. Stivali di cuoio senza lacci, impermeabili, a metà polpaccio per i soldati semplici e fino al ginocchio per gli ufficiali. Il tacco era dotato del cosiddetto ferro di cavallo, un'aggiunta metallica di cui era munita anche la punta, per evitare l'usura delle suole». Potrebbe trattarsi degli stivali ritrovati in piazzale XXV Aprile? «Può essere», risponde Raul Adami, «ma potrebbe darsi che le spoglie appartengano a qualcuno che aveva sfilato gli stivali a un tedesco caduto sul campo. Quelle erano calzature molto ambite». Tre scheletri rinvenuti nello stesso punto: magari una fossa comune. «No, lo escluderei», commenta l'ex partigiano. «Impossibile che i morti fossero sepolti a Porta Nuova. Piuttosto a Forte Procolo, dove fu fucilato Ciano. Ma la maggior parte dei cadaveri veniva portata al cimitero».
L.CO.

Fonte:
 http://www.larena.it/stories/Cronaca/453063_lex_partigiano_i_tedeschi_erano_sempre_quelli_meglio_equipaggiati/

TESTIMONIANZE


A cura di Sergio Cavacece

Le testimonianze ancora oggi visibili dei bombardamenti degli Anglo - Americani che scaricarono sulla città un notevole quantitativo di ordigni a partire dal gennaio 1941, attraverso i fori piccoli e grandi che danneggiarono edifici e parti metalliche di ringhiere e cancelli
http://www.facebook.com/photo.php?v=488409527875106&set=vb.100001181886581&type=2&theater 


Testimonianza a cura del ricercatore storico Andrea Thum
Cliccare per ingrandire


Testimonianza a cura dell'artificiere EOD Roberto Romano


Il Sov. C. Capo durante una fase del brillamento di un ordigno

Testimonianza a cura di Walter De Berardinis
Al Governatore della Regione Abruzzo
Giovanni Chiodi
Vs. sede istituzionale
Presidente del Consiglio della Regione Abruzzo
Nazario Pagano
Vs. sede istituzionale
Al Presidente del CRAM (Consiglio regionale degli abruzzesi nel mondo)
Mauro Febbo
Vs. sede istituzionale
Al Sindaco della Città di Giulianova
Francesco Mastromauro
Vs. sede istituzionale
e.p.c. agli organi d'informazione


Oggetto: segnalazione per lettera/encomio al corregionale, Arino De Berardinis


Preg.mi in indirizzo,
Ad un anno di distanza volevo ricordare e segnalare il giovane corregionale abruzzese, Arino De Berardinis, per il senso di altruismo e del dovere in occasione del terremoto dell'11 marzo 2011 in Giappone, dimostrando con fierezza l'essere abruzzese/giuliese in terra straniera.
Lo scorso 11 marzo 2011, il Giappone è stato colpito dal terremoto di Sendai al largo della costa della regione di T?hoku, nel Giappone settentrionale, alle ore 14:45. Arino De Berardinis, da anni residente a Fujisawa (prefettura di Kanagawa), dove vive con la moglie Hiromi Mimura e i suoi due bambini, Sara e Luca, il pomeriggio dell'11 marzo 2011, dopo la tremenda scossa, con mezzi di fortuna rientrava nella sua abitazione percorrendo circa 20 Km, a piedi. Molti i giornali nazionali e locali che si sono occupati della sua vicenda umana e professionale. Il giorno successivo, dopo l'appello dell'Imperatore che invitava tutti i giapponesi a riprendere le normali attività lavorative per permettere il funzionamento di tutto il paese, lui ritornava sul proprio posto di lavoro. Nei giorni seguenti, dopo i fatti della centrale di Fukushima e nonostante le Ambasciate straniere, per prima la Francia e successivamente l'Italia, invitavano i nostri connazionali a rientrare perchè il rischio di contaminazione radioattiva era reale, Arino De Berardinis decideva di rimanere a Fujisawa insieme alla sua famiglia e alla famiglia d'origine della moglie.
Queste le sue parole durante quei giorni: "..sono consapevole del rischio che corro io e miei famigliari, ma questa è la mia seconda terra e non posso abbandonare i miei "fratelli" giapponesi"."Sono rimasto molto deluso dagli stranieri che vivono qui e hanno avuto tanto dal Giappone, ma poi sono letteralmente scappati da questa terra". "Il Giappone mi ha dato tanto: lavoro e famiglia, mi sentirei un vile scappare e lasciare pezzi della mia famiglia qui, resto per dare il mio piccolo contributo". "Sono consapevole anche del fatto che nella mia prefettura (Kanagawa) cominciano a scarseggiare i beni di prima necessità e veniamo ogni giorno privati di luce, gas, acqua e collegamenti telefonici. Ma bisogna pur ricominciare ed io sono pronto a fare la mia parte". "La fede in Dio c'è, quindi anche io faccio la mia parte per ristabilire il primato della vita sulla morte. Non nascondo che mi sono sentito perso in questi in giorni, ma ho la convinzione di farcela per il bene della mia famiglia."
Per i fatti fin qui esposti, per il valore dimostrato e la caparbietà di essere abruzzese/giuliese in terra straniera, mi sentivo in dovere di esternare questi semplici parole segnalandovi il nostro corregionale.
Giulianova lì, 10 marzo 2012
In fede
Walter De Berardinis

Segue suo curriculum professionale
Chi è Arino De Berardinis?
Nato a Giulianova il 12 febbraio 1974, vive e lavora a Tokyo, come Cuoco/Chef. Diplomato presso la scuola alberghiera IPSSAR di San Benedetto del Tronto (AP), nel 1994. Inizia come studente-lavoratore negli anni 1988-1990, presso l'Hotel Panoramic di Tortoreto (TE). Sempre nel 1990 inizia una piccola avventura in Germania, ma senza successo. Tra il 1990 e 1993, inizia per la sua prima esperienza di studente-lavoratore in Danimarca, nella città di Alboorg, in una serie di ristoranti: il Fellini, il Sottovento e Il Mulino. Nel 1994-1995, presso il prestigioso Hotel Hilton di Londra a Hyde Park e allo Zafferano, zona di Knightbridge, sempre nella city londinese. Nel 1996-1997, prende servizio nella regione della Cornovaglia, nella città di Truro, presso il Ristorante Pulcinella. Nel 1998-1999, torna in Danimarca, Alboorg, nel Ristorante Fellini. Nel 2000 a New York, nel Ristorante la Lupa. L'anno successivo, 2001, Australia, a Sidney al Ristorante Il Divino. Nel 2002, di nuovo in Danimarca, a Blokhus, Ristorante Sottovento. Nel 2003 in Sud Africa, al Ristorante Hildebrand, nella zona di Waterfront (porto di Cape Town). Nel 2004, arriva in Giappone, dopo aver conosciuto l'attuale moglie, Hiromi Mimura in Sud Africa, prende servizio al Ristorante Salvatore. Dal 2006 al 2010, lavora presso il Four Seasons Hotel Tokyo at Chinzan-so di Tokyo. Sempre nel 2010 inizia una nuova avventura con una propria attività a Hayama, con il ristorante Trattoria Arino e utilizzando il simbolo della famiglia (l'orso). Inoltre, come insegnante, organizza e collabora con le scuole di cultura italiana: Bell'Italia, Little Europe e la Niki's kitchen, sempre in Giappone. Dopo il terribile terremoto dell'11 marzo 2011 in Giapppone ha cambiato attività entrando nel prestigioso "Tokyo American Club". Si considera un vero globetrotters, un giuliese giramondo, molti i paesi che ha girato per motivi di lavoro e per piacere: Olanda, Danimarca, Svezia, Polonia, Irlanda, Svizzera, Germania, Slovacchia, la Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, Turchia, USA, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Zambia, Botswana, Nanibia, Thailandia, Laos, Vietnam, Cambogia e Corea del sud. Due, sono le esperienze che più lo hanno segnato: Ha vissuto per 3 mesi nel Sud-Est asiatico, con il suo collega teramano, Massimiliano Damiani (oggi vive in Thailandia e svolge l'attività di Direttore di Sala) e un mese nel deserto del Kalahari. Dal 2004 vive e lavora in Giappone con la moglie giapponese Hiromi Mimura e i due figli, Sara e Luca.

Mitt. Walter De Berardinis
Via Amendola, 29/A
64021 Giulianova (TE)
Telefax: 0858003963
Mobile: 3285811626
Testimonianza a cura del Primo Maresciallo Pasquale Dini (ex Caponucleo EOD 21Rgt Caserta)
Il 21° guastatori interviene a Cisterna
Un nucleo artificieri del 21° Reggimento genio guastatori di Caserta è intervenuto nel comune di Cisterna di Latina, su richiesta dell'autorità prefettizia, dove in un fondo agricolo, durante le operazioni di aratura, erano stati rinvenuti 12 ordigni esplosivi risalenti al secondo conflitto mondiale.
Gli specialisti del genio hanno provveduto alla inertizzazione degli ordigni e al loro successivo brillamento presso un'area appositamente individuata.

Disinnesco della bomba ritrovata a Cameri: FOTOGALLERY
Le immagini dell'intervento degli artificieri
Elena Ferrara (redazione@novara.com)
Gli Alpini artificieri del 32° reggimento genio hanno disinnescato una bomba d'aereo del peso di 100 chilogrammi risalente alla seconda guerra mondiale e recentemente ritrovata all'interno dell'aeroporto militare di Cameri.
Vai alle foto.....
http://www.novara.com/novara.com/index.php?Section=News&Tools=WAPPS&Filters=SeqId,6100

Livorno, residuato bellico nel quartiere della Venezia: un film di Mastroianni racconta quel bombardamento
Nella scena viene inquadrata proprio la zona esatta dove è stata ritrovata la bomba


Testimonianza a cura di "Gianpiero Vaccaro
Livorno, Quartiere La Venezia, 6 settembre 2011..
(ANSA) - LIVORNO, 06 SET - E' fissato per domenica prossima il disinnesco dell'ordigno bellico inesploso trovato il 23 agosto nel centro di Livorno, nel quartiere della Venezia, durante alcuni lavori lungo i Fossi Medicei. L'operazione avverra' dalle 10 alle 11.30 ed e' prevista l'evacuazione di circa 6 mila persone su un'area di circa 0,6 chilometri quadrati nel cuore della citta'. Lo preveden un'ordinanza firmata dal prefetto Domenico Mannino. L'evacuazione e' prevista tra le 7 e le 9 in un'area con un raggio di 500 metri dall'ordigno. Organizzato un centro di accoglienza al Palasport di Porta a Terra.(ANSA).
Chi l'ha visto?
Pubblichiamo una richiesta arrivata alla nostra redazione:
"Vorrei sapere chi è l'uomo nella foto, so solo che ha partecipato alla 2° guerra mondiale e che nel luglio-agosto 1944 si trovava a Grosseto... Se avete notizie vi prego di inviarmele... grazie. Sabrina"
Le risposte possono essere inviate all'indirizzo info@biografiadiunabomba.it
Una testimonianza anonima
Perdoni l'anonimato del sottoscritto e dell'azienda che rappresento, la prego dunque di rispettarlo.
Le narro una breve storia come esempio per i colleghi che si trovassero in una situazione simile. Durante un lavoro di movimentazione terra in un cantiere edile dal materiale rimosso affiorarono due bombe a mano della II GG. Immediatamente, riconosciuto l'evidente pericolo, il responsabile del cantiere fece allontanare con calma tutto il personale e nel mentre avvisò i CC. Questi giunsero in brevissimo tempo e crearono un perimetro di sicurezza. Il nucleo artificieri giunse in pochi minuti, valutò la situazione e organizzò una bonifica. Le caratteristiche del cantiere permisero il brillamento il loco. In brevissimo tempo fu effettuato il brillamento e un controllo al fine di scongiurare la presenza di altri ordinigni. Quindi ci venne consentita la ripresa dei lavori senza che questo evento creasse ritardi. Noi ci aspettavamo e accettavamo l'idea di perdere giorni di lavoro.
Esemplare professionalità dei militari che aumentò in tutti noi la stima e la gratidutine nei confronti dell'Arma dei Carabinieri.
M.
Testimonianza a cura di Gianpiero Vaccaro
Testimonianza a cura di Gianpiero Vaccaro
Portoferraio, Isola d'Elba, Palazzo della Biscotteria (odierno Municipio). Targa in memoria dei Caduti nella bonifica dei campi minati.
Testimonianze fotografiche a cura dell'assistente tecnico BCM Nicola Vanuzzo






A cura di Simone Colalucci amministratore de
 Arte e Guerra - Art & War
Gruppo Face Book dedicato alla raccolta di immagini del patrimonio artistico in tempo di guerra in Italia e nel mondo.

http://www.facebook.com/group.php?gid=205512004218#!/group.php?gid=205512004218&v=info
Alt Aussee, Austria. Bombs disguised as sculpture intended for the destruction of the repository
(Alt Aussee, Austria. Bomba camuffata da scultura, atta a distruggere un deposito)
All'approssimarsi dello scoppio della seconda guerra mondiale, tutte le nazioni coinvolte iniziarono a porre in atto una serie di misure di protezione del patrimonio artistico, archivistico e librario. Tali misure vennero intensificate nel corso del conflitto, quando la potenza dell'arma aerea e dei bombardieri in particolare, rivelò tutta la sua devastante efficacia.
In Germania le miniere di salgemma e di sale potassico vennero individuate come ricoveri ideali per stivare in sicurezza opere d'arte, libri e manoscritti antichi. Situate per lo più in località remote, nelle profondità di montagne, presentavano un microclima ideale per la conservazione di materiale così delicato.
La miniera austriaca di Altaussee, ubicata in una incantevole cornice montana della Stiria, ospitò per alcuni anni inestimabili tesori della cultura europea. Si trattava di materiale proveniente dai più importanti musei del Reich, ma anche opere d'arte razziate dai territori occupati per andare a costituire il progettato e mai costruito Museo di Linz (città natale di Hitler) o per ingrossare la collezione personale di Hermann Göring. Qui fu riposta la Madonna di Bruges di Michelangelo, il polittico di Gent di Van Eyck, opere di Rembrandt, Dürer ecc.
Man mano che gli eserciti alleati si addentravano nel territorio tedesco, questi preziosi depositi venivano scoperti. La famosa 101 Divisione Aviotrasportata, si imbatté a Berchtesgaden in un bunker contente il grosso della collezione Göring; la 3° armata del Gen. Patton, trovò Altaussee.
Il materiale contenuto nei depositi veniva inviato verso appositi centri di raccolta (Collecting Point), dove gli uomini della Subcommission for Monuments, Fine Arts and Archives (un corpo militare costituito da storici d'arte, archeologi, archivisti, pittori, architetti) si occupava di identificare i pezzi, individuarne la provenienza e rispedirli ai loro luoghi di origine. Numerose le opere provenienti dai musei italiani. Si stima che a tutt'oggi siano circa seicento le nostre opere d'arte rimaste sul suolo tedesco, alcune delle quali peraltro, bellamente esposte in qualche museo.
La foto mostra un gruppo di soldati americani insieme a personale locale adibito al recupero delle opere, in posa davanti ad alcune bombe fd'aereo nascoste in finte casse di musei (sul coperchio si legge "Attenzione Marmo"). Nella miniera era stato infatti predisposto un sistema di autodistruzione che, per evitare che i gioielli dell'arte tedesca finissero in mani nemiche, avrebbe dovuto seppellire per sempre nel ventre della montagna gli inestimabili tesori. Fortunatamente una tale folle misura non venne mai presa, ma pare che i conservatori del deposito nel frattempo avessero provveduto a rendere inattivo il congegno.
La foto è tratta dal volume "Report of the American Commission for the Protection and Salvage of Artistic and Historic Monuments in War Areas", Washington 1946, e proviene dall'archivio fotografico dell'ACLS (American Council of Learned Societies).

La vera storia di Pippo: messaggero di morte o semplice aereo da ricognizione?
Postato da Monica   
Martedì 05 Ottobre 2010 21:50
aer
Gli anziani se ne ricordano ancora: qualcuno continua ad avere un brivido lungo la schiena, parlandone, mentre altri lo rammentano un po' come un innocuo rompiscatole. Qualcuno, invece, col senno di poi, si chiede se sia realmente esistito.
Tra il 1943 e il 1945, nessuno aveva la certezza di chi fosse esattamente Pippo, se un tedesco o un alleato, se avesse delle missioni da compiere o se sganciasse bombe senza una mira ben precisa. Fose era un bimotore, forse un monomotore, non era dato saperlo.Poteva trattarsi, più probabilmente, di un bimotore inglese o amercano, perciò un Mosquito o un bombardiere A20 o B25. L'unica certezza era questa: al calare della notte, un misterioso aeroplano compariva nei cieli dell'Italia del nord, seminando il panico tra vecchi e giovani, ricchi e poveri. Perchè Pippo poteva colpire ovunque e chiunque, senza preavviso. Così, ad una certa ora della sera, era diventato un'istituzione rinchiudersi in casa dicendosi "Arriva Pippo!".
Qualcuno dice che Pippo sia stato così soprannominato per l'omonimo personaggio disneyano, che all'epoca fascista era stato colpito dalla censura: pare, del resto, che il muso di questo aereo ricordasse quello del migliore amico di Topolino. Altri, invece, ricollegano il nome ad una canzone in voga in quel periodo: "Ma Pippo Pippo non lo sa/che quando passa ride tutta la città"... Un po' per esorcizzare la paura che ogni notte si presentava, inesorabile, assieme al sordo ronzio del malefico aeroplano.
La storiografia ufficiale non ha dato troppo peso a questa leggendaria figura, della quale abbiamo notizie precise (più o meno) grazie a documenti personali come lettere, racconti, diari e testimonianze viventi. Nei registri di missioni stilati dalle squadriglie operanti in Italia e sull'Italia durante la seconda Guerra Mondiale, infatti, non vi è alcuna traccia relativa a questi voli.
Pippo cambiava "carattere" da zona a zona. A Novara e in Liguria, ad esempio, si trattava di un veivolo inoffensivo, magari solamente fastidioso, ma in ogni caso non un serial killer. Insomma, un piccolo aereo da ricognizione, un alleato, incapace di mietere vittime. In Emilia, Lombardia, Veneto e Friuli, la situazione era esattamente all'opposto. E non cambiava solo l'indole, ma anche nome: a Tortona era chiamato Peppino, in Toscana "il Notturno". A Bologna, quasi affettuosamente, era detto "Pippetto Ferroviere": in alcune zone della provincia, come ad esempio Mulino della Valle, lo si ricorda come l'aereo che lanciava volantini prima di ogni bombardamento, in modo da dare la possibilità a tutti di potersi riparare ne rifugi.
Pare che Pippo attaccasse solamente dove vedesse delle luci accese: per questo motivo la gente era solita girare furi e dentro casa con una lanterna coperta, lasciando aperto solamente un piccolo spioncino per illuminare la strada. Uno spioncino che chiudevano del tutto non appena sentivano arrivare l'aereo infernale, scappando verso i rifugi.
Racconta lo scrittore Nino Arena: "In realtà faceva soltanto il suo dovere di aereo disturbatore, col compito di tenere in allarme tutto il nord Italia, ma chi ha vissuto il ciclo storico della RSI, non può dimenticarlo poiché non c'era notte in cui il nostro misterioso disturbatore non facesse la sua apparizione lasciando ovunque il suo biglietto da visita: 18 luglio '44-bombe su Varazze, 19 agosto-un autocarro mitragliato vicino Busalla, 12 settembre-sul ponte dell'Orco scoppia una bomba nei pressi di Chivasso, 20 novembre-autoveicolo in fiamme fra Susegana e Conegliano, 16 gennaio 1945-bombe su Brescia vicino alla Wuhrer, Cinisello Balsamo e Mantova, 28 marzo-camion mitragliato nottetempo vicino Codigoro, 6 aprile-attacco notturno ad una corriera vicino Fidenza, tanto per citare alcuni casi delle numerose malefatte attribuite a "Pippo", su cui molti ricamavano misteriose vicende e imperscrutabili collegamenti su taluni avvenimenti di cronaca locale."
Sempre nello stesso brano, Arena ricorda altre "malefatte" riconducibili a Pippo: i bombardamenti alle officine Tosi di Brescia, ad esempio, oppure un particolare mitragliamento notturno accaduto sulla statale tra Sacile e Pordenone.
E' assodato che all'epoca venissero utilizzati diversi aerei per creare disturbo notturno, ma non si trattava di killer che bombardavano alla cieca, piuttosto si trattava di strumenti posti a fare leva sul terrorismo psicologico.
Al Castello del Buon Consiglio di Trento, è esposta una fotografia di Pippo: si tratta di un De Havilland 98 Mosquito. Proviene da una collezione privata, ma non è stato riconosciuto come il vero Pippo da tutti coloro che l'hanno vista.
Eppure c'è qualcosa che non quadra, in tutta questa storia. Se ogni città, ogni paesino, ogni notte riceveva la visita indesiderata di Pippo, come poteva essere possibile? Avrebbero dovuto essercene centinaia, e avrebbero dovuto distruggere mezza Italia nel giro di una sola notte. Ognuno era pronto a testimoniare in sfavore di Pippo come distruttore della propria casa, del proprio fienile, peggio ancora di una parte della propria famiglia. Da quel che si racconta, insomma, pare che ogni notte sulla pianura padana intera vi fossero decine e decine di aerei pronti a sterminare i civili, e non i soldati...
Secondo testimonianze raccolte nel libro "L'areonautica italiana: una storia del Novecento" a cura di Paolo Ferrari, pare che Pippo "fosse un tipo un po' strano antitedesco e antifascista che voleva fare del casino." Un testimone dell'epoca, Geo Borrini, ricorda che "passava regolarmente, quasi sempre di sera, e a una certa ora, non proprio quando era buio. Lo si sentiva ronzare e ronzare, ed era un aereo che faceva si e no centoventi centocinquanta chilometri all'ora. Quindi non poteva essere un caccia ma poteva essere un Piper, cioè un aereo da piccolo turismo che poteva servire anche da ricognizione. Ha lasciato giù qualche bombetta anche a Novara, nella zona Case sparse. Voglio dire che lasciò giù delle bombe a mano, probabilmente delle bombette tipo "Balilla", che più che altro facevano baccano. Allora si diceva che c'era stato un ferito, però non è stato confermato. Comunque Pippo è sempre stato un mistero."
Sempre tratta dallo stesso libro, una testimonianza opposta, appartenente a Franco Pareschi, residente a Galliera, in provincia di Bologna. "All'epoca dei fatti avevo 16 anni. In quell'anno Pippo ha sorvolato spesso il nostro paese e, nelle serate di luna, lo si vedeva a bassa quota, cercando di immaginare chi fosse il misterioso aviatore solitario: i più pensavano fosse un aereo alleato, probabilmente americano, anche se la contraerea e i caccia tedeschi che erano in zona non ne hanno mai ostacolato il volo (da notare che nelle vicinanze, a Poggio Renatico, c'era un aeroporto militare). Io penso che non ci fosse un unico Pippo, m certo quello che ha sorvolato non fu sempre un'immagine rassicurante ed amica, ma anche un vero e proprio "dispensatore di morte" [..] Per alcuni un angelo protettivo, per altri un vendicatore, per molti un incubo, per altrettanti un eroe: ognuno aveva il suo Pippo e forse è giusto che il mistero continui ad alimentare questa leggenda di un periodo della nostra storia pieno di dolore e sofferenza ma anche di speranze e di sogni."

©Monica Taddia
Fonte: http://www.italiaparallela.it/index.php?option=com_content&view=article&id=369:la-vera-storia-di-pippo-messaggero-di-morte-o-semplice-aereo-da-ricognizione&catid=41:leggende-italiane&Itemid=60

Rimini: rimossa la bomba, evacuate cinquemila persone
Gennaio 2010 - Operazioni di scavo bloccate a causa di rinvenimento di ordigno da 500 lb. Le foto spiegano tutto.
Il residuato bellico del peso di 230 chili è stato poi fatto brillare in una cava nei pressi di Novafeltria. Tanti gli anziani che hanno aspettato alla chiesa Regina Pacis la fine delle operazioni (foto Bove)
Commento: La bonifica sistematica no?... ...

Testimonianza a cura di Michele Becchi
Allego una foto che evidenzia i resti di una delle famose "matite esplosive", che poi altro non sono che detonatori a tempo cioè i "Time Pencils". Erano lanciate in grandi quantità ai partigiani come materiale da demolizione,. Quello in foto è stato ritrovato poche settimane fa su un cucuzzolo dell'appennino reggiano sede di un caposaldo della zona libera partigiana. Questi manufatti risalenti la seconda guerra mondiale, grazie anche agli incendi boschivi è difficile trovarne di intatti, ma per la loro intrinseca fragilità, complessità e potenza sono comunque oggetti pericolosi, in grado di provocare serie lesioni!!! Il detonatore in foto è parzialmente esploso per una propria reazione, in quanto la linguetta di sicurezza è ancora presente...

Testimonianza a cura del rastrellatore BCM Michele Mele
Residuato bellico (bomba razzo) di fabbricazione tedesca rinvenuto a Granarolo Dell'Emilia, (BO) località Santa Caterina nel novembre 2001
Nota tecnica di Roberto Morelli: "Wurfrhamen, che veniva lanciata da delle rampe a cassa, o da SPW oppure da affusti del pak 37 o 38 è un 280 mm./ 300 mm".

Testimonianza a cura di Andrea Thum
Interessante notare come l'avvertenza faccia riferimento ad un periodo ben precedente a quello "classico" del fine conflitto, al quale si riferiscono i più conosciuti manifesti ad uso scolastico. Evidentemente dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, era pessima abitudine, da parte di molti militari (e probabilmente non solo), il disfarsi di oggetti pericolosi e letali, specie per i ragazzi, incuriositi dalle forme o attratti dalla possibilità di giochi pericolosi. Altrettanto interessante notare come a "modello" venga utilizzata quella che sembra una classica "SIPE", probabilmente l'ordigno più facilmente associabile ad una bomba. Sono molti gli articoli, sui quotidiani di quel periodo, che riportano notizie di incidenti nelle città del nord, con morti e feriti causati da rinvenimenti accidentali e/o uso improprio di ordigni. In massima parte, però, si tratta dei classici spezzoni incendiari alla termite, rimasti inesplosi in mezzo a macerie o in aree verdi.

Testimonianza a cura di Maria Tiberio
Questo è il motore di un Lockheed P-38J Lightning ("Fulmine" in inglese) era un caccia pesante bimotore statunitense a largo raggiod'azione, impiegato durante la 2a guerra mondiale dalla RAF e dagli Stati Uniti (AAC/AAF). E' stato rinvenuto nelle acque di Francavilla al Mare (CH) e posto sul cippo, che vede, in onore dei caduti dell'aria.
Ecco il P38
L'aereo precipitato a Francavilla al Mare era pilotato dal pilota Cyril Nolen. Cyril era un ragazzo, come tanti di quell’epoca, con una storia comune a tutti, inviato in una guerra non sua; in una terra che forse non avrebbe mai visitato. Vede un'Italia martoriata; la vede dall'alto fra missioni, bombe, incursioni. E’ stato abbattuto, catturato dai tedeschi, tornato libero, continuando la sua vita negli U.S.A. Richiamato per un secondo conflitto: quello del Vietnam. Si spegne nel 1998 nella sua cittadina
.
COMUNE DI STARANZANO
BIBLIOTECA COMUNALE STARANZAN DE NA VOLTA
...LA VECIA SCOLA DEL PAESE
STORIA E RICORDI DEL VECCHIO EDIFICIO
a cura di Sergio Cucut
Un po’ di storia ...
Si evince dal volume lasciatoci dal compianto maestro Silvio Domini, “Staranzano, storia, società e cultura nell’ambiente del territorio monfalconese”, 2°ed. 1987, alle pagine 228 e 229 che ... "Negli anni 1906-1907, quando il Comune viveva i giorni densi dell’attesa indipendenza, a Monfalcone ricopriva la carico di dirigente – di quella grossa e trainante scuola popolare – il ronchese Francesco Berini, uno dei più impegnati educatori e leader della scuola italiana della Contea. La costruzione di un completo edificio scolastico a Staranzano venne posta come esigenza indispensabile.
Nel breve giro di un anno l’opera venne realizzata. Originariamente consisteva di due grandi aule, una al pianterreno ed una al primo piano, che ospitavano le due pluriclassi : prima seconda e terza affidata ad una maestra; quarta e quinta ad un maestro con funzioni di dirigente. Nel 1913 il consiglio scolastico propose di ingrandire la scuola (le due pluriclassi raggiunsero punte di 50-60 scolari ciascuno), ma la situazione rimase tale fino allo scoppio della guerra ..."
Da una foto scattata dopo i bombardamenti dell’estate 1915, riportato nel testo di Domini, figurano sia il Municipio che la Scuola danneggiati dalle bombe: quest’ultima è la stessa del progetto originario. Difatti nel primo dopoguerra, l’edificio venne rimaneggiato ed ingrandito con la sistemazione di quattro spaziose aule, di cui due al pianterreno e due al primo piano. I lavori vennero riportati a termine nel 1923, come si può constatare anche dalla scritta situata sul pavimento levigato del pianterreno. Successivamente, nel 1942, forse per eliminare le pluriclassi, una delle due aule ubicate al pianterreno venne divisa a metà, tramite una parete in muratura.
Constatata la funzionalità di questi due nuovi spazi, nel 1946 circa, si intervenne con analogo progetto pure nell’aula sovrastante. Nel 1961, vennero eseguiti ulteriori lavori di carattere urgente: come il ripasso della copertura del tetto e l’ampliamento dell’edificio nel retro ove trovavano dislocazione i nuovi servizi, sia al pianterreno che al primo piano, nonché la guardiola per il bidello al pianterreno e la saletta insegnanti al primo piano. Durante il suo centenario di vita, questo simbolico edificio è stato il centro di aggregazione per tante generazioni, ed attualmente continua ad esserlo, ospitando al pianoterra, fin dal 1984, la biblioteca comunale e la sala espositiva. Il piano superiore è occupato dalle sedi delle molteplici associazioni culturali e ricreative. Sfogliando l’album dei ricordi ... la storia di questo affascinante luogo è costellata sia di episodi importanti e cari alla nostra memoria che di momenti tristi e amari ...
Seguendo la cronologia dei fatti, rammento che nel 1939 l’alunno Giuseppe Mori, allora tredicenne, addetto al suono della campanella per la ricreazione (congegno che consisteva in un bossolo di granata austriaca, munito di un batacchio e appeso sopra l’uscio del piccolo sottoscala al pianterreno), fu colpito dal bossolo, dal peso di un paio di chili, che si staccò dal gancio e cadde sul capo del nostro compagno procurandogli una commozione cerebrale. Ricoverato urgentemente all’Ospedale Civile di Monfalcone, dopo quindici giorni fece ritorno alla scuola con una vistosa fasciatura, tale da suscitare una profonda impressione tra la scolaresca ...a quei tempi gli ospedali rappresentavano un lusso per i meno abbienti.
Nel tardo '43, all’età di diciott’anni, quel ragazzo si arruolò nelle file delle formazioni partigiane della Brigata Garibaldi e non fece più ritorno. Le sue ceneri sono conservate presso il Monumento dei Caduti per la guerra di Liberazione, situato presso il cimitero civile di Via De Amicis. Ricordo un episodio curioso e divertente che risale ai primi mesi del 1940...un’insegnante supplente (donna), sovente irascibile verso la scolaresca, venne spinta di forza, da alcuni alunni ripetenti di 13 – 14 anni, all’interno del grande armadio scuro che troneggiava in ogni classe, chiusa a chiave fu lasciata lì ad urlare ...aprite !! aprite !!
Di lì a poco giunse la bidella che la fece uscire utilizzando l’altra copia di chiavi! Di detto episodio, che pareva dovesse sfociare in un grande clamore in quegli anni di ferrea disciplina, non si seppe più nulla : finì nel dimenticatoio.
Un momento infausto si registrò nell’agosto 1936 ...in seguito all’intervento bellico dell’Italia in Abissinia venne sistemato un apparecchio "Radiomarelli", contenuto in un apposito mobiletto, sul balcone di una finestra di un’aula al pianterreno per trasmettere il discorso sull’evento da parte di Mussolini. Nei primi mesi del 1944 giunsero in paese i tedeschi delle SS che si sistemarono presso la scuola per alcuni mesi, applicando il "coprifuoco" e incutendo costante terrore tra la popolazione. Terminata la guerra, nel giugno 1945 presero possesso dell’edificio le truppe inglesi, del "68" e "42" che vi rimasero per quattro mesi. Arriviamo nell'aprile del 1948 e finalmente, con l’elezione dei primi sindaci, la “leggendaria” struttura, che pareva attendesse una prova di riscatto, acquisì, nel nuovo clima di serenità che si respirava, un’attrazione nuova. Infatti nell’anno seguente durante la tradizionale "Sagra de le raze", il primo Sindaco eletto democraticamente, dottor Lucio Corbatto, uomo di profonda cultura, è stato fautore della prima Mostra d’arte e fotografia per dilettanti pittori, disegnatori e fotografi, con la partecipazione alle premiazioni del Prefetto di Gorizia, accompagnato da presidente della Deputazione provinciale di Storia e Patria avv. Culot.
Nel 1953, Stati Uniti e Gran Bretagna resero nota la decisione di ritirare le proprie truppe dalla "zona A" di Trieste (8 ottobre); il governo italiano accolse favorevolmente il progetto, ma la Jugoslavia minacciò di intervenire militarmente. Il Governo italiano, di tutta risposta, provvide all’invio di truppe da dislocare nei pressi del nostro confine; ed è così che alcuni soldati italiani trovarono ospitalità anche nell’edificio scolastico. La crisi venne evitata mediante trattative dirette fra Italia e jugoslavia, raggiungendo un accordo sul Territorio di Trieste in base al quale la "zona A" venne riconosciuta all’Italia e la "zona B" alla Jugoslavia. Continuando nella disamina dei fatti accaduti, non si può dimenticare che dal 1948 a tutto il 1963, questa struttura è stata sede naturale di seggi elettorali. Col riordinamento scolastico del 1962, la scuola media è diventata l’unica scuola di completamento dell’obbligo. Le due scuole del paese, elementare e media unica, si trovarono in coabitazione nello stesso edificio per oltre un anno, cioè fino al trasloco delle elementari presso il nuovo complesso scolastico di Piazzale Unicef, avvenuto nell’ottobre del 1964. La scuola media unica invece continuò a funzionare presso il vetusto edificio sino alla fine dell’anno scolastico 1983/84. Di lì a poco, lo storico edificio, dopo l'ultimazione dei lavori di un adeguato e lodevole progetto, divenne sede natura dell'attuale biblioteca comunale.

Testimonianza a cura di Maria Tiberio
Chiesa Madre di Tollo distrutta dai bombardamenti alleati (Foto Criber-Tollo)
A cura di Renato Camilli
prima del bombardamento a la Rotta frazione di Pontedera
dopo il bombardamento Bombardamento 1944 la Rotta frazione di Pontedera

Foto a cura dell'Assistente Tecnico BCM Antonio Galvivi
(Foto Faenza)
Foto a cura del rastrellatore BCM Ignazio Milioto
Testimonianze
Nasce il registro degli infoibati: in 7.200 le vittime del confine orientale
a cura del Dott. Maurizio Braggion della S.N.B. di Padova
Nuova iniziativa del presidente di "Silentes loquimur": quattro volumi per ricostruire gli scomparsi fra il 1943 e il 1945 Gli italiani scomparsi nelle foibe o nei campi di concentramento della ex Jugoslavia negli anni dal 1943 al 1945 sono stati circa 7.200. Lo ha detto oggi - alla vigilia della presentazione del "Registro delle vittime del confine orientale" - Marco Pirina, presidente dell'associazione "Silentes loquimur".
«Di questi - ha detto Pirina - un numero variabile tra 500 e 2.000 sono stati infoibati nei due momenti nei quali è stato praticato questo modo di liberarsi degli oppositori; 5.200 sono invece i morti di stenti nei campi di concentramento della ex Jugoslavia o nelle marce di spostamento da un campo all'altro».
Pirina ha precisato che «per la pubblicazione del registro sono stati confrontati dati degli archivi segreti di Lubiana, Zagabria, Belgrado e d'Italia. Sono stati confrontati date e cifre, dichiarazioni e numeri di matricola di tutti quelli che hanno attraversato qui momenti tragici. Insomma è stato fatto un lavoro incredibile.
Siamo riusciti a censire e a ricostruire tutti i passaggi dei prigionieri di molti dei quali abbiamo anche trovato delle dichiarazioni autografe». Il registro delle vittime del confine orientale consta di quattro volumi. Sarà presentato il 13 febbraio a Gorizia.

Commento: comunismo, nazismo, dispotismo hanno rappresentato veri e propri errori della cultura, forme di dominazione da parte di attivisti gnostici, sottoprodotto della crisi di valori etico-politici del ventesimo secolo, vera e propria "debacle" delle democrazie occidentali
Dott. Braggion

Testimonianza del rastrellatore sommozzatore Renato Silvestre
Il 10 gennaio 2010 nel cantiere del baby Mose di Chioggia sono state rinvenute adiacente alla sede della
capitaneria di porto di Chioggia, a una profondità di circa 4 metri, 2 ordigni da 88 mm.



Testimonianza a cura di Paolo Salvator
La foto indica l'area del Timavo (Trieste) colma di residuati bellici...
Gli artificieri al lavoro nel Timavo per rimuovere 1.650 bombe
http://gorizia.bora.la/2009/10/28/gli-artificieri-al-lavoro-nel-timavo-per-rimuovere-1-650-bombe/
Si avvia cosi’ a conclusione una vicenda che risale ormai a piu’ di mezzo secolo fa, quando i comandi militari alleati utilizzarono l’area delle risorgive del fiume Timavo come sversatoio per centinaia e centinaia di ordigni e macchinari bellici. Nella provincia di Trieste e nell’area del Timavo non e’ raro imbattersi in residuati bellici, la gran parte dei quali di piccole e medie dimensioni.
Alle foci del Fiume Timavo sono stati fatti in passato molti ritrovamenti, ma soltanto nel 2000 si e’ avviato un progetto sistematico di bonifica dell’area in vista di una riqualificazione turistica dell’intera zona, peraltro protetta da vincoli paesaggistici per la bellezza dei luoghi e la particolarita’ della vegetazione presente. Proprio i vincoli paesaggistici e la difficolta’ di reperimento dei fondi hanno provocato un lungo periodo di stasi nelle operazioni di bonifica.
Dal settembre scorso, grazie ai fondi stanziati dalla Regione e all’attivita’ di coordinamento messa in atto tra la Prefettura di Trieste, il comune di Duino Aurisina e tutti gli enti interessati, l’attivita’ e’ ripresa e ora sta volgendo a termine la prima fase delle operazioni.
La prima tranche della bonifica si concludera’ in settimana. Una seconda fase che chiudera’ la bonifica sistematica del sito sara’ attivata non appena ottenuto il nulla osta all’avanzamento dei lavori dallo Stato maggiore della Marina.
Da ieri, gli artificieri della Marina Militare hanno iniziate a raccogliere le prime delle 1.650 bombe risalenti alla seconda guerra mondiale ancora presenti nel letto del Timavo. L’operazione è ripresa a settembre, grazie al coordinamento della Questura di Trieste e della Prefettura di Gorizia. Sarà invece il Nucleo guastatori dell’esercito a far brillare gli ordigni, nei pressi di Monfalcone.
Il numero sorprendentemente alto di bombe è dovuto al fatto che gli Alleati scelsero le risorgive del fiume come sversatoio per ordigni e macchinari inutilizzati, perlopiù di piccole dimensioni.
Un progetto organico di bonifica dell’area è stato avviato solo nel 2000. Poi, a causa delle difficoltà nel reperimento dei fondi necessari, le operazioni si sono interrotte fino all’intervento della Regione di questo settembre. Questa settimana dovrebbe concludersi la prima fase della bonifica, mentre la tranche conclusiva sarà avviata solo dopo l’ottenimento del nulla osta all’avanzamento dei lavori da parte dello Stato maggiore della Marina.

Ritrovamento di residuato bellico a Verona
Bomba d'aereo da 1.000lb a Verona vicinanze zona fiera
Luglio 2009
Testimonianza a cura dell'Assistente Tecnico Giuseppe Ardito
Approfondimento storico a cura del Dott. Andrea Thum, Ricercatore Storico
15a U.S.A.A.F. - Ordine di Operazioni n.614 - Dalmine, Verona, Avisio, 6 luglio 1944.
Il 6 luglio 1944 oltre 530 velivoli, appartenenti agli stormi da bombardamento pesante della 15a U.S.A.A.F., partecipano ad un attacco contro obiettivi multipli nel nord Italia:
- il 47th Bomb Wing si occuperà dei ponti ferroviari sul fiume Tagliamento in località Casarsa e Latisana;
- il 49th Bomb Wing attaccherà i depositi di carburante e combustibile di Aviano;
- il 55th Bomb Wing bombarderà i depositi di combustibile di Porto Marghera;
- il 304th Bomb Wing colpirà le raffinerie nord di Trieste;
- il 5th Bomb Wing avrà come obiettivo le acciaierie di Dalmine, lo scalo ferroviario di Verona, e il viadotto sul fiume Avisio.
Per ogni obiettivo, i Bomb Wings (Stormo da bombardamento) incaricati delle missioni assegnano due dei propri Gruppi da bombardamento (Bomb Groups). Il 5th B.W. operava su B-17 (Fortezze volanti), tutti gli altri, invece, con B-24 “Liberator”.
L’importanza strategica del complesso delle acciaierie di Dalmine era ben nota agli Alleati. Inoltre, dopo l’8 settembre 1943, e sotto il controllo tedesco, la produzione risultava implementata. In ogni caso, dalle fonti originali dell’aviazione statunitense si evince che la necessità primaria di colpire l’obiettivo identificato come “Bergamo Steel Works” o “Mannesmann Tube Works”, era la capacità del comparto industriale di produrre oltre 900 tons mensili di elementi per la fabbricazione di proiettili a razzo, utilizzati dalla caccia tedesca proprio contro le formazioni da bombardamento americane. 

La missione contro la Dalmine viene affidata a 28 B-17 del 99th B.G. (soprannominato il Gruppo del “Diamante” per l’insegna a forma di rombo applicata sui timoni di coda degli aerei), di base a Tortorella, e ad altrettanti del 463rd B.G., che dal marzo 1944 si è stabilito in località Celone, poche miglia a nord ovest della città di Foggia. (il 463rd B.G. era conosciuto come “The Swoose Group”, soprannome affibbiato al Gruppo dal suo Comandante, Colonnello Kurtz. Il termine "Swoose" richiamava uno strano volatile, incrocio fra un cigno (swan) e un'oca (goose), riprodotto come "nose art" e duplicato anche in fusoliera sul B-17 pilotato abitualmente da Kurtz).
Ogni aereo imbarcherà 12 bombe di tipo G.P. da 500 libbre, armate con spolette ad innesco ritardato a 1 decimo di secondo per quelle di ogiva, e fra 0,01 e 0,025 sec. per quelle di coda.
Dopo essere decollati dalle loro rispettive basi pugliesi, tutti i Bomb Groups partecipanti alle azioni previste per quella giornata si dirigono verso nord, sul mare Adriatico, per riunirsi sulla verticale dell’isola di Jabuka (“Key Point” per la missione), all’altezza di San Benedetto del Tronto. Disposti su due file, delle quali quella di sinistra è formata dai “box” dei sei Bomb Groups del 5th Bomb Wing, i velivoli proseguono il sorvolo del mare sino all’altezza della penisola istriana. Qui avviene la separazione degli Wings, che d’ora in avanti si dirigeranno verso i rispettivi obiettivi.
I B-17 del 5th B.W. piegano verso nord ovest, entrano nella pianura padana e, all’altezza dell’abitato di Stanghella (Rovigo), puntano in direzione nord. Nei pressi di Montebello (Vicenza) due Bomb Groups (il 2nd e il 97th) abbandonano la formazione per dirigersi verso il proprio bersaglio, rappresentato dallo scalo ferroviario di Verona. Il resto dello schieramento prosegue, invece, sul percorso originale sino a raggiungere Riva del Garda. Sopra questa località gli aerei del 99th e del 463rd B.G. virano verso sud ovest, lasciando i restanti due Gruppi (il 301st e il 483rd B.G.) continuare la corsa che li porterà a colpire il viadotto sul fiume Avisio.
Per Dalmine inizia a profilarsi il disastro. I B-17 giungono a sorvolare Sarnico, sul lago di Iseo, il previsto Initial Point dell’attacco (l’Initial Point era un punto facilmente identificabile al suolo, a poca distanza dall’obiettivo). Da quel momento inizia la cosiddetta “corsa di bombardamento”: i velivoli, con i portelli della stiva bombe aperti, devono mantenere una quota il più possibile livellata ed evitare manovre evasive, per non inficiare i sistemi di puntamento di bordo.
Con una rotta di 265°, il primo ad arrivare su Dalmine è il 463rd B.G., che alle 11,02, da una quota di 23.500 piedi rilascia il suo carico. Due minuti più tardi è la volta del 99th B.G., che giunge su di un bersaglio già coperto da una nube di fumo e polvere provocato dalle esplosioni di pochi istanti prima. La pioggia di ordigni dirompenti coglie di sorpresa la maggior parte dei dipendenti dello stabilimento e della popolazione. Infatti l’allarme aereo non viene trasmesso, o per lo meno, comunicato dalla Centrale di Milano, alla quale lo stabilimento era collegato telefonicamente, ad incursione ormai conclusa.
In data 26 luglio 1944, il quotidiano “L’Eco di Bergamo” riportava un lungo e drammatico elenco di persone decedute a causa del bombardamento. La cifra era di 269 morti, dei quali 248 erano dipendenti delle acciaierie e delle piccole aziende operanti all’interno del perimetro dello stabilimento, e 21 i civili. Infatti, malgrado le forze da bombardamento statunitensi praticassero il bombardamento diurno alla ricerca della massima precisione, molte delle oltre 600 bombe sganciate in quella occasione colpiscono anche zone limitrofe il complesso industriale. Il pesante bilancio sarà destinato a crescere, a causa delle gravi condizioni in cui versavano molti degli oltre 800 feriti.
Dalmine detiene il triste primato del maggiore numero di maestranze decedute, nel corso di una singola azione di bombardamento, sul territorio Italiano.

Dott. Andrea Thum
Testimonianza a cura di C.C.M. di Luigi Natale
Lavoro di Bonifica Bellica sistematica in località Falconara (AN)
Rastrellatore BCM - Ciampitiello Nicola

Sulle Alpi Orientali
Testimonianza a cura di Lucia Benedetto
Carissimo Giovanni, sei riuscito a toccare le corde del mio cuore...
Le Alpi Orientali sone le "mie Alpi",mio nonno ha combattuto nella grande guerra del 15/18, e tanti suoi compagni si trovano ora nel Sacrario di Redipuglia....
Storia del Piave: Nasce nelle Alpi Orientali e più precisamente nelle Alpi Carniche, alle pendici meridionali del Monte Peralba, nel comune di Sappada, in provincia di Belluno, a quota 2.037 m s.l.m..
La parte meridionale del corso del Piave divenne una linea strategica importante nel novembre 1917 in corrispondenza della ritirata avvenuta in seguito a Caporetto. Dopo il passaggio sulla riva destra del resto delle armate italiane e la distruzione dei ponti, il fiume divenne la linea di difesa contro le truppe austriache e tedesche che, nonostante svariati tentativi, non riuscirono mai ad attestarsi stabilmente oltre la sponda destra del fiume, pur riuscendo a varcarla in più punti, penetrando in profondità in territorio "destra Piave" in particolare presso Meolo. La linea di difesa italiana resistette fino all'ottobre 1918 quando, in seguito alla battaglia di Vittorio Veneto, gli avversari furono sconfitti e si giunse all'armistizio.
La canzone probabilmente più famosa della prima guerra mondiale fu La leggenda del Piave di Giovanni Gaeta, autore famoso di canzoni napoletane, meglio noto con lo pseudonimo di E.A. Mario Tale inno fu pubblicato nel 1918, ma probabilmente giunse ai combattenti prima a mezzo di tradotta postale.
....2 agosto 1915 .- La toponomastica alpina si arricchisce di una nuova forcella. Un conducente di fanteria, che con un mulo porta i viveri alla forcella Righile (o Houbolt) tenuta da una squadra di fanti, viene catturato da 4 austriaci che si sono celati tra le rocce. Essi riescono a far passare il mulo attraverso la forcelletta rocciosa che si apre ad ovest della Forcella Righile (e che da allora prenderà il nome di "Passo del Mulo"), scendono nella valle e rientrano trionfanti nelle loro linee con il singolare prigioniero. Si verrà poi a sapere dai prigionieri che quel mulo alpinista è passato al nemico entrando a fare regolare servizio di rifornimento al presidio austriaco del Peralba.
Io ho scalato il monte peralba, ho percorso il tracciato eseguito dagli alpini, sono arrivata ai laghi d'olbe e poi ho fatto il Passo del mulo, poi. scendeno verso la Val Visdende sono rientrata in albergo a Sappada.Il mio percorso, è stato un percorso di memoria.

Testimonianza a cura del Sig. Michele D'Alonzo
Bombardamento di Bologna del 22.04.45
Avevo 15 anni, abitavo in via Vittorio Veneto 24. Non ero diverso dai ragazzi di allora che mi ricordano
i giovani della Palestina di oggi, cresciuti in mezzo alle bombe e che l'incoscienza o la spavalderia ti portava a
far cose che solo a ripensarci, dopo tanto tempo, ti vengono i brividi. Il 22 aprile 1945 si festeggiava la
liberazione di Bologna. La mattina precedente ero sui gradini di San Petronio ad guardare incantato le Jeep dei
polacchi appena arrivati. Il 22 doveva essere il primo giorno tranquillo dopo tanti mesi di affanni. E invece..
verso sera suona di nuovo l'allarme e naturalmente, come tutte le altre volte, mi precipito in strada per vedere..
E vedo aerei che fanno cadere qualcosa sulle case vicino a casa mia. Non sono bombe, ma spezzoni incendiari, che si appiccicano ai tetti delle case di via Pasubio e bruciano.
Non combinano niente, forse qualche tegola rotta o qualche trave sottostante bruciacchiato. Quel che ricordo bene e su cui potrei giurare è che il giorno stesso o la mattina seguente nel mio cortile ne trovo uno infilato nella terra morbida. Era meraviglioso.. argenteo e con le alette in mostra. In un attimo lo sfilo e lo porto a casa. Avevo il cassetto della mia scrivania pieno di pezzi di tritolo giallo cadmio, raccolto all'angolo davanti al N° 20 in una buca in cui faceva bella mostra di sè una bomba da 250 libbre aperta come i petali di una rosa. Ci misi dentro anche quello. Non posso raccontare quello che accadde dopo, quando mio padre vide tutte quelle cose. Questo ho voluto raccontare, che fra tutti i miei ricordi di allora forse è una sciocchezza, ma che oltre a segnalare un luogo in cui sicuramente caddero le "bombe del Reich", rivela un pò l'animo di un ragazzo che in quel tempo frequentava la II al Righi, e che fu testimone e partecipe di eventi che oggi sarebbe impensabile ripetere, ma che lasciano in me la nostalgia per la gioventù inesorabilmente andata.

Testimonianza a cura di Francesco Vecchio


Testimonianza a cura di Michele Becchi
Grande Capacità per il mortaio da 81 modello 35.

Ricordo del 90° anniversario della fine della

Grande Guerra 1914 – 1918

Novanta anni fa si completava l’unificazione del suolo patrio
e del popolo italiano
 
Ricorre, ai primi di novembre di questo anno, il 90° anniversario della fine della Grande Guerra e della completa unificazione del suolo patrio e del popolo italiano.
La guerra che iniziò nel 1914 fu l’evento più rilevante del XX secolo poiché coinvolse tutti i più grandi Stati: fu la prima guerra “moderna”combattuta per terra, per mare e nell’aria con un impiego di armi e di mezzi tecnici mai usati sino allora.
Mi sembra doveroso che tutti gli italiani attestino un grande tributo di gratitudine e di riconoscenza ai combattenti della Prima Guerra Mondiale, verso quei valorosi Soldati che, giustamente, possiamo considerare l’aristocrazia del valore, i quali risposero con slancio e grande generosità alla chiamata della Patria.
Alle generazioni di oggi, che hanno raccolto il frutto del Loro sacrificio, ritengo non sia giusto lasciar cadere nell’oblio le ardue vicende che hanno contrassegnato l’esistenza di chi ci ha preceduto, così come non è da uomini civili e liberi dimenticare l’altissimo tributo di valore e di sangue pagato da quegli eroici soldati per renderci come oggi siamo.
Se la fine della Prima Guerra Mondiale costituì il coronamento dell’unità d’Italia, a distanza di novanta anni da quel grandioso e agognato evento, appare doveroso  oggi attribuire un significato a questa importante celebrazione:
-       per l’educazione morale e spirituale delle nuove generazioni, per meditare su quegli avvenimenti tremendi, coglierne la portata e trarne gli insegnamenti;
-       per onorare la memoria e le vicende umane di coloro che lottarono, soffersero e morirono nel compimento di un dovere, con grande umiltà e generosità;
-       per attingere al patrimonio di valori ideali e di virtù civiche che ci hanno lasciato in eredità i nostri padri e per esaltare quei valori di pace e riconciliazione che ogni uomo, pur nella diversità, deve custodire nel suo cuore.
Noi vogliamo ricordare quegli avvenimenti, quei sacrifici, quelle sofferenze dei Soldati di un tempo ormai lontano con sentimenti di gratitudine, di grande rispetto e ammirazione; sacrifici e sofferenze che furono espressione di una gioventù generosa inviata a vivere  e morire in condizioni talmente irreali che gli uomini del nostro tempo si rifiutano addirittura di credere possibili.
Uomini di ogni credo politico, di ogni ceto e condizione sociale, amanti della libertà e della loro terra, accorsero da tutti i paesi, le città d’Italia e dall’estero, uniti in solidarietà e valore per servire in armi la Patria. Accomunati nel crogiuolo della trincea e della battaglia incominciarono a conoscersi e socializzare tra di loro sino a  diventare fratelli.
Fanti, alpini, bersaglieri, granatieri, artiglieri, cavalieri, genieri, trasmettitori, carabinieri, finanzieri, soldati dei servizi logistici, dai ghiacciai dell’Adamello alle arse trincee del Carso, dal Monte Nero all’Altopiano di Asiago, dal Pasubio al Monte Grappa, scrissero pagine di eroismo e di grande umanità.
Non furono da meno i valorosi marinai e aviatori che, con le loro eroiche imprese, contribuirono in maniera determinante alla vittoria finale delle nostre armi.
Dopo la tragica Battaglia di Caporetto, che nel giro di poche ore travolse il destino di migliaia di soldati e di oltre un milione di civili, l’esercito e il paese ritrovarono insieme la forza e la volontà di resistere e combattere sul Piave. Il Piave divenne il fulcro e il simbolo della volontà di riscossa di tutto il popolo italiano.
Sul Piave, fiume sacro alla Patria, i petti dei “ragazzi del ’99” crearono un invalicabile baluardo per la salvezza e la resurrezione d’Italia.
Il loro impegno fu fondamentale: da loro iniziò la riscossa dopo la disfatta di Caporetto per ridare slancio ed entusiasmo ai soldati avviliti e radicati sulle infuocate trincee del Piave e del Monte Grappa.
In quei momenti tragici e decisivi per le sorti della nostra Patria, grande importanza ebbe il fronte interno e l’opera materiale e morale delle donne. Madri, spose, ragazze sostituirono gli uomini inviati al fronte nelle fabbriche e in molti settori produttivi, dando così un prezioso contributo per il conseguimento della vittoria.
E, nell’ottobre del 1918, dal Monte Grappa iniziava quella offensiva vittoriosa di Vittorio Veneto che si concludeva con la definitiva sconfitta dell’Austria - Ungheria.
Rifugi, postazioni e monumenti costellano ancora oggi queste terre, a testimoniare il coraggio, la tenacia e lo spirito di sacrificio di chi fu chiamato a combattere una guerra sanguinosa e terrificante che in quei luoghi è diventata leggenda.
Pochi, all’inizio della guerra, erano consapevoli della tragedia che avrebbe colpito il nostro popolo - oltre seicentocinquantamila caduti, un milione e mezzo di feriti, un’intera generazione di giovani falciata; migliaia di lutti di tante madri, spose, figli, infiniti sacrifici, sofferenze, distruzioni e devastazioni di ogni genere. Oggi possiamo misurare pienamente ciò che quella guerra rappresentò per il nostro popolo e per i popoli dell’Europa.
Milioni di uomini si ritrovarono a combattere fra il fango delle trincee, sotto una tempesta di ferro e di fuoco che provocò paurose carneficine specie tra le unità di fanteria.
Dopo 41 mesi di guerra durissima il nostro popolo uscì da quella spaventosa tragedia certamente provato, ma vittorioso e, quel che più conta, finalmente unito e libero. Una vittoria costruita da una massa di umili contadini provenienti da tutte le regioni d’Italia, con il fucile in mano al posto della vanga, che lottò con fatica e in silenzio senza mai nulla chiedere anche quando, in nome dell’Italia, andavano a morire sulle alture del Carso, sui ghiacciai dell’Adamello, sul Pasubio, sull’ Ortigara,  sul Monte Grappa o sulle sponde del Piave nel nome dell’Italia.
La vittoria conseguita al prezzo di grandissimi sacrifici ci permise di completare l’unificazione del territorio nazionale con il ricongiungimento per sempre all’Italia di Trento e Trieste, essa rappresentò il culmine di oltre un secolo di lotte risorgimentali perseguite con tenacia da una folta schiera di coraggiosi martiri e patrioti che credevano in un’Italia unita, indipendente e libera dalla secolare egemonia di molte potenze straniere.
L’Italia di oggi, ed in particolare le nuove generazioni, devono sentirsi riconoscenti e legate a quelle gesta gloriose e da quel grande patrimonio di valori trarre  lo spirito vitale per alimentare sentimenti di amore verso la Patria e con i quali si onorano i molti eroismi e sacrifici di quella generazione di uomini e di cui l’aspro teatro del conflitto fu silenzioso testimone.

Sono trascorsi ormai più di novanta anni dall’inizio di quella immane tragedia, un evento che coinvolse milioni di uomini in ogni parte del pianeta, e che cambiò in modo definitivo il volto dell’Europa.

Durante quegli anni ormai lontani, ma sempre vivi nella nostra memoria, molti soldati si resero protagonisti di numerosi atti di eroismo per realizzare l’indipendenza e l’unità d’Italia.

Se la nostra coscienza di cittadini avrà saputo raccogliere il senso di quel enorme sacrificio, di quelle nobili virtù, di quelle tensioni ideali, di quei dolori sofferti in nome dell’Italia che Loro ci hanno lasciato, e ricorderemo con religioso rispetto quelle vicende, allora quei Soldati continueranno a vivere nel nostro animo, nell’animo dei figli dei nostri figli e nel cuore della nostra comune madre, la Patria.
Potremo dire allora che il loro sacrificio non è stato vano ma ha prodotto copiosi e fecondi semi di pace.
Ritengo, quindi, giusto e doveroso ricordare con gratitudine e riconoscenza tutti quei valorosi Soldati, che senza odio ma con alto senso del dovere e sorretti dalla fede, spesero la loro giovane esistenza per l’Italia. Con lo stesso spirito ricordiamo e rendiamo onore ai valorosi e cavallereschi nostri avversari di allora, appartenenti ad uno dei più potenti eserciti del mondo, che con altissimo senso del dovere e dell’onore, lottarono con grande coraggio, spirito di sacrificio e lealtà per la loro Patria. Oggi siamo sempre più convinti che le guerre, tutte le guerre, sono da condannare e da evitare perché sono fonte di odi, povertà, devastazioni morali e materiali inaudite. La pace va costruita, difesa e mantenuta quotidianamente al di là dei Trattati, soprattutto con il nostro comportamento che deve essere improntato ad iniziative di solidarietà, sincera collaborazione e al dialogo reciproco.
Oggi, gli uomini e le donne delle nostre Forze Armate, nel solco tracciato dagli eroici Soldati di Vittorio Veneto, rinnovano le tradizioni di amor di Patria, spirito di sacrificio e abnegazione, operando con altissima professionalità e assoluta correttezza di comportamenti, spesso rischiando la vita, nelle numerose e complesse missioni nel mondo, a sostegno della sicurezza, della legalità, della ricostruzione e per rafforzare la pace. In questo importante anniversario ricordiamoli con affetto e riconoscenza perché, con lo stesso spirito dei ragazzi del Piave e del Monte Grappa, ogni giorno con grande umiltà e generosità, onorano la nostra Patria e la nostra Bandiera.
Il retaggio di quel prezioso patrimonio di valori ideali e virtù civiche di quella generazione di valorosi combattenti, costituisca non solo per noi ma per tutti i popoli dell’Europa, motivo di riflessione ed esperienza e sia un valido aiuto per costruire un futuro migliore, di pace, di libertà, di giustizia, di progresso, rispettoso della dignità di ogni uomo e di ciascun popolo.
Che ogni nostra azione sia degna della loro memoria e del loro eroismo.                                                                               
 
                                                                  Generale degli Alpini  Tullio Vidulich

Testimonianza a cura di Valter Morena
Tratto dal quotidiano "La Stampa"
Testimonianza a cura di Giacomo Bernardi
Testimonianza a cura di Valter Morena
18/10/2008 - Tratto dal quotidiano Cronaca Qui
Miracolo a Sant’Anna
Miracolo a Sant’Anna, film di Spike Lee, è unicamente una pellicola, che narra la strage del 12 agosto del 1944, quando in località Sant’Anna di Stazzema, (Lucca), le SS, appartenenti alla sedicesima Divisione Panzergrenadier, stermina 560 civili, ( settanta, sono bambini d’età inferiore ai dieci anni), del paese.
Il film, evidenzia come causa dell’eccidio, il tradimento di un partigiano.
Apriti cielo! Spike Lee è investito da turbini polemici, fuori luogo e completamente ingiustificati.
“La proiezione di un film è un semplice momento di riflessione”.
…L’eterogeneo pubblico, raccoglie e riflette in maniera differente i numerosi messaggi del film. Ovviamente tutti i presenti raccolgono, l’orrendo massacro consumato sul piazzale della piccola Chiesa del paese. In tanti, colgono l’enorme difficoltà della truppa afroamericana, (Buffalo Soldiers), piuttosto maltrattata dal proprio Comando. Altri, sono attratti dal personaggio interpretato da Omar Benson Miller: “ Gigante di cioccolato”, che a dispetto dei propri superiori riesce a salvare il bambino che....
“…Ma ripeto si tratta di un film indirizzato verso un preciso ed orrendo, passo di storia, tratto dall’omonimo romanzo, di James McBride (musicista, giornalista e scrittore americano ), che il regista Spike Lee, ha voluto rievocare, a favore e per la memoria dei più giovani”.
Ciò che viceversa disturba, è l’assurdo polemico polverone, assecondato da chi è tenuto a sostenere e coltivare, la memoria di questi tragici eccidi, invece di servirsene, in nome di una propria arrotondata, verità.
…Le figure dei partigiani sono sminuite! No, non è vero, anzi.
Spike Lee nel film, racconta, impegni e doveri, delle truppe partigiane, raccolte tra i monti dello Stazzemese e, l’ipotetico “Giuda”, all’interno del film non è mai capace di sminuire gli sforzi della Brigata Garibaldi, ( la 10 Bis).
LA MIA IDEA
Oggi, nel 2008, diventa insignificante arrovellarsi la coscienza per i crimini di guerra del passato. Anche perché, la caduta del muro di Berlino, (ottobre 1999 ), comodamente, evidenzia i molteplici scheletri, fino a quei tempi, sapientemente occultati. Come spiego in un altro articolo, in guerra “nessuno può vantarsi d’essere dalla parte giusta”.
Nel mezzo della guerra civile in Italia, gli errori/orrori, spadroneggiavano da entrambi gli schieramenti.
Un esempio, è l’esecuzione del Maggiore, “Igino Ghibellini”, (dopo l’otto settembre assume la carica di Federale a Ferrara), avvenuta la notte del 14 settembre 1943. Qualche ora dopo, la vendetta: “Undici antifascisti cadono per fucilazione”.
Il 25 marzo 1944, a Roma 335 ostaggi, sono ferocemente assassinati, (Fosse Ardeatine) per conto della follia tedesca, che motiva la strage, a causa dell’azione partigiana di Via Rasella.
Il 29 settembre 1944, Il dramma di Marzabotto: “ Luogo, dove circa 1800 rastrellati, tra partigiani e civili, restano imbrigliati nella rete dell’odio”. Potrei continuare, ma inutilmente. Giustamente, si persevera ad incriminare i bombardamenti aerei, inglesi, le stragi naziste e, no, le infinite crudeltà eseguite all’interno dei campi di concentramento, del nord/est europeo, (10.000.000 di vittime).
Ciò, che bisogna urgentemente comprendere, è il dramma vissuto, nel periodo della seconda guerra mondiale, il cui peso è stato riversato in molteplici e cattive pagine di storia. Ma, grazie a Spike Lee, e il suo “Miracolo a Sant’Anna, sicuramente s’è rinnovata la speranza, di coltivare per il futuro, un sincero desiderio di pace.
GIOVANNI LAFIRENZE

Testimonianza a cura di Valter Morena
15/10/2008 - Tratto dal quotidiano Cronaca Qui

OMAGGIO ALLA STILISTA - CHANEL - RICORDANDO I CADUTI DELLA PRIMA
GUERRA MONDIALE":
Pietra Ligure (Savona) 8 Ottobre 2008 -Prendendo spunto dallo sceneggiato televisivo trasmesso da Rai uno, dedicato alla biografia di " Coco Chanel", (andato in onda il 6 - 7 Ottobre u.s.), vorrei esprimere il mio plauso ad una così forte ed emozionante stilista – icona, che ancora oggi ci fa sognare. Una donna che seppe assurgere ad alte vette, grazie al dono meraviglioso che Ella ebbe dalla natura, ovvero il saper creare magistralmente, artistici abiti femminili, rivoluzionando così il modo di vestire delle donne, che voleva, belle, libere e moderne. La prima guerra mondiale, coincide con i timidi e grandi esordi di Coco Chanel. Infatti le tragiche circostanze belliche non fecero perdere alla stilista il suo innato ottimismo, anzi , creò con un nuovo tessuto (il jersey) le divise delle "benemerite crocerossine", impegnate nell'assistenza ai feriti in guerra. Ho voluto ricordare quanto sopra, anche perchè, quest'anno coincide con il" 90° Anniversario della “Grande Guerra ", (1915 - 1918).
A Cura di Stefania Saule


Foto di bomba d'aereo da 1000 libbre
 
Testimonianza a cura del Dott. Mauro Quattrina

Testimonianza a cura di Renato Silvestri
Ridiamoci su che è meglio...

Sensibilità... dove sei?
Testimonianza a cura di Marco Felice
Granata da 75 mm anti-tank, fabbricazione americana

Testimonianza a cura di Marco Felice

Bomba d'aereo lanciata il 23 maggio 1944 su Giuliano di Roma (fr) e rimasta inesplosa. Ora e' conservata all'interno di una chiesa, il santuario della Madonna della Speranza a Giuliano di Roma.

Testimonianza a cura di Mauro Marchi, dal Passo del Tonale

Testimonianza a cura di Matteo d’Ingeo
lib_pol                                        Alla Direzione Generale
                                                   A.R.P.A.  Puglia

Molfetta, 25.08.2008
Oggetto: presenza bombe all’iprite, richiesta monitoraggio acque.
Il movimento civico “LIBERATORIO Politico” di Molfetta è impegnato da molto tempo (oltre che su altre tematiche) nella ricostruzione storica della presenza delle bombe all’iprite, e/o a caricamento chimico, nelle acque costiere della nostra città.
I dati raccolti, le relazioni e gli studi che abbiamo consultato, facilmente reperibili in rete, destano non poche preoccupazioni.
Molti di noi frequentano abitualmente, e da tanti anni, le scogliere su cui sorge Torre Gavetone.
E’ ormai noto che questa torre, ricorrente in tutti i dossier, articoli di stampa e siti specializzati, che parlano delle bombe all’iprite, è un punto di riferimento per studiosi e ricercatori.
Proprio al largo di Torre Gavetone sono state individuate migliaia di bombe all’iprite depositate durante la seconda guerra mondiale, precisamente nel 1943.
In tutti questi anni sono noti i casi di ritrovamento di questi ordigni e i casi di intossicazione, specialmente tra i pescatori molfettesi, dovuti al contatto o inalazione del così detto “gas mostarda”.
Abbiamo anche appreso, dagli studi dell’ I.C.R.A.M., che il caricamento delle migliaia di ordigni individuati è costituito da aggressivi chimici a base di iprite e composti di arsenico e in alcuni casi l'aggressivo chimico è conservato in bidoni anch'essi adagiati sui fondali e che, a causa della corrosione, cominciano a rilasciare sostanze letali.
Si aggiungano a questi anche 11 bombe ormai corrose, dopo oltre 60 anni, che stanno rilasciando agenti tossici in acqua.
Senza voler creare inutili allarmismi e pregiudiziali ipotesi, i dati riportati negli studi dell’ I.C.R.A.M. ci portano, per lo meno, a chiederci se Codesto Ente è stato mai coinvolto dagli organi competenti in un monitoraggio delle acque marine interessate alla presenza delle predette bombe.
Lo studio dell'I.C.R.A.M. è chiaro. I campioni prelevati dai ricercatori, acqua, sedimenti e pesci, "sono stati sottoposti a quattro diverse metodologie d'analisi che indicano la sussistenza di danni e rischi per gli ecosistemi marini determinati da inquinanti persistenti rilasciati dai residuati corrosi".
In particolare, grazie ai confronti con esemplari della stessa specie prelevati nel Tirreno meridionale, le analisi hanno rivelato nei pesci dell'Adriatico "tracce significative di arsenico e derivati dell'iprite". Particolarmente rilevanti "le alterazioni a carico di milza e fegato". È stata anche riscontrata la presenza di parassiti in branchie, cavità addominale e tessuto cutaneo". Questo significa "che i pesci dell'Adriatico", rispetto a quelli del Tirreno,  spiega Ezio Amato, "sono particolarmente soggetti all'insorgenza di tumori; subiscono danni all'apparato riproduttivo; sono esposti a vere e proprie mutazioni genetiche che portano a generare esemplari mostruosi".
In questi giorni l’attenzione dell’ARPA, delle istituzioni pubbliche e sanitarie è rivolta alla sintomatologia che sta colpendo molti molfettesi a causa dell’alga tossica (Ostreopsis ovata) e proprio in località Torre Gavetone i casi sono stati tantissimi, forse un centinaio, compreso il sottoscritto, ma non messi in rete e non registrati presso alcun presidio medico, se non presso il proprio medico curante o semplicemente dal passaparola.
Ma la nostra attenzione si è focalizzata invece su di una particolare segnalazione di un cittadino che dopo aver letto una nostra lettera aperta al Sindaco di Molfetta, e di altri documenti che alleghiamo, ha ritenuto di comunicarci un curioso caso di “infiammazione cutanea” che ha coinvolto la propria famiglia.
Riportiamo di seguito il testo della segnalazione omettendo l’identità del denunciante nel rispettando della privacy, ma conosciuto e identificato dallo scrivente:
Nel pomeriggio di domenica 27 luglio, dopo una giornata passata a mare in località Torre Gavetone (Molfetta) mia moglie ha iniziato a manifestare sintomi di un bruciore non consueto a livello dell’apparato genitale, gradualmente sempre più intenso e successivamente accompagnato da un dolore continuo localizzato però internamente.
Il suo ginecologo, che fortunatamente ha potuto visitarla la sera stessa del 27, ha rilevato uno stato di intensa infiammazione vaginale sia esterna che interna, accompagnata internamente da una lesione dell’epitelio della mucosa.
La lesione ha richiesto un intervento chirurgico con il laser mentre lo stato infiammatorio, che nei giorni successivi si è ulteriormente accresciuto, è stato affrontato attraverso terapie diverse con l’uso successivo di differenti prodotti antinfiammatori senza inizialmente riuscire ad incidere né sul dolore né sullo stato infiammato dei tessuti.
Dei risultati evidenti si sono avuti solo durante gli ultimi 10 giorni con un riduzione visibile dello stato infiammatorio, che però non ha tuttora comportato una riduzione significativa del dolore.
Il ginecologo ha subito scartato l’ipotesi di un agente microbico come origine di tali problematiche, non avendo trovato traccia di tali presenze ed ha comunque prescritto, contemporaneamente agli interventi antinfiammatori, anche la somministrazione di antibiotici in dosi elevate per evitare infezioni secondarie dei tessuti lesi.
Lo stesso medico ha da subito ipotizzato l’origine delle lesioni in un contatto con sostanza fortemente urticante la cui origine non è in grado di stabilire. Si tratta comunque di qualcosa che può essere entrato in contatto con il costume da bagno e di lì essere stata assorbita dalla cute.
E’ importante rilevare che la madre di mia moglie, anche lei con noi a mare il 27 luglio, ha manifestato, dopo 24 ore, la stessa identica sintomatologia (infiammazione esterna e, parzialmente, interna, lesione interna, dolori), in una forma però molto più lieve da cui è completamente guarita in una settimana.
Mia moglie invece continua a manifestare sintomi visibili di uno stato infiammatorio dei tessuti (in graduale e lento miglioramento) e dolori tuttora persistenti e continui.”
Alla luce di quanto esposto il sottoscritto chiede alla Direzione Generale e Scientifica di Codesta Agenzia se, nell’ambito delle competenze assegnateLe, nell’esercizio della tutela e salvaguardia ambientale, e soprattutto della tutela della salute dei cittadini, intendano monitorare le acque marine comprese nello specchio d’acqua antistante Torre Gavetone per verificare eventuali presenze di sostanze tossiche riconducibili agli ordigni bellici a caricamento chimico presenti.
Naturalmente l’area da sottoporre ad indagine, a nostro modesto parere, non dovrebbe essere solo quella più vicina alla riva; in accordo con gli enti che stanno già operando nella zona per lo sminamento, bisognerebbe monitorare anche le aree marine in cui sono state già individuate le bombe a caricamento chimico e/o i fusti metallici che contengono altre sostanze chimiche tossiche.
Nessuno può e deve sottovalutare il rischio che incombe su tutti noi. Se fosse vero che nei nostri fondali giacciono migliaia di bombe all’iprite, che ogni bomba contiene in media 30 kg di sostanza chimica tossica e che il tempo ha corroso il metallo che la contiene, dobbiamo cominciare ad essere consapevoli di essere di fronte  ad una vera e propria “bomba ad orologeria”.
In attesa di positivi riscontri, lo scrivente rimane a Vostra disposizione per ulteriori chiarimenti e/o sostenitori.
Cordiali saluti.
                                                        Per il LIBERATORIO Politico
                                                                   Matteo d’Ingeo



Testimonianza a cura di Mauro Marchi, dal Passo del Tonale

Testimonianza a cura di PaguroSub, Associazione per la difesa dei fondali di Montalto



Testimonianza a cura del Pr. Matteo D'Ingeo

Abbiamo appreso dall’ufficio stampa del Comune di Molfetta, dell’inizio delle operazioni di rimozione degli ordigni bellici presenti nel bacino portuale di Molfetta.
Lo stesso Sindaco ha esternato grande soddisfazione per “questo straordinario intervento” di bonifica a favore del nostro mare.

Ha poi dichiarato che l’operazione in corso “è il frutto di un lunghissimo lavoro che l’amministrazione comunale ha saputo portare a termine nonostante grandi ostacoli burocratici”.

"Lo sminamento in atto in questi giorni
– conclude Azzollini – permetterà non solo di accelerare i lavori di costruzione del nuovo porto commerciale, ma soprattutto rappresenterà un elemento di sicurezza per l’incolumità dei lavoratori, quali armatori e marinai, che finalmente potranno lavorare serenamente senza alcun rischio legato agli esplosivi presenti in mare."

Peccato che il Sindaco oltre a voler, a tutti i costi, mettersi una nuova medaglia al petto, sia più preoccupato dei ritardi che potrebbe subire la costruzione del nuovo porto che del reale pericolo che incombe da decenni sulla salute dei molfettesi.
Il “Piano di Risanamento delle aree portuali del basso Adriatico” viene da molto lontano e nella Delibera della Giunta Regionale del 5 dicembre 2007 n. 2120 non si parla solo di sminamento della zona antistante il porto, ma anche di una vasta area di zona costiera all’altezza di Torre Gavetone.
Non si capisce se il Senatore ha la consegna del “segreto di Stato” o siamo di fronte ad un semplice e grottesco “segreto di Pulcinella”.
E’ da qualche anno che si ritorna a parlare di sminamento delle nostre acque, ma nelle note ufficiali del Palazzo di Città, non si parla mai del sito Torre Gavetone e delle migliaia di bombe all’iprite che giacciono da 60 anni in una zona riconosciuta dalle autorità militari internazionali e riportata nelle stesse mappe militari.
A noi piacerebbe che il Sindaco si preoccupasse non solo della costruzione del nuovo porto ma della salute dei cittadini e delle informazioni che andrebbero date sullo stato di salute del nostro mare e dei pesci che mangiamo.
In questi giorni l’ARPA Puglia ha lanciato l’allarme “alga tossica” e sappiamo bene che esattamente un anno fa abbiamo avuto a Molfetta centinaia di ricoveri con disturbi probabilmente dovuti alla presenza di questa alga nelle nostre acque.

Se per un attimo mettessimo insieme tutte queste possibili fonti di attacco alla nostra salute e al nostro ambiente il Sindaco Senatore, come primo responsabile della salute dei suoi cittadini, dovrebbe attivare una richiesta di monitoraggio della situazione a dir poco “esplosiva”.

Chiediamo al Sindaco Azzollini, dopo questa inevitabile premessa e dopo aver letto l’interrogazione dell’On. Francesco Maria Amoruso del 7 luglio 2003 (vedi allegato), che informi al più presto la cittadinanza con report settimanali o quindicinali dello stato di salute delle acque delle zone balneabili del nostro territorio rispetto sia alla presenza delle bombe chimiche, sia alla presenza dell’alga tossica.
Inoltre chiediamo che siano rese pubbliche le indagini fatte dall’istituto ICRAM sullo stato delle bombe all’iprite che giacciono nel nostro mare e degli eventuali pericoli che rappresentano per la nostra salute e per l’ecosistema.

Cordiali saluti

Molfetta, 25.07.2008

Testimonianza a cura del Sig. Valter Morena
I residuati provengono dal fronte alpino settore nord- occidentale versante francese

I residuati provengono dal fronte alpino settore nord- occidentale versante francese
I residuati provengono dal fronte alpino settore nord- occidentale versante francese
Ordigno da 500 libbre ritrovato a 2800 metri, fuori da ogni sentiero battuto
I residuati provengono dal fronte alpino settore nord- occidentale versante francese
I residuati provengono dal fronte alpino settore nord- occidentale versante francese

Testimonianza a cura della Dott.ssa Stefania Saule e del Comm. Giacomo Accame

Targa commemorativa in memoria dei caduti BCM a cura del Comune di Forlì
Targa commemorativa a memoria delle vittime dell'esplosione della nave Anderson - 9 aprile 1945
a cura dell'Autorità Portuale di Bari

A cura del Cap. Luigi Ferrieri
Alcuni dei volantini che si trovavano insieme alle granate al fine di far giungere informazioni sulle linee del fronte.

Una granata "farcita" di volantini.

A cura di Mauro Quattrina

Il comune ricorda i suoi caduti
Ecco un nobile esempio del comune di Cursi (LE) che ha realizzato una bellissima sezione dedicata ai propri caduti di tutte le guerre.

Ricordi di Guerra

A cura di Angela Marzella
Ciò che mi sconvolge al giorno d’oggi è notare come si possano vedere immagini di guerra, morti, invalidi, bombe, distruzioni, soprusi  con una indifferenza indicibile, mentre si sorseggia magari un buon caffè sdraiati su una comoda poltrona. Sono passati molti anni, ma ancora adesso non riesco a vedere un filmato o un documentario, o una cattiva notizia al telegiornale senza che una stretta non mi attanagli il cuore e mi faccia lacrimare. Per fortuna episodi della mia infanzia, vissuta questa nel periodo bellico, sono diventati così ovattati da smorzare quel dolore intenso che mi provocavano. Posso cominciare da ciò che per molti può sembrare banale, ma che per un genitore e una figlia diventa tragedia.  Mio padre partì per la guerra, rimase in Albania, Grecia, poi prigioniero a Milano, oltre la linea Gotica, ritornò per fortuna mia e sua, ma io già seienne lo appellai dicendo “chi sei tu” “vattene, non ti conosco..” Questo fa la guerra: distrugge le famiglie di coloro che non l’hanno dichiarata.
Ripenso al giorno in cui scoppiò al porto di Bari la nave. Ho ricordi nitidi non degli avvenimenti bellici, s’intende, perché piccola, ma del luogo in cui mi trovavo e delle azioni che facevo. Ero con la nonna per strada, fortuna volle a chilometri di distanza, e notai il cielo nerissimo con nuvoloni enormi; per il boato mi ero aggrappata al sottanone della nonna e proseguii la strada insieme a lei di gran corsa nascosta sotto il suo lungo soprabito.
A sera notai casa diversa dal solito. Eravamo in quattro, io con mamma e i due nonni paterni a vivere in quella casa enorme in periferia, (ora inesistente perché in seguito anche eliminata dal Comune poiché doveva essere sostituita  insieme a tante altre da quell’ arteria col ponte che dall’hotel Ambasciatori porta a Japigia ), che per grazia del Cielo nonno aveva voluto fabbricare lontano dal centro abitato. Ma quel giorno contrariamente al solito cominciò ad affollarsi di gente. Erano parenti? Buh, non li conoscevo, ma tutti erano conosciuti dai nonni.  Andai a dormire, ma ricordo che quando al mattino cercai di raggiungere il bagno dovetti muovermi tra una massa enorme di materassi posti per terra e tra gente che dormiva in ogni dove. Non si notava più un mattone libero. Erano gli sfollati che avevano avuto le loro case distrutte o pericolanti nei pressi del porto.
Nei giorni successivi anche il rifugio era invaso da gente. Era curioso il nostro rifugio personale;  sembrava di stare sottoterra nella tana delle talpe. Nonno l’aveva fatto costruire nel centro del giardino della nostra casa. Chiunque entrava non  poteva notare fra gli alberi e le piante  una botola  mimetizzata  che appariva come piantagione. Attraverso quell’apertura si scendeva. Si notavano degli scalini scavati nella terra, dopo si accedeva ad una galleria in cui io sgambettavo beatamente e giocavo anche, mentre tutte le persone entrando erano costrette a curvare la spalla; lo so perché sentivo ogni volta il loro respiro sulla testa. La galleria non aveva il soffitto alto e neppure doveva essere larga perché ricordo che c’erano lateralmente dei lunghi sedili sempre ottenuti scavando nel terreno. Quando le persone si sedevano da una parte e l’altra le loro ginocchia quasi   si toccavano.
In una delle tante incursioni aeree io bambina dormivo nel lettino. La sirena avvisava di correre ai ripari. Qualcuno della famiglia consigliò di lasciarmi dormire tranquilla invece di portarmi nel rifugio. Mamma rispose, così mi raccontava : “ Dormiente o sveglia, deve stare con me”. Mi portarono addormentata nel rifugio.  Nel risalire videro il letto su cui  avrei dovuto essere pieno di tutti i vetri rotti della finestra accanto! Viva per miracolo e per intuizione di madre. Curiosamente, quel buio pesto del rifugio, illuminato solo a volte da qualche sporadica candela, mi piaceva.
Non mi faceva paura. Difatti il vicinato si meravigliava di questa bimba che  percorreva metri e metri di giardino nella solitudine e nel buio illuminato solo da lucciole e stelle tanto che mi appellavano bonariamente “ Fata Lucia “. E poi bisogna dire che diversi episodi  mi capitarono, costringendomi a capire, per fortuna momentaneamente, cosa sia la cecità. Ricordo che un’infezione agli occhi mi costrinse a svegliarmi ogni mattina con tanto pus alle palpebre che rimanevano chiuse e serrate tipo colla. Urlavo al mattino e mamma si precipitava a lavarmi tutte le croste che si erano formate durante la notte. Un’altra volta ancora, mentre ero nei pressi di un passaggio a livello penetrò in un occhio un carboncino prodotto dalla locomotiva. Non so se per mancanza di medici, o di mezzi, o perché io fossi terribile e mi dimenavo tanto quando mi mettevano le mani addosso da non dare la possibilità di farlo ad alcuno, certo è che dovetti aspettare il rientro settimanale di uno zio il sabato successivo perché qualcuno mi ridesse la possibilità di vedere. L’occhio ne fu compromesso per un bel po’. Ed anche quella volta, come in ogni situazione brutta, i ricordi divennero piacevoli, perché una bella azione compensava la brutta: era la nonna che mi portava al mattino, appena sveglia, un po’ d’acqua calda, per “sciacquare le canarile“ ; era il suo modo di dire su qualsiasi bevanda ti proponesse, in quanto sicuramente era il meglio che potesse offrire in quel momento.  Si alzava presto al mattino per accendere il fuoco. Il suo volto era spesso sporco di nero perché si passava la mano sporca maldestramente sul viso perché  gli occhi le bruciavano per il fumo del carbone o della legna, ma a me piaceva dopo pulirle le macchie col suo stesso fazzolettone.
Era un capolavoro quella donna come aiuto per tutte le madri del vicinato, pronta ad aiutarle quando partorivano, quando si doveva badare ai loro figliuoli, così come era un capolavoro anche per il vicinato quel rifugio personale . Il più vicino, pubblico ed insufficiente, era a km di distanza, in via Pasubio, 41 e noi non avremmo potuto mai arrivarci in tempo oppure ne saremmo rimasti fuori.  La scritta con la freccia ed una R è ancora oggi sul muro di una casa in via Alcide De Gasperi, al numero civico 262, poco prima del 272 dove è l’edicola di “Padr ‘eterne” che segnava il confine tra Bari e Carbonara.  Il nostro rifugio, ripeto, fu merito del grande mio nonno, ammirato da tutti. Piccolo di statura, molto più basso della nonna (difatti in una foto fu ritratto in piedi vicino alla moglie seduta che manteneva sulle gambe dei bambini), ma un grande uomo. Ripenso ogni tanto alle colazioni fatte con lui… Al mattino pomodori conservati in bottiglia soffritti col peperoncino e pane vecchio delle galline. Sì, perché il pane era razionato;  a volte vedevo per casa e non so da dove arrivasse del pane ammuffito che veniva lavato ben bene…e mangiato da noi invece che dalle galline. Per colpa della guerra la nostra bella famiglia benestante, con papà e cinque zii scapoli che apportavano il contributo dei loro stipendi, si era ridotta a quelle quattro anime che erano costrette ad allevare galline, ochette e conigli per poter sopravvivere. E grande fortuna… Almeno noi mangiavamo!
 Come ammiravo il nonno! Mi raccontavano che una volta avrebbe dovuto avere la perquisizione in casa da elementi fascisti…Egli aveva compromettenti documenti socialisti.. Lo avvisarono in tempo, raccolse tutto e scappò; rimase per una notte ed un giorno con altri amici su una barca al largo lontano dal porto, per poi rientrare in un’altra casa che per fortuna aveva. Cosa non semplice per i tempi di guerra era anche possedere  una radio. Il nonno la faceva apparire  miracolosamente in casa all’imbrunire. Dov’era durante il giorno? A sera era tutto un bisbiglio, un sussurro, un ingorgo di suoni striduli, mamma che ripeteva ecco …ecco..ora si sente appena…gira gira…RADIO LONDRA.  Era proibito sentire le notizie! Per anni abbiamo conservato anche a guerra finita quel pezzo da museo di radio per poi scoprire, quando l’abbiamo data ad un amatore di Marconi, che era una radio mai vista perché assemblata con i pezzi più vari ed eterogenei! In pratica i miei zii ritornati salvi dalla guerra, o arrivati durante la guerra, non so, avevano fregato i pezzi  necessari qua e là, chissà da dove, forse dagli alleati, e l’avevano costruita da soli.
In effetti nei pressi di casa nostra c’era un campo di alleati, dicevano di neo-zelandesi, ubicati alle spalle dell’attuale Svea e Saicaf, tra via Amendola e la ferrovia di Japigia.
Ricordo che passavano con i camion che erano gli unici mezzi motorizzati che vedevamo. Noi  si era abituati alle biciclette, a qualche moto, ma per di più ai carri, alle carrozze ed ai cavalli. Una volta fui portata da due militari di cui non capivo il linguaggio e da uno zio che si era inserito come elettricista nel loro accampamento, proprio nella cabina di un camion. Feci una lunga gita …..in pratica pochi chilometri perché si arrivò fino al “macello vecchio” da dove eravamo nei pressi di Mungivacca… ed ebbi anche un bel gelato. Ho ancora chiaro il fazzolettone che mi misero al collo per non farmi sbrodolare!
Ed è curioso  il ricordo che ho dell’arrivo degli alleati a Bari. Notammo lontano, sulla vecchia statale 100 (attuale via Amendola, prossimità dell ‘ospedaletto  pediatrico Giovanni XXIII) che collegava Taranto a Bari, nuvole all’orizzonte ed un’accozzaglia di oggetti indefiniti. Man mano che si avvicinavano si notava una processione di cose che non avevo mai visto:  carri armati, camion carichi di soldati , camionette con militari pieni di mostrine e di armi, cannoni… Io mi trovai lungo il bordo della strada perché con mia nonna ero andata a prendere una cesta d’uva dalla contadina, grappoli stupendi e gustosi. Rimanemmo lì incantate per la visione di questo lunghissimo e stranissimo corteo… A un bel momento infinite mani si sporsero da un camion e la cesta si svuotò dell’uva e si riempì di gallette, cioccolate, caramelle.
Ma non sempre le cose erano belle. Una volta scappammo di gran corsa perché la fabbrica “Zanoletti”, posta  nelle vicinanze della nostra villa e che produceva gomme, andò in fiamme ed il fuoco persistette per diverso tempo. Non so se fu dolo o bomba. Un’altra volta ricordo che ero con uno zio, zia  e mamma  verso il lido Marzulli vicino al mare, quando ad un tratto un aereo cominciò a falciare e noi corremmo verso una baracca; a mamma sanguinava una gamba, per fortuna una ferita superficiale.
Una chicca , invece, sull’evasione di papà dalla caserma a Milano. Era lì prigioniero con altri in attesa di deportazione, quando davanti alle sbarre gli si avvicinò una donna che offrì proprio a lui un pacco di sigarette. Nell’interno, arrotolato, un foglio che riportava la mappa della fognatura… In fretta ed in segreto riuscirono ad organizzare la fuga… Dal chiusino si portarono fuori dalla caserma e dalla città. Ogni tanto, arrivati sotto i chiusini stradali, respiravano. Chi si era avventurato dopo, con bagagli vari, rimase per sempre in quella fogna, o anche chi non riusciva a respirare bene, come anche finirono falciati dai colpi dei  fucili coloro che erano stati visti sparire lì in fondo dai tedeschi, all’inizio della loro tragica avventura. Papà raccontava che ad un bel momento, nei pressi di un chiusino, trovarono persone che li raccolsero, li lavarono, fecero loro indossare abiti da contadini, e li smistarono immediatamente nelle campagne. Il mio papà, che si chiamava Onofrio, fu ribattezzato col nome di Giacomino e mandato nelle campagne di  Caravaggio (provincia di Bergamo). Dopo tanti giorni di digiuno e per le forti esalazioni della fogna non riusciva neppure a mangiare. Un contadino, o forse un militare in incognito o un patriota o chissà chi, gli offrì qualcosa che per la prima volta mio padre vedeva e che continuò a mangiare anche dopo la liberazione: pane e gorgonzola. Diceva che con ciò gli “si apriva lo stomaco..”!
A proposito dei mezzi di locomozione, invece, mi piacerebbe sottolineare episodi del dopoguerra. Non si parlava alle bambine e poi future adolescenti di tanti argomenti  così detti “impuri “, non pronunciati dai genitori, condannati dalla Chiesa… ed  intanto sulla pelle delle fanciulle cadevano tante tegole di tristi esperienze. Le strade a quei tempi non erano asfaltate ed erano percorse da carrettieri che trasportavano materiale pesante, tipo pezzi di tufo, mattoni, tronchi di albero , a volte con tutte le chiome. Nel momento in cui i carri erano vuoti i carrettieri lanciavano i loro cavalli a corsa pazza nel bel mezzo della strada, incutendo paura a quelle poche persone che potevano trovarsi sul ciglio tutto sconnesso e col fosso raccogli acque che allora era presente lungo tutte le strade provinciali. Gli uomini, però, dopo la guerra avevano una fame di sesso terribile, per di più anche la parola pedofilo non era nel gergo quotidiano, né alcuno che lo sapesse lo spiegava. Certo è che due carrettieri su un carro piatto trainato da due cavalli cominciarono ad inseguire me povera novenne che pensava di recarsi a scuola, sola, affrontando tre km circa di strada isolata, deserta. Se correvo facevano aumentare la corsa ai cavalli, se mi fermavo facevano fermare i cavalli impennandoli  ed essi poi ridacchiavano bestialmente. Cosa fare? Quello che ho imparato dalla nonna : la difesa del coniglio, cercare spazi piccoli e correre. Difatti corsi in avanti con quanto più fiato avessi, essi mi inseguirono a velocità, improvvisamente mi lanciai nel fosso della carreggiata esattamente al loro contrario e ritornai veloce all’indietro verso la zona da cui provenivo. Se avessero fatto girare cavalli e carro a velocità si sarebbero “accappottati”. Ero salva! Un’altra volta, invece, un tizio era lungo il bordo della strada, accovacciato su un sasso ed appena mi vide a distanza giungere cominciò con manovre che non sapevo distinguere: quando fui nei pressi notai il suo membro di fuori e tanti movimenti di mano…
Per fortuna era tanto vecchio ed ubriaco che non ebbe la forza di prendermi  e d’ inseguirmi.  Ma ciò che mi ha fatto tener vivo l’episodio nella mente fu il fatto che il tale signore vendeva palloncini e giocattolini ai bambini durante le sagre, con una strana ed ampia vetrina di legno piazzata su una bicicletta. Mentre le mamme si informavano sui prezzi, egli accarezzava le bambine e le invogliava a scegliere abbassandosi  verso di loro e facendo aumentare quell’antipatica scoliosi  laterale che aveva. Ricordo che io, trentenne quasi,  lo rividi per la sagra di san Nicola ancora nel suo esercizio, però accompagnato  da una donna bruna che sembrava il suo carabiniere personale. Truce ella appariva, forte e per nulla comunicativa… ma per me era una dea! Almeno lo faceva star fermo.
E poiché nei tempi più moderni fui tra le prime donne a prendere la patente, spesso ho sentito dire:” Beata te che non trovavi macchine per la strada”. Ma ci pensate trovarsi sulla parte alta del sottovia Quintino Sella, pendenza 50° circa , dietro un carro piatto trainato da due cavalli che scalpitavano perché gli zoccoli sdrucciolavano sulle basole bagnate di pioggia? Ci voleva capacità e soprattutto coraggio.


A cura di Rosalia Ricciardi e Bettina Di Bartolo
Questa foto è stata scattata a Sant'Agata di Militello, una cittadina che si trova a 15 km da San Fratello.
Un soldato americano sta effettuando una trasfusione di sangue ad un compagno ferito.

A cura di Rosalia Ricciardi e Bettina Di Bartolo
La storia di questa foto:
Il signor Carabbotta, allora ragazzino, ospita nella sua casetta di campagna quattro soldati tedeschi.
L'8 agosto 1943, essendo ormai arrivati gli americani a San Fratello, i quattro decidono di fuggire.
Il signor Carabbotta, insieme ad un amico (il fratello di mia nonna, Di Franco Filadelfio), procurano dei vestiti per farli cambiare.
Sfortunatamente i quattro vengono catturati e fatti prigionieri non appena tentano di attraversare il paese a piedi.
La foto è stata scattata da un fotografo che era insieme ai soldati americani.

A cura di Rosalia Ricciardi e Bettina Di Bartolo
Ecco qui la foto di una casamatta costruita dai tedeschi nel 1943.
Oggi non esiste più.
Monumento Ai Caduti - Piazza Ricca Salerno a San Fratello (Messina)
a cura di Bettina Di Bartolo
Monumento Ai Caduti - Piazza Ricca Salerno a San Fratello (Messina)
a cura di Bettina Di Bartolo

A cura del Csi Grande Guerra

A cura di Valter Morena
Le foto sono state prese in quel periodo che è sovraimpresso,la fonderia faceva parte di un vecchio complesso industriale appartenente una volta alla Fiat,la zona è la barriera di Milano, Torino.

A cura del Comm. Giacomo Accame, ricercatore storico di Pietra Ligure (SV)








A cura del Dott. GIUSEPPE ROGGERO
e del Dott. LORENZO GIACCHERO
Foto tratte dal libro "DIES IRAE
Tempi di guerra"


Se volete inviare la Vostra testimonianza del periodo della guerra, di un bombardamento vissuto o di un ritrovamento bellico, inviate una mail a giovanni.lafirenze@hotmail.it

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