A cura di Sergio Cavacece
Cliccare per ingrandire
Testimonianza a cura dell'artificiere EOD Roberto Romano
Il Sov. C. Capo durante una fase del brillamento di un ordigno
Testimonianza a cura di Walter De Berardinis
Al Governatore della Regione Abruzzo
Giovanni Chiodi
Vs. sede istituzionale
Presidente del Consiglio della Regione Abruzzo
Nazario Pagano
Vs. sede istituzionale
Al Presidente del CRAM (Consiglio regionale degli abruzzesi nel mondo)
Mauro Febbo
Vs. sede istituzionale
Al Sindaco della Città di Giulianova
Francesco Mastromauro
Vs. sede istituzionale
e.p.c. agli organi d'informazione
Oggetto: segnalazione per lettera/encomio al corregionale, Arino De Berardinis
Preg.mi in indirizzo,
Ad un anno di distanza volevo ricordare e segnalare il giovane
corregionale abruzzese, Arino De Berardinis, per il senso di altruismo e
del dovere in occasione del terremoto dell'11 marzo 2011 in Giappone,
dimostrando con fierezza l'essere abruzzese/giuliese in terra straniera.
Lo scorso 11 marzo 2011, il Giappone è stato colpito dal terremoto
di Sendai al largo della costa della regione di T?hoku, nel Giappone
settentrionale, alle ore 14:45. Arino De Berardinis, da anni residente a
Fujisawa (prefettura di Kanagawa), dove vive con la moglie Hiromi
Mimura e i suoi due bambini, Sara e Luca, il pomeriggio dell'11 marzo
2011, dopo la tremenda scossa, con mezzi di fortuna rientrava nella sua
abitazione percorrendo circa 20 Km, a piedi. Molti i giornali nazionali e
locali che si sono occupati della sua vicenda umana e professionale. Il
giorno successivo, dopo l'appello dell'Imperatore che invitava tutti i
giapponesi a riprendere le normali attività lavorative per permettere il
funzionamento di tutto il paese, lui ritornava sul proprio posto di
lavoro. Nei giorni seguenti, dopo i fatti della centrale di Fukushima e
nonostante le Ambasciate straniere, per prima la Francia e
successivamente l'Italia, invitavano i nostri connazionali a rientrare
perchè il rischio di contaminazione radioattiva era reale, Arino De
Berardinis decideva di rimanere a Fujisawa insieme alla sua famiglia e
alla famiglia d'origine della moglie.
Queste le sue parole durante quei giorni: "..sono consapevole del
rischio che corro io e miei famigliari, ma questa è la mia seconda terra
e non posso abbandonare i miei "fratelli" giapponesi"."Sono rimasto
molto deluso dagli stranieri che vivono qui e hanno avuto tanto dal
Giappone, ma poi sono letteralmente scappati da questa terra". "Il
Giappone mi ha dato tanto: lavoro e famiglia, mi sentirei un vile
scappare e lasciare pezzi della mia famiglia qui, resto per dare il mio
piccolo contributo". "Sono consapevole anche del fatto che nella mia
prefettura (Kanagawa) cominciano a scarseggiare i beni di prima
necessità e veniamo ogni giorno privati di luce, gas, acqua e
collegamenti telefonici. Ma bisogna pur ricominciare ed io sono pronto a
fare la mia parte". "La fede in Dio c'è, quindi anche io faccio la mia
parte per ristabilire il primato della vita sulla morte. Non nascondo
che mi sono sentito perso in questi in giorni, ma ho la convinzione di
farcela per il bene della mia famiglia."
Per i fatti fin qui esposti, per il valore dimostrato e la
caparbietà di essere abruzzese/giuliese in terra straniera, mi sentivo
in dovere di esternare questi semplici parole segnalandovi il nostro
corregionale.
Giulianova lì, 10 marzo 2012
In fede
Walter De Berardinis
Segue suo curriculum professionale
Chi è Arino De Berardinis?
Nato a Giulianova il 12 febbraio 1974, vive e lavora a Tokyo, come
Cuoco/Chef. Diplomato presso la scuola alberghiera IPSSAR di San
Benedetto del Tronto (AP), nel 1994. Inizia come studente-lavoratore
negli anni 1988-1990, presso l'Hotel Panoramic di Tortoreto (TE). Sempre
nel 1990 inizia una piccola avventura in Germania, ma senza successo.
Tra il 1990 e 1993, inizia per la sua prima esperienza di
studente-lavoratore in Danimarca, nella città di Alboorg, in una serie
di ristoranti: il Fellini, il Sottovento e Il Mulino. Nel 1994-1995,
presso il prestigioso Hotel Hilton di Londra a Hyde Park e allo
Zafferano, zona di Knightbridge, sempre nella city londinese. Nel
1996-1997, prende servizio nella regione della Cornovaglia, nella città
di Truro, presso il Ristorante Pulcinella. Nel 1998-1999, torna in
Danimarca, Alboorg, nel Ristorante Fellini. Nel 2000 a New York, nel
Ristorante la Lupa. L'anno successivo, 2001, Australia, a Sidney al
Ristorante Il Divino. Nel 2002, di nuovo in Danimarca, a Blokhus,
Ristorante Sottovento. Nel 2003 in Sud Africa, al Ristorante Hildebrand,
nella zona di Waterfront (porto di Cape Town). Nel 2004, arriva in
Giappone, dopo aver conosciuto l'attuale moglie, Hiromi Mimura in Sud
Africa, prende servizio al Ristorante Salvatore. Dal 2006 al 2010,
lavora presso il Four Seasons Hotel Tokyo at Chinzan-so di Tokyo. Sempre
nel 2010 inizia una nuova avventura con una propria attività a Hayama,
con il ristorante Trattoria Arino e utilizzando il simbolo della
famiglia (l'orso). Inoltre, come insegnante, organizza e collabora con
le scuole di cultura italiana: Bell'Italia, Little Europe e la Niki's
kitchen, sempre in Giappone. Dopo il terribile terremoto dell'11 marzo
2011 in Giapppone ha cambiato attività entrando nel prestigioso "Tokyo
American Club". Si considera un vero globetrotters, un giuliese
giramondo, molti i paesi che ha girato per motivi di lavoro e per
piacere: Olanda, Danimarca, Svezia, Polonia, Irlanda, Svizzera,
Germania, Slovacchia, la Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, Turchia,
USA, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Zambia, Botswana, Nanibia,
Thailandia, Laos, Vietnam, Cambogia e Corea del sud. Due, sono le
esperienze che più lo hanno segnato: Ha vissuto per 3 mesi nel Sud-Est
asiatico, con il suo collega teramano, Massimiliano Damiani (oggi vive
in Thailandia e svolge l'attività di Direttore di Sala) e un mese nel
deserto del Kalahari. Dal 2004 vive e lavora in Giappone con la moglie
giapponese Hiromi Mimura e i due figli, Sara e Luca.
Mitt. Walter De Berardinis
Via Amendola, 29/A
64021 Giulianova (TE)
Telefax: 0858003963
Mobile: 3285811626
Testimonianza a cura del Primo Maresciallo Pasquale Dini (ex Caponucleo EOD 21Rgt Caserta)
Il 21° guastatori interviene a Cisterna
Un nucleo artificieri del 21° Reggimento genio guastatori di Caserta
è intervenuto nel comune di Cisterna di Latina, su richiesta
dell'autorità prefettizia, dove in un fondo agricolo, durante le
operazioni di aratura, erano stati rinvenuti 12 ordigni esplosivi
risalenti al secondo conflitto mondiale.
Gli specialisti del genio hanno provveduto alla inertizzazione degli
ordigni e al loro successivo brillamento presso un'area appositamente
individuata.
Disinnesco della bomba ritrovata a Cameri: FOTOGALLERY
Le immagini dell'intervento degli artificieri
Elena Ferrara (redazione@novara.com)
Gli Alpini artificieri del 32° reggimento genio hanno disinnescato
una bomba d'aereo del peso di 100 chilogrammi risalente alla seconda
guerra mondiale e recentemente ritrovata all'interno dell'aeroporto
militare di Cameri.
Vai alle foto.....
http://www.novara.com/novara.com/index.php?Section=News&Tools=WAPPS&Filters=SeqId,6100
Livorno, residuato bellico nel quartiere della Venezia: un film di Mastroianni racconta quel bombardamento
Nella scena viene inquadrata proprio la zona esatta dove è stata ritrovata la bomba
Testimonianza a cura di "Gianpiero Vaccaro
Livorno, Quartiere La Venezia, 6 settembre 2011..
(ANSA) - LIVORNO, 06 SET - E' fissato per domenica prossima il
disinnesco dell'ordigno bellico inesploso trovato il 23 agosto nel
centro di Livorno, nel quartiere della Venezia, durante alcuni lavori
lungo i Fossi Medicei. L'operazione avverra' dalle 10 alle 11.30 ed e'
prevista l'evacuazione di circa 6 mila persone su un'area di circa 0,6
chilometri quadrati nel cuore della citta'. Lo preveden un'ordinanza
firmata dal prefetto Domenico Mannino. L'evacuazione e' prevista tra le 7
e le 9 in un'area con un raggio di 500 metri dall'ordigno. Organizzato
un centro di accoglienza al Palasport di Porta a Terra.(ANSA).
Chi l'ha visto?
Pubblichiamo una richiesta arrivata alla nostra redazione:
"Vorrei sapere chi è l'uomo nella foto, so solo che
ha partecipato alla 2° guerra mondiale e che nel luglio-agosto 1944 si
trovava a Grosseto... Se avete notizie vi prego di inviarmele... grazie.
Sabrina"
Una testimonianza anonima
Perdoni l'anonimato del sottoscritto e dell'azienda che rappresento, la prego dunque di rispettarlo.
Le narro una breve storia come esempio per i colleghi che si
trovassero in una situazione simile. Durante un lavoro di
movimentazione terra in un cantiere edile dal materiale rimosso
affiorarono due bombe a mano della II GG. Immediatamente, riconosciuto
l'evidente pericolo, il responsabile del cantiere fece allontanare con
calma tutto il personale e nel mentre avvisò i CC. Questi giunsero in
brevissimo tempo e crearono un perimetro di sicurezza. Il nucleo
artificieri giunse in pochi minuti, valutò la situazione e organizzò
una bonifica. Le caratteristiche del cantiere permisero il brillamento
il loco. In brevissimo tempo fu effettuato il brillamento e un
controllo al fine di scongiurare la presenza di altri ordinigni. Quindi
ci venne consentita la ripresa dei lavori senza che questo evento
creasse ritardi. Noi ci aspettavamo e accettavamo l'idea di perdere
giorni di lavoro.
Esemplare professionalità dei militari che aumentò in tutti noi
la stima e la gratidutine nei confronti dell'Arma dei Carabinieri.
M.
Testimonianza a cura di Gianpiero Vaccaro
Testimonianza a cura di Gianpiero Vaccaro
Portoferraio, Isola d'Elba,
Palazzo della Biscotteria (odierno Municipio). Targa in memoria dei
Caduti nella bonifica dei campi minati.
Testimonianze fotografiche a cura dell'assistente tecnico BCM Nicola Vanuzzo
A cura di
Simone Colalucci amministratore de
Arte e Guerra - Art & War
Gruppo Face Book dedicato alla raccolta di immagini del patrimonio artistico in tempo di guerra in Italia e nel mondo.
http://www.facebook.com/group.php?gid=205512004218#!/group.php?gid=205512004218&v=info
Alt Aussee, Austria. Bombs disguised as sculpture intended for the destruction of the repository
(Alt Aussee, Austria. Bomba camuffata da scultura, atta a distruggere un deposito)
All'approssimarsi dello scoppio della seconda guerra mondiale, tutte
le nazioni coinvolte iniziarono a porre in atto una serie di misure di
protezione del patrimonio artistico, archivistico e librario. Tali
misure vennero intensificate nel corso del conflitto, quando la potenza
dell'arma aerea e dei bombardieri in particolare, rivelò tutta la sua
devastante efficacia.
In Germania le miniere di salgemma e di sale potassico vennero
individuate come ricoveri ideali per stivare in sicurezza opere d'arte,
libri e manoscritti antichi. Situate per lo più in località remote,
nelle profondità di montagne, presentavano un microclima ideale per la
conservazione di materiale così delicato.
La miniera austriaca di Altaussee, ubicata in una incantevole cornice
montana della Stiria, ospitò per alcuni anni inestimabili tesori della
cultura europea. Si trattava di materiale proveniente dai più importanti
musei del Reich, ma anche opere d'arte razziate dai territori occupati
per andare a costituire il progettato e mai costruito Museo di Linz
(città natale di Hitler) o per ingrossare la collezione personale di
Hermann Göring. Qui fu riposta la Madonna di Bruges di Michelangelo, il
polittico di Gent di Van Eyck, opere di Rembrandt, Dürer ecc.
Man mano che gli eserciti alleati si addentravano nel territorio
tedesco, questi preziosi depositi venivano scoperti. La famosa 101
Divisione Aviotrasportata, si imbatté a Berchtesgaden in un bunker
contente il grosso della collezione Göring; la 3° armata del Gen.
Patton, trovò Altaussee.
Il materiale contenuto nei depositi veniva inviato verso appositi
centri di raccolta (Collecting Point), dove gli uomini della
Subcommission for Monuments, Fine Arts and Archives (un corpo militare
costituito da storici d'arte, archeologi, archivisti, pittori,
architetti) si occupava di identificare i pezzi, individuarne la
provenienza e rispedirli ai loro luoghi di origine. Numerose le opere
provenienti dai musei italiani. Si stima che a tutt'oggi siano circa
seicento le nostre opere d'arte rimaste sul suolo tedesco, alcune delle
quali peraltro, bellamente esposte in qualche museo.
La foto mostra un gruppo di soldati americani insieme a personale
locale adibito al recupero delle opere, in posa davanti ad alcune bombe
fd'aereo nascoste in finte casse di musei (sul coperchio si legge
"Attenzione Marmo"). Nella miniera era stato infatti predisposto un
sistema di autodistruzione che, per evitare che i gioielli dell'arte
tedesca finissero in mani nemiche, avrebbe dovuto seppellire per sempre
nel ventre della montagna gli inestimabili tesori. Fortunatamente una
tale folle misura non venne mai presa, ma pare che i conservatori del
deposito nel frattempo avessero provveduto a rendere inattivo il
congegno.
La foto è tratta dal volume "Report of the American Commission for the
Protection and Salvage of Artistic and Historic Monuments in War
Areas", Washington 1946, e proviene dall'archivio fotografico dell'ACLS
(American Council of Learned Societies).
La vera storia di Pippo: messaggero di morte o semplice aereo da ricognizione? |
Postato da Monica |
Martedì 05 Ottobre 2010 21:50 |
Gli anziani se ne ricordano ancora: qualcuno continua ad
avere un brivido lungo la schiena, parlandone, mentre altri lo
rammentano un po' come un innocuo rompiscatole. Qualcuno, invece, col
senno di poi, si chiede se sia realmente esistito.
Tra il 1943 e il 1945, nessuno aveva la certezza di chi
fosse esattamente Pippo, se un tedesco o un alleato, se avesse delle
missioni da compiere o se sganciasse bombe senza una mira ben precisa.
Fose era un bimotore, forse un monomotore, non era dato saperlo.Poteva
trattarsi, più probabilmente, di un bimotore inglese o amercano, perciò
un Mosquito o un bombardiere A20 o B25. L'unica certezza era questa:
al calare della notte, un misterioso aeroplano compariva nei cieli
dell'Italia del nord, seminando il panico tra vecchi e giovani, ricchi e
poveri. Perchè Pippo poteva colpire ovunque e chiunque, senza
preavviso. Così, ad una certa ora della sera, era diventato
un'istituzione rinchiudersi in casa dicendosi "Arriva Pippo!".
Qualcuno dice che Pippo sia stato così soprannominato per
l'omonimo personaggio disneyano, che all'epoca fascista era stato
colpito dalla censura: pare, del resto, che il muso di questo aereo
ricordasse quello del migliore amico di Topolino. Altri, invece,
ricollegano il nome ad una canzone in voga in quel periodo: "Ma Pippo
Pippo non lo sa/che quando passa ride tutta la città"... Un po' per
esorcizzare la paura che ogni notte si presentava, inesorabile, assieme
al sordo ronzio del malefico aeroplano.
La storiografia ufficiale non ha dato troppo peso a
questa leggendaria figura, della quale abbiamo notizie precise (più o
meno) grazie a documenti personali come lettere, racconti, diari e
testimonianze viventi. Nei registri di missioni stilati dalle
squadriglie operanti in Italia e sull'Italia durante la seconda Guerra
Mondiale, infatti, non vi è alcuna traccia relativa a questi voli.
Pippo cambiava "carattere" da zona a zona. A Novara e in
Liguria, ad esempio, si trattava di un veivolo inoffensivo, magari
solamente fastidioso, ma in ogni caso non un serial killer. Insomma, un
piccolo aereo da ricognizione, un alleato, incapace di mietere
vittime. In Emilia, Lombardia, Veneto e Friuli, la situazione era
esattamente all'opposto. E non cambiava solo l'indole, ma anche nome: a
Tortona era chiamato Peppino, in Toscana "il Notturno". A Bologna,
quasi affettuosamente, era detto "Pippetto Ferroviere": in alcune zone
della provincia, come ad esempio Mulino della Valle, lo si ricorda come
l'aereo che lanciava volantini prima di ogni bombardamento, in modo da
dare la possibilità a tutti di potersi riparare ne rifugi.
Pare che Pippo attaccasse solamente dove vedesse delle
luci accese: per questo motivo la gente era solita girare furi e dentro
casa con una lanterna coperta, lasciando aperto solamente un piccolo
spioncino per illuminare la strada. Uno spioncino che chiudevano del
tutto non appena sentivano arrivare l'aereo infernale, scappando verso i
rifugi.
Racconta lo scrittore Nino Arena: "In realtà faceva
soltanto il suo dovere di aereo disturbatore, col compito di tenere in
allarme tutto il nord Italia, ma chi ha vissuto il ciclo storico della
RSI, non può dimenticarlo poiché non c'era notte in cui il nostro
misterioso disturbatore non facesse la sua apparizione lasciando
ovunque il suo biglietto da visita: 18 luglio '44-bombe su Varazze, 19
agosto-un autocarro mitragliato vicino Busalla, 12 settembre-sul ponte
dell'Orco scoppia una bomba nei pressi di Chivasso, 20
novembre-autoveicolo in fiamme fra Susegana e Conegliano, 16 gennaio
1945-bombe su Brescia vicino alla Wuhrer, Cinisello Balsamo e Mantova,
28 marzo-camion mitragliato nottetempo vicino Codigoro, 6
aprile-attacco notturno ad una corriera vicino Fidenza, tanto per
citare alcuni casi delle numerose malefatte attribuite a "Pippo", su
cui molti ricamavano misteriose vicende e imperscrutabili collegamenti
su taluni avvenimenti di cronaca locale."
Sempre nello stesso brano, Arena ricorda altre "malefatte"
riconducibili a Pippo: i bombardamenti alle officine Tosi di Brescia,
ad esempio, oppure un particolare mitragliamento notturno accaduto
sulla statale tra Sacile e Pordenone.
E' assodato che all'epoca venissero utilizzati diversi
aerei per creare disturbo notturno, ma non si trattava di killer che
bombardavano alla cieca, piuttosto si trattava di strumenti posti a
fare leva sul terrorismo psicologico.
Al Castello del Buon Consiglio di Trento, è esposta una
fotografia di Pippo: si tratta di un De Havilland 98 Mosquito. Proviene
da una collezione privata, ma non è stato riconosciuto come il vero
Pippo da tutti coloro che l'hanno vista.
Eppure c'è qualcosa che non quadra, in tutta questa
storia. Se ogni città, ogni paesino, ogni notte riceveva la visita
indesiderata di Pippo, come poteva essere possibile? Avrebbero dovuto
essercene centinaia, e avrebbero dovuto distruggere mezza Italia nel
giro di una sola notte. Ognuno era pronto a testimoniare in sfavore di
Pippo come distruttore della propria casa, del proprio fienile, peggio
ancora di una parte della propria famiglia. Da quel che si racconta,
insomma, pare che ogni notte sulla pianura padana intera vi fossero
decine e decine di aerei pronti a sterminare i civili, e non i
soldati...
Secondo testimonianze raccolte nel libro "L'areonautica
italiana: una storia del Novecento" a cura di Paolo Ferrari, pare che
Pippo "fosse un tipo un po' strano antitedesco e antifascista che voleva
fare del casino." Un testimone dell'epoca, Geo Borrini, ricorda che
"passava regolarmente, quasi sempre di sera, e a una certa ora, non
proprio quando era buio. Lo si sentiva ronzare e ronzare, ed era un
aereo che faceva si e no centoventi centocinquanta chilometri all'ora.
Quindi non poteva essere un caccia ma poteva essere un Piper, cioè un
aereo da piccolo turismo che poteva servire anche da ricognizione. Ha
lasciato giù qualche bombetta anche a Novara, nella zona Case sparse.
Voglio dire che lasciò giù delle bombe a mano, probabilmente delle
bombette tipo "Balilla", che più che altro facevano baccano. Allora si
diceva che c'era stato un ferito, però non è stato confermato. Comunque
Pippo è sempre stato un mistero."
Sempre tratta dallo stesso libro, una testimonianza
opposta, appartenente a Franco Pareschi, residente a Galliera, in
provincia di Bologna. "All'epoca dei fatti avevo 16 anni. In quell'anno
Pippo ha sorvolato spesso il nostro paese e, nelle serate di luna, lo
si vedeva a bassa quota, cercando di immaginare chi fosse il misterioso
aviatore solitario: i più pensavano fosse un aereo alleato,
probabilmente americano, anche se la contraerea e i caccia tedeschi che
erano in zona non ne hanno mai ostacolato il volo (da notare che nelle
vicinanze, a Poggio Renatico, c'era un aeroporto militare). Io penso
che non ci fosse un unico Pippo, m certo quello che ha sorvolato non fu
sempre un'immagine rassicurante ed amica, ma anche un vero e proprio
"dispensatore di morte" [..] Per alcuni un angelo protettivo, per altri
un vendicatore, per molti un incubo, per altrettanti un eroe: ognuno
aveva il suo Pippo e forse è giusto che il mistero continui ad
alimentare questa leggenda di un periodo della nostra storia pieno di
dolore e sofferenza ma anche di speranze e di sogni."
©Monica Taddia
Fonte: http://www.italiaparallela.it/index.php?option=com_content&view=article&id=369:la-vera-storia-di-pippo-messaggero-di-morte-o-semplice-aereo-da-ricognizione&catid=41:leggende-italiane&Itemid=60 |
Rimini: rimossa la bomba, evacuate cinquemila persone
Gennaio 2010 - Operazioni di scavo bloccate a causa di rinvenimento di ordigno da 500 lb. Le foto spiegano tutto.
Il residuato bellico del peso di 230 chili è stato
poi fatto brillare in una cava nei pressi di Novafeltria. Tanti gli
anziani che hanno aspettato alla chiesa Regina Pacis la fine delle
operazioni (foto Bove)
Commento: La bonifica sistematica no?... ...
Testimonianza a cura di Michele Becchi
Allego una foto che evidenzia i resti di una delle
famose "matite esplosive", che poi altro non sono che detonatori a tempo
cioè i "Time Pencils". Erano lanciate in grandi quantità ai partigiani
come materiale da demolizione,. Quello in foto è stato ritrovato poche
settimane fa su un cucuzzolo dell'appennino reggiano sede di un
caposaldo della zona libera partigiana. Questi manufatti risalenti la
seconda guerra mondiale, grazie anche agli incendi boschivi è difficile
trovarne di intatti, ma per la loro intrinseca fragilità, complessità e
potenza sono comunque oggetti pericolosi, in grado di provocare serie
lesioni!!! Il detonatore in foto è parzialmente esploso per una propria
reazione, in quanto la linguetta di sicurezza è ancora presente...
Testimonianza a cura del rastrellatore BCM Michele Mele
Residuato bellico (bomba razzo) di
fabbricazione tedesca rinvenuto a Granarolo Dell'Emilia, (BO) località
Santa Caterina nel novembre 2001
Nota tecnica di Roberto Morelli:
"Wurfrhamen, che veniva lanciata da delle rampe a cassa, o da SPW oppure
da affusti del pak 37 o 38 è un 280 mm./ 300 mm".
Testimonianza a cura di Andrea Thum
Interessante notare come l'avvertenza faccia
riferimento ad un periodo ben precedente a quello "classico" del fine
conflitto, al quale si riferiscono i più conosciuti manifesti ad uso
scolastico. Evidentemente dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, era
pessima abitudine, da parte di molti militari (e probabilmente non
solo), il disfarsi di oggetti pericolosi e letali, specie per i ragazzi,
incuriositi dalle forme o attratti dalla possibilità di giochi
pericolosi. Altrettanto interessante notare come a "modello" venga
utilizzata quella che sembra una classica "SIPE", probabilmente
l'ordigno più facilmente associabile ad una bomba. Sono molti gli
articoli, sui quotidiani di quel periodo, che riportano notizie di
incidenti nelle città del nord, con morti e feriti causati da
rinvenimenti accidentali e/o uso improprio di ordigni. In massima parte,
però, si tratta dei classici spezzoni incendiari alla termite, rimasti
inesplosi in mezzo a macerie o in aree verdi.
Testimonianza a cura di Maria Tiberio
Questo è il motore di un Lockheed P-38J
Lightning ("Fulmine" in inglese) era un caccia pesante bimotore
statunitense a largo raggiod'azione, impiegato durante la 2a guerra
mondiale dalla RAF e dagli Stati Uniti (AAC/AAF). E' stato rinvenuto
nelle acque di Francavilla al Mare (CH) e posto sul cippo, che vede, in
onore dei caduti dell'aria.
Ecco il P38
L'aereo precipitato a Francavilla al
Mare era pilotato dal pilota Cyril Nolen. Cyril era un ragazzo, come
tanti di quell’epoca, con una storia comune a tutti, inviato in una
guerra non sua; in una terra che forse non avrebbe mai visitato. Vede
un'Italia martoriata; la vede dall'alto fra missioni, bombe, incursioni.
E’ stato abbattuto, catturato dai tedeschi, tornato libero, continuando
la sua vita negli U.S.A. Richiamato per un secondo conflitto: quello
del Vietnam. Si spegne nel 1998 nella sua cittadina
.
COMUNE DI STARANZANO
BIBLIOTECA COMUNALE STARANZAN DE NA VOLTA
...LA VECIA SCOLA DEL PAESE
STORIA E RICORDI DEL VECCHIO EDIFICIO
a cura di Sergio Cucut
Un po’ di storia ...
Si evince dal volume lasciatoci dal compianto maestro
Silvio Domini, “Staranzano, storia, società e cultura nell’ambiente del
territorio monfalconese”, 2°ed. 1987, alle pagine 228 e 229 che ...
"Negli anni 1906-1907, quando il Comune viveva i giorni densi
dell’attesa indipendenza, a Monfalcone ricopriva la carico di dirigente –
di quella grossa e trainante scuola popolare – il ronchese Francesco
Berini, uno dei più impegnati educatori e leader della scuola italiana
della Contea. La costruzione di un completo edificio scolastico a
Staranzano venne posta come esigenza indispensabile.
Nel breve giro di un anno l’opera venne realizzata. Originariamente
consisteva di due grandi aule, una al pianterreno ed una al primo piano,
che ospitavano le due pluriclassi : prima seconda e terza affidata ad
una maestra; quarta e quinta ad un maestro con funzioni di dirigente.
Nel 1913 il consiglio scolastico propose di ingrandire la scuola (le due
pluriclassi raggiunsero punte di 50-60 scolari ciascuno), ma la
situazione rimase tale fino allo scoppio della guerra ..."
Da una foto scattata dopo i bombardamenti dell’estate
1915, riportato nel testo di Domini, figurano sia il Municipio che la
Scuola danneggiati dalle bombe: quest’ultima è la stessa del progetto
originario. Difatti nel primo dopoguerra, l’edificio venne rimaneggiato
ed ingrandito con la sistemazione di quattro spaziose aule, di cui due
al pianterreno e due al primo piano. I lavori vennero riportati a
termine nel 1923, come si può constatare anche dalla scritta situata sul
pavimento levigato del pianterreno. Successivamente, nel 1942, forse
per eliminare le pluriclassi, una delle due aule ubicate al pianterreno
venne divisa a metà, tramite una parete in muratura.
Constatata la funzionalità di questi due nuovi spazi,
nel 1946 circa, si intervenne con analogo progetto pure nell’aula
sovrastante. Nel 1961, vennero eseguiti ulteriori lavori di carattere
urgente: come il ripasso della copertura del tetto e l’ampliamento
dell’edificio nel retro ove trovavano dislocazione i nuovi servizi, sia
al pianterreno che al primo piano, nonché la guardiola per il bidello al
pianterreno e la saletta insegnanti al primo piano. Durante il suo
centenario di vita, questo simbolico edificio è stato il centro di
aggregazione per tante generazioni, ed attualmente continua ad esserlo,
ospitando al pianoterra, fin dal 1984, la biblioteca comunale e la sala
espositiva. Il piano superiore è occupato dalle sedi delle molteplici
associazioni culturali e ricreative. Sfogliando l’album dei ricordi ...
la storia di questo affascinante luogo è costellata sia di episodi
importanti e cari alla nostra memoria che di momenti tristi e amari ...
Seguendo la cronologia dei fatti, rammento che nel
1939 l’alunno Giuseppe Mori, allora tredicenne, addetto al suono della
campanella per la ricreazione (congegno che consisteva in un bossolo di
granata austriaca, munito di un batacchio e appeso sopra l’uscio del
piccolo sottoscala al pianterreno), fu colpito dal bossolo, dal peso di
un paio di chili, che si staccò dal gancio e cadde sul capo del nostro
compagno procurandogli una commozione cerebrale. Ricoverato urgentemente
all’Ospedale Civile di Monfalcone, dopo quindici giorni fece ritorno
alla scuola con una vistosa fasciatura, tale da suscitare una profonda
impressione tra la scolaresca ...a quei tempi gli ospedali
rappresentavano un lusso per i meno abbienti.
Nel tardo '43, all’età di diciott’anni, quel ragazzo
si arruolò nelle file delle formazioni partigiane della Brigata
Garibaldi e non fece più ritorno. Le sue ceneri sono conservate presso
il Monumento dei Caduti per la guerra di Liberazione, situato presso il
cimitero civile di Via De Amicis. Ricordo un episodio curioso e
divertente che risale ai primi mesi del 1940...un’insegnante supplente
(donna), sovente irascibile verso la scolaresca, venne spinta di forza,
da alcuni alunni ripetenti di 13 – 14 anni, all’interno del grande
armadio scuro che troneggiava in ogni classe, chiusa a chiave fu
lasciata lì ad urlare ...aprite !! aprite !!
Di lì a poco giunse la bidella che la fece uscire utilizzando l’altra
copia di chiavi! Di detto episodio, che pareva dovesse sfociare in un
grande clamore in quegli anni di ferrea disciplina, non si seppe più
nulla : finì nel dimenticatoio.
Un momento infausto si registrò nell’agosto 1936 ...in
seguito all’intervento bellico dell’Italia in Abissinia venne sistemato
un apparecchio "Radiomarelli", contenuto in un apposito mobiletto, sul
balcone di una finestra di un’aula al pianterreno per trasmettere il
discorso sull’evento da parte di Mussolini. Nei primi mesi del 1944
giunsero in paese i tedeschi delle SS che si sistemarono presso la
scuola per alcuni mesi, applicando il "coprifuoco" e incutendo costante
terrore tra la popolazione. Terminata la guerra, nel giugno 1945 presero
possesso dell’edificio le truppe inglesi, del "68" e "42" che vi
rimasero per quattro mesi. Arriviamo nell'aprile del 1948 e finalmente,
con l’elezione dei primi sindaci, la “leggendaria” struttura, che pareva
attendesse una prova di riscatto, acquisì, nel nuovo clima di serenità
che si respirava, un’attrazione nuova. Infatti nell’anno seguente
durante la tradizionale "Sagra de le raze", il primo Sindaco eletto
democraticamente, dottor Lucio Corbatto, uomo di profonda cultura, è
stato fautore della prima Mostra d’arte e fotografia per dilettanti
pittori, disegnatori e fotografi, con la partecipazione alle premiazioni
del Prefetto di Gorizia, accompagnato da presidente della Deputazione
provinciale di Storia e Patria avv. Culot.
Nel 1953, Stati Uniti e Gran Bretagna resero nota la
decisione di ritirare le proprie truppe dalla "zona A" di Trieste (8
ottobre); il governo italiano accolse favorevolmente il progetto, ma la
Jugoslavia minacciò di intervenire militarmente. Il Governo italiano, di
tutta risposta, provvide all’invio di truppe da dislocare nei pressi
del nostro confine; ed è così che alcuni soldati italiani trovarono
ospitalità anche nell’edificio scolastico. La crisi venne evitata
mediante trattative dirette fra Italia e jugoslavia, raggiungendo un
accordo sul Territorio di Trieste in base al quale la "zona A" venne
riconosciuta all’Italia e la "zona B" alla Jugoslavia. Continuando nella
disamina dei fatti accaduti, non si può dimenticare che dal 1948 a
tutto il 1963, questa struttura è stata sede naturale di seggi
elettorali. Col riordinamento scolastico del 1962, la scuola media è
diventata l’unica scuola di completamento dell’obbligo. Le due scuole
del paese, elementare e media unica, si trovarono in coabitazione nello
stesso edificio per oltre un anno, cioè fino al trasloco delle
elementari presso il nuovo complesso scolastico di Piazzale Unicef,
avvenuto nell’ottobre del 1964. La scuola media unica invece continuò a
funzionare presso il vetusto edificio sino alla fine dell’anno
scolastico 1983/84. Di lì a poco, lo storico edificio, dopo
l'ultimazione dei lavori di un adeguato e lodevole progetto, divenne
sede natura dell'attuale biblioteca comunale.
Testimonianza a cura di Maria Tiberio
Chiesa Madre di Tollo distrutta dai bombardamenti alleati (Foto Criber-Tollo)
A cura di Renato Camilli
prima del bombardamento a la Rotta frazione di Pontedera
dopo il bombardamento Bombardamento 1944 la Rotta frazione di Pontedera
Foto a cura dell'Assistente Tecnico BCM Antonio Galvivi
(Foto Faenza)
Foto a cura del rastrellatore BCM Ignazio Milioto
Testimonianze
Nasce il registro degli infoibati: in 7.200 le vittime del confine orientale
a cura del Dott. Maurizio Braggion della S.N.B. di Padova
Nuova iniziativa del presidente di "Silentes loquimur": quattro
volumi per ricostruire gli scomparsi fra il 1943 e il 1945 Gli italiani
scomparsi nelle foibe o nei campi di concentramento della ex Jugoslavia
negli anni dal 1943 al 1945 sono stati circa 7.200. Lo ha detto oggi -
alla vigilia della presentazione del "Registro delle vittime del confine
orientale" - Marco Pirina, presidente dell'associazione "Silentes
loquimur".
«Di questi - ha detto Pirina - un numero variabile tra 500 e 2.000
sono stati infoibati nei due momenti nei quali è stato praticato questo
modo di liberarsi degli oppositori; 5.200 sono invece i morti di stenti
nei campi di concentramento della ex Jugoslavia o nelle marce di
spostamento da un campo all'altro».
Pirina ha precisato che «per la pubblicazione del registro sono
stati confrontati dati degli archivi segreti di Lubiana, Zagabria,
Belgrado e d'Italia. Sono stati confrontati date e cifre, dichiarazioni e
numeri di matricola di tutti quelli che hanno attraversato qui momenti
tragici. Insomma è stato fatto un lavoro incredibile.
Siamo riusciti a censire e a ricostruire tutti i passaggi dei
prigionieri di molti dei quali abbiamo anche trovato delle dichiarazioni
autografe». Il registro delle vittime del confine orientale consta di
quattro volumi. Sarà presentato il 13 febbraio a Gorizia.
Commento: comunismo, nazismo, dispotismo
hanno rappresentato veri e propri errori della cultura, forme di
dominazione da parte di attivisti gnostici, sottoprodotto della crisi di
valori etico-politici del ventesimo secolo, vera e propria "debacle"
delle democrazie occidentali
Dott. Braggion
Testimonianza del rastrellatore sommozzatore Renato Silvestre
Il 10 gennaio 2010 nel cantiere del baby Mose di Chioggia sono state rinvenute adiacente alla sede della
capitaneria di porto di Chioggia,
a una profondità di circa 4 metri, 2 ordigni da 88 mm.
Testimonianza a cura di Paolo Salvator
La foto indica l'area del Timavo (Trieste) colma di residuati bellici...
Gli artificieri al lavoro nel Timavo per rimuovere 1.650 bombe
http://gorizia.bora.la/2009/10/28/gli-artificieri-al-lavoro-nel-timavo-per-rimuovere-1-650-bombe/
Si avvia cosi’ a conclusione una vicenda che risale ormai a piu’ di
mezzo secolo fa, quando i comandi militari alleati utilizzarono l’area
delle risorgive del fiume Timavo come sversatoio per centinaia e
centinaia di ordigni e macchinari bellici. Nella provincia di Trieste e
nell’area del Timavo non e’ raro imbattersi in residuati bellici, la
gran parte dei quali di piccole e medie dimensioni.
Alle foci del Fiume Timavo sono stati fatti in passato molti
ritrovamenti, ma soltanto nel 2000 si e’ avviato un progetto sistematico
di bonifica dell’area in vista di una riqualificazione turistica
dell’intera zona, peraltro protetta da vincoli paesaggistici per la
bellezza dei luoghi e la particolarita’ della vegetazione presente.
Proprio i vincoli paesaggistici e la difficolta’ di reperimento dei
fondi hanno provocato un lungo periodo di stasi nelle operazioni di
bonifica.
Dal settembre scorso, grazie ai fondi stanziati dalla Regione e
all’attivita’ di coordinamento messa in atto tra la Prefettura di
Trieste, il comune di Duino Aurisina e tutti gli enti interessati,
l’attivita’ e’ ripresa e ora sta volgendo a termine la prima fase delle
operazioni.
La prima tranche della bonifica si concludera’ in settimana. Una
seconda fase che chiudera’ la bonifica sistematica del sito sara’
attivata non appena ottenuto il nulla osta all’avanzamento dei lavori
dallo Stato maggiore della Marina.
Da ieri, gli artificieri della Marina Militare hanno iniziate a
raccogliere le prime delle 1.650 bombe risalenti alla seconda guerra
mondiale ancora presenti nel letto del Timavo. L’operazione è ripresa a
settembre, grazie al coordinamento della Questura di Trieste e della
Prefettura di Gorizia. Sarà invece il Nucleo guastatori dell’esercito a
far brillare gli ordigni, nei pressi di Monfalcone.
Il numero sorprendentemente alto di bombe è dovuto al fatto che gli
Alleati scelsero le risorgive del fiume come sversatoio per ordigni e
macchinari inutilizzati, perlopiù di piccole dimensioni.
Un progetto organico di bonifica dell’area è stato avviato solo nel
2000. Poi, a causa delle difficoltà nel reperimento dei fondi necessari,
le operazioni si sono interrotte fino all’intervento della Regione di
questo settembre. Questa settimana dovrebbe concludersi la prima fase
della bonifica, mentre la tranche conclusiva sarà avviata solo dopo
l’ottenimento del nulla osta all’avanzamento dei lavori da parte dello
Stato maggiore della Marina.
Ritrovamento di residuato bellico a Verona
Bomba d'aereo da 1.000lb a Verona vicinanze zona fiera
Luglio 2009
Testimonianza a cura dell'Assistente Tecnico Giuseppe Ardito
Approfondimento storico a cura del Dott. Andrea Thum, Ricercatore Storico
15a U.S.A.A.F. - Ordine di Operazioni n.614 - Dalmine, Verona, Avisio, 6 luglio 1944.
Il 6 luglio 1944 oltre 530 velivoli, appartenenti agli stormi da
bombardamento pesante della 15a U.S.A.A.F., partecipano ad un attacco
contro obiettivi multipli nel nord Italia:
- il 47th Bomb Wing si occuperà dei ponti ferroviari sul fiume Tagliamento in località Casarsa e Latisana;
- il 49th Bomb Wing attaccherà i depositi di carburante e combustibile di Aviano;
- il 55th Bomb Wing bombarderà i depositi di combustibile di Porto Marghera;
- il 304th Bomb Wing colpirà le raffinerie nord di Trieste;
- il 5th Bomb Wing avrà come obiettivo le acciaierie di Dalmine,
lo scalo ferroviario di Verona, e il viadotto sul fiume Avisio.
Per ogni obiettivo, i Bomb Wings (Stormo da bombardamento)
incaricati delle missioni assegnano due dei propri Gruppi da
bombardamento (Bomb Groups). Il 5th B.W. operava su B-17 (Fortezze
volanti), tutti gli altri, invece, con B-24 “Liberator”.
L’importanza strategica del complesso delle acciaierie di Dalmine
era ben nota agli Alleati. Inoltre, dopo l’8 settembre 1943, e sotto il
controllo tedesco, la produzione risultava implementata. In ogni caso,
dalle fonti originali dell’aviazione statunitense si evince che la
necessità primaria di colpire l’obiettivo identificato come “Bergamo
Steel Works” o “Mannesmann Tube Works”, era la capacità del comparto
industriale di produrre oltre 900 tons mensili di elementi per la
fabbricazione di proiettili a razzo, utilizzati dalla caccia tedesca
proprio contro le formazioni da bombardamento americane.
La missione contro la
Dalmine viene affidata a 28 B-17 del 99th B.G. (soprannominato il Gruppo del
“Diamante” per l’insegna a forma di rombo applicata sui timoni di coda degli
aerei), di base a Tortorella, e ad altrettanti del 463rd B.G., che dal marzo
1944 si è stabilito in località Celone, poche miglia a nord ovest della città
di Foggia. (il 463rd B.G. era conosciuto come “The Swoose Group”, soprannome affibbiato
al Gruppo dal suo Comandante, Colonnello Kurtz. Il termine "Swoose"
richiamava uno strano volatile, incrocio fra un cigno (swan) e un'oca (goose),
riprodotto come "nose art" e duplicato anche in
fusoliera sul B-17 pilotato abitualmente da Kurtz).
Ogni aereo imbarcherà 12 bombe di tipo G.P. da 500 libbre, armate
con spolette ad innesco ritardato a 1 decimo di secondo per quelle di
ogiva, e fra 0,01 e 0,025 sec. per quelle di coda.
Dopo essere decollati dalle loro rispettive basi pugliesi, tutti i
Bomb Groups partecipanti alle azioni previste per quella giornata si
dirigono verso nord, sul mare Adriatico, per riunirsi sulla verticale
dell’isola di Jabuka (“Key Point” per la missione), all’altezza di San
Benedetto del Tronto. Disposti su due file, delle quali quella di
sinistra è formata dai “box” dei sei Bomb Groups del 5th Bomb Wing, i
velivoli proseguono il sorvolo del mare sino all’altezza della penisola
istriana. Qui avviene la separazione degli Wings, che d’ora in avanti si
dirigeranno verso i rispettivi obiettivi.
I B-17 del 5th B.W. piegano verso nord ovest, entrano nella pianura
padana e, all’altezza dell’abitato di Stanghella (Rovigo), puntano in
direzione nord. Nei pressi di Montebello (Vicenza) due Bomb Groups (il
2nd e il 97th) abbandonano la formazione per dirigersi verso il proprio
bersaglio, rappresentato dallo scalo ferroviario di Verona. Il resto
dello schieramento prosegue, invece, sul percorso originale sino a
raggiungere Riva del Garda. Sopra questa località gli aerei del 99th e
del 463rd B.G. virano verso sud ovest, lasciando i restanti due Gruppi
(il 301st e il 483rd B.G.) continuare la corsa che li porterà a colpire
il viadotto sul fiume Avisio.
Per Dalmine inizia a profilarsi il disastro. I B-17 giungono a
sorvolare Sarnico, sul lago di Iseo, il previsto Initial Point
dell’attacco (l’Initial Point era un punto facilmente identificabile al
suolo, a poca distanza dall’obiettivo). Da quel momento inizia la
cosiddetta “corsa di bombardamento”: i velivoli, con i portelli della
stiva bombe aperti, devono mantenere una quota il più possibile
livellata ed evitare manovre evasive, per non inficiare i sistemi di
puntamento di bordo.
Con una rotta di 265°, il primo ad arrivare su Dalmine è il 463rd
B.G., che alle 11,02, da una quota di 23.500 piedi rilascia il suo
carico. Due minuti più tardi è la volta del 99th B.G., che giunge su di
un bersaglio già coperto da una nube di fumo e polvere provocato dalle
esplosioni di pochi istanti prima. La pioggia di ordigni dirompenti
coglie di sorpresa la maggior parte dei dipendenti dello stabilimento e
della popolazione. Infatti l’allarme aereo non viene trasmesso, o per lo
meno, comunicato dalla Centrale di Milano, alla quale lo stabilimento
era collegato telefonicamente, ad incursione ormai conclusa.
In data 26 luglio 1944, il quotidiano “L’Eco di Bergamo” riportava
un lungo e drammatico elenco di persone decedute a causa del
bombardamento. La cifra era di 269 morti, dei quali 248 erano dipendenti
delle acciaierie e delle piccole aziende operanti all’interno del
perimetro dello stabilimento, e 21 i civili. Infatti, malgrado le forze
da bombardamento statunitensi praticassero il bombardamento diurno alla
ricerca della massima precisione, molte delle oltre 600 bombe sganciate
in quella occasione colpiscono anche zone limitrofe il complesso
industriale. Il pesante bilancio sarà destinato a crescere, a causa
delle gravi condizioni in cui versavano molti degli oltre 800 feriti.
Dalmine detiene il triste primato del maggiore numero di maestranze
decedute, nel corso di una singola azione di bombardamento, sul
territorio Italiano.
Dott. Andrea Thum
Testimonianza a cura di C.C.M. di Luigi Natale
Lavoro di Bonifica Bellica sistematica in località Falconara (AN)
Rastrellatore BCM - Ciampitiello Nicola
Sulle Alpi Orientali
Testimonianza a cura di Lucia Benedetto
Carissimo Giovanni, sei riuscito a toccare le corde del mio cuore...
Le Alpi Orientali sone le "mie Alpi",mio nonno ha combattuto nella
grande guerra del 15/18, e tanti suoi compagni si trovano ora nel
Sacrario di Redipuglia....
Storia del Piave: Nasce nelle Alpi Orientali e più precisamente
nelle Alpi Carniche, alle pendici meridionali del Monte Peralba, nel
comune di Sappada, in provincia di Belluno, a quota 2.037 m s.l.m..
La parte meridionale del corso del Piave divenne una linea
strategica importante nel novembre 1917 in corrispondenza della ritirata
avvenuta in seguito a Caporetto. Dopo il passaggio sulla riva destra
del resto delle armate italiane e la distruzione dei ponti, il fiume
divenne la linea di difesa contro le truppe austriache e tedesche che,
nonostante svariati tentativi, non riuscirono mai ad attestarsi
stabilmente oltre la sponda destra del fiume, pur riuscendo a varcarla
in più punti, penetrando in profondità in territorio "destra Piave" in
particolare presso Meolo. La linea di difesa italiana resistette fino
all'ottobre 1918 quando, in seguito alla battaglia di Vittorio Veneto,
gli avversari furono sconfitti e si giunse all'armistizio.
La canzone probabilmente più famosa della prima guerra mondiale fu
La leggenda del Piave di Giovanni Gaeta, autore famoso di canzoni
napoletane, meglio noto con lo pseudonimo di E.A. Mario Tale inno fu
pubblicato nel 1918, ma probabilmente giunse ai combattenti prima a
mezzo di tradotta postale.
....2 agosto 1915 .- La toponomastica alpina si arricchisce di una
nuova forcella. Un conducente di fanteria, che con un mulo porta i
viveri alla forcella Righile (o Houbolt) tenuta da una squadra di fanti,
viene catturato da 4 austriaci che si sono celati tra le rocce. Essi
riescono a far passare il mulo attraverso la forcelletta rocciosa che si
apre ad ovest della Forcella Righile (e che da allora prenderà il nome
di "Passo del Mulo"), scendono nella valle e rientrano trionfanti nelle
loro linee con il singolare prigioniero. Si verrà poi a sapere dai
prigionieri che quel mulo alpinista è passato al nemico entrando a fare
regolare servizio di rifornimento al presidio austriaco del Peralba.
Io ho scalato il monte peralba, ho percorso il tracciato eseguito
dagli alpini, sono arrivata ai laghi d'olbe e poi ho fatto il Passo del
mulo, poi. scendeno verso la Val Visdende sono rientrata in albergo a
Sappada.Il mio percorso, è stato un percorso di memoria.
Testimonianza a cura del Sig. Michele D'Alonzo
Bombardamento di Bologna del 22.04.45
Avevo 15 anni, abitavo in via Vittorio Veneto 24. Non ero diverso dai ragazzi di allora che mi ricordano
i giovani della Palestina di oggi, cresciuti in mezzo alle bombe e che l'incoscienza o la spavalderia ti portava a
far cose che solo a ripensarci, dopo tanto tempo, ti vengono i brividi. Il 22 aprile 1945 si festeggiava la
liberazione di Bologna. La mattina precedente ero sui gradini di San Petronio ad guardare incantato le Jeep dei
polacchi appena arrivati. Il 22 doveva essere il primo giorno tranquillo dopo tanti mesi di affanni. E invece..
verso sera suona di nuovo l'allarme e naturalmente, come tutte le altre volte, mi precipito in strada per vedere..
E vedo aerei che fanno cadere qualcosa sulle case vicino a casa mia.
Non sono bombe, ma spezzoni incendiari, che si appiccicano ai tetti
delle case di via Pasubio e bruciano.
Non combinano niente, forse qualche tegola rotta o qualche trave
sottostante bruciacchiato. Quel che ricordo bene e su cui potrei giurare
è che il giorno stesso o la mattina seguente nel mio cortile ne trovo
uno infilato nella terra morbida. Era meraviglioso.. argenteo e con le
alette in mostra. In un attimo lo sfilo e lo porto a casa. Avevo il
cassetto della mia scrivania pieno di pezzi di tritolo giallo cadmio,
raccolto all'angolo davanti al N° 20 in
una buca in cui faceva bella mostra di sè una bomba da 250 libbre
aperta come i petali di una rosa. Ci misi dentro anche quello. Non
posso raccontare quello che accadde dopo, quando mio padre vide tutte
quelle cose. Questo ho voluto raccontare, che fra tutti i miei ricordi
di allora forse è una sciocchezza, ma che oltre a segnalare un
luogo in cui sicuramente caddero le "bombe del Reich", rivela un pò
l'animo di un ragazzo che in quel tempo frequentava
la II al Righi, e che fu testimone e partecipe di eventi che oggi
sarebbe impensabile ripetere, ma che lasciano in me la nostalgia per la
gioventù inesorabilmente andata.
Testimonianza a cura di Francesco Vecchio
Testimonianza a cura di Michele Becchi
Grande Capacità per il mortaio da 81 modello 35.
Ricordo del 90° anniversario della
fine della
Grande Guerra 1914 – 1918
Novanta anni fa si completava l’unificazione del suolo
patrio
e del popolo italiano
Ricorre, ai primi di novembre
di questo anno, il 90° anniversario della fine della Grande Guerra e della
completa unificazione del suolo patrio e del popolo italiano.
La guerra che iniziò nel 1914
fu l’evento più rilevante del XX secolo poiché coinvolse tutti i più grandi Stati:
fu la prima guerra “moderna”combattuta per terra, per mare e nell’aria con un
impiego di armi e di mezzi tecnici mai usati sino allora.
Mi sembra doveroso che tutti gli italiani attestino
un grande tributo di gratitudine e di riconoscenza ai combattenti della Prima
Guerra Mondiale, verso quei valorosi Soldati che, giustamente, possiamo
considerare l’aristocrazia del valore, i quali risposero con slancio e grande
generosità alla chiamata della Patria.
Alle generazioni di oggi, che hanno raccolto il
frutto del Loro sacrificio, ritengo non sia giusto lasciar cadere nell’oblio le
ardue vicende che hanno contrassegnato l’esistenza di chi ci ha preceduto, così
come non è da uomini civili e liberi dimenticare l’altissimo tributo di valore
e di sangue pagato da quegli eroici soldati per renderci come oggi siamo.
Se la fine della Prima Guerra Mondiale costituì il
coronamento dell’unità d’Italia, a distanza di novanta anni da quel grandioso e
agognato evento, appare doveroso oggi attribuire un significato a questa importante
celebrazione:
-
per l’educazione morale e
spirituale delle nuove generazioni, per meditare su quegli avvenimenti
tremendi, coglierne la portata e trarne gli insegnamenti;
-
per onorare la memoria e le
vicende umane di coloro che lottarono, soffersero e morirono nel compimento di
un dovere, con grande umiltà e generosità;
-
per attingere al patrimonio
di valori ideali e di virtù civiche che ci hanno lasciato in eredità i nostri
padri e per esaltare quei valori di pace e riconciliazione che ogni uomo, pur
nella diversità, deve custodire nel suo cuore.
Noi vogliamo ricordare quegli avvenimenti, quei
sacrifici, quelle sofferenze dei Soldati di un tempo ormai lontano con
sentimenti di gratitudine, di grande rispetto e ammirazione; sacrifici e
sofferenze che furono espressione di una gioventù generosa inviata a vivere e morire in condizioni talmente irreali
che gli uomini del nostro tempo si rifiutano addirittura di credere possibili.
Uomini di ogni credo politico, di ogni ceto e
condizione sociale, amanti della libertà e della loro terra, accorsero da tutti
i paesi, le città d’Italia e dall’estero, uniti in solidarietà e valore per
servire in armi la Patria. Accomunati nel crogiuolo della trincea e della
battaglia incominciarono a conoscersi e socializzare tra di loro sino a diventare fratelli.
Fanti, alpini, bersaglieri, granatieri, artiglieri,
cavalieri, genieri, trasmettitori, carabinieri, finanzieri, soldati dei servizi
logistici, dai ghiacciai dell’Adamello alle arse trincee del Carso, dal Monte
Nero all’Altopiano di Asiago, dal Pasubio al Monte Grappa, scrissero pagine di
eroismo e di grande umanità.
Non furono da meno i valorosi marinai e aviatori
che, con le loro eroiche imprese, contribuirono in maniera determinante alla
vittoria finale delle nostre armi.
Dopo la tragica Battaglia di Caporetto, che nel giro
di poche ore travolse il destino di migliaia di soldati e di oltre un milione
di civili, l’esercito e il paese ritrovarono insieme la forza e la volontà di
resistere e combattere sul Piave. Il Piave divenne il fulcro e il simbolo della
volontà di riscossa di tutto il popolo italiano.
Sul Piave, fiume sacro alla Patria, i petti dei “ragazzi
del ’99” crearono un invalicabile baluardo per la salvezza e la resurrezione
d’Italia.
Il loro impegno fu fondamentale: da loro iniziò la
riscossa dopo la disfatta di Caporetto per ridare slancio ed entusiasmo ai
soldati avviliti e radicati sulle infuocate trincee del Piave e del Monte
Grappa.
In quei momenti tragici e decisivi per le sorti della
nostra Patria, grande importanza ebbe il fronte interno e l’opera materiale e
morale delle donne. Madri, spose, ragazze sostituirono gli uomini inviati al
fronte nelle fabbriche e in molti settori produttivi, dando così un prezioso
contributo per il conseguimento della vittoria.
E, nell’ottobre del 1918, dal Monte Grappa iniziava
quella offensiva vittoriosa di Vittorio Veneto che si concludeva con la
definitiva sconfitta dell’Austria - Ungheria.
Rifugi, postazioni e monumenti costellano ancora
oggi queste terre, a testimoniare il coraggio, la tenacia e lo spirito di
sacrificio di chi fu chiamato a combattere una guerra sanguinosa e terrificante
che in quei luoghi è diventata leggenda.
Pochi, all’inizio della guerra, erano consapevoli
della tragedia che avrebbe colpito il nostro popolo - oltre
seicentocinquantamila caduti, un milione e mezzo di feriti, un’intera generazione
di giovani falciata; migliaia di lutti di tante madri, spose, figli, infiniti
sacrifici, sofferenze, distruzioni e devastazioni di ogni genere. Oggi possiamo
misurare pienamente ciò che quella guerra rappresentò per il nostro popolo e
per i popoli dell’Europa.
Milioni di uomini si ritrovarono a combattere fra il
fango delle trincee, sotto una tempesta di ferro e di fuoco che provocò paurose
carneficine specie tra le unità di fanteria.
Dopo 41 mesi di guerra durissima il nostro popolo
uscì da quella spaventosa tragedia certamente provato, ma vittorioso e, quel
che più conta, finalmente unito e libero. Una vittoria costruita da una massa
di umili contadini provenienti da tutte le regioni d’Italia, con il fucile in
mano al posto della vanga, che lottò con fatica e in silenzio senza mai nulla
chiedere anche quando, in nome dell’Italia, andavano a morire sulle alture del
Carso, sui ghiacciai dell’Adamello, sul Pasubio, sull’ Ortigara, sul Monte Grappa o sulle sponde del
Piave nel nome dell’Italia.
La vittoria conseguita al prezzo di grandissimi sacrifici
ci permise di completare l’unificazione del territorio nazionale con il
ricongiungimento per sempre all’Italia di Trento e Trieste, essa rappresentò il
culmine di oltre un secolo di lotte risorgimentali perseguite con tenacia da
una folta schiera di coraggiosi martiri e patrioti che credevano in un’Italia
unita, indipendente e libera dalla secolare egemonia di molte potenze
straniere.
L’Italia di oggi, ed in
particolare le nuove generazioni, devono sentirsi riconoscenti e legate a
quelle gesta gloriose e da quel grande patrimonio di valori trarre lo spirito vitale per alimentare
sentimenti di amore verso la Patria e con i quali si onorano i molti eroismi e
sacrifici di quella generazione di uomini e di cui l’aspro teatro del conflitto
fu silenzioso testimone.
Sono trascorsi ormai più di novanta anni dall’inizio di quella immane
tragedia, un evento che coinvolse milioni di uomini in ogni parte del pianeta,
e che cambiò in modo definitivo il volto dell’Europa.
Durante quegli anni ormai lontani, ma sempre vivi nella nostra memoria,
molti soldati si resero protagonisti di numerosi atti di eroismo per realizzare
l’indipendenza e l’unità d’Italia.
Se la nostra coscienza di
cittadini avrà saputo raccogliere il senso di quel enorme sacrificio, di quelle
nobili virtù, di quelle tensioni ideali, di quei dolori sofferti in nome
dell’Italia che Loro ci hanno lasciato, e ricorderemo con religioso rispetto
quelle vicende, allora quei Soldati continueranno a vivere nel nostro animo,
nell’animo dei figli dei nostri figli e nel cuore della nostra comune madre, la
Patria.
Potremo dire allora che il loro
sacrificio non è stato vano ma ha prodotto copiosi e fecondi semi di pace.
Ritengo, quindi, giusto e
doveroso ricordare con gratitudine e riconoscenza tutti quei valorosi Soldati,
che senza odio ma con alto senso del dovere e sorretti dalla fede, spesero la
loro giovane esistenza per l’Italia. Con lo stesso spirito ricordiamo e
rendiamo onore ai valorosi e cavallereschi nostri avversari di allora,
appartenenti ad uno dei più potenti eserciti del mondo, che con altissimo senso
del dovere e dell’onore, lottarono con grande coraggio, spirito di sacrificio e
lealtà per la loro Patria. Oggi siamo sempre più convinti che le guerre, tutte
le guerre, sono da condannare e da evitare perché sono fonte di odi, povertà,
devastazioni morali e materiali inaudite. La pace va costruita, difesa e
mantenuta quotidianamente al di là dei Trattati, soprattutto con il nostro
comportamento che deve essere improntato ad iniziative di solidarietà, sincera
collaborazione e al dialogo reciproco.
Oggi, gli uomini e le donne
delle nostre Forze Armate, nel solco tracciato dagli eroici Soldati di Vittorio
Veneto, rinnovano le tradizioni di amor di Patria, spirito di sacrificio e
abnegazione, operando con altissima professionalità e assoluta correttezza di
comportamenti, spesso rischiando la vita, nelle numerose e complesse missioni
nel mondo, a sostegno della sicurezza, della legalità, della ricostruzione e per
rafforzare la pace. In questo importante anniversario ricordiamoli con affetto
e riconoscenza perché, con lo stesso spirito dei ragazzi del Piave e del Monte
Grappa, ogni giorno con grande umiltà e generosità, onorano la nostra Patria e
la nostra Bandiera.
Il retaggio di quel prezioso patrimonio di valori
ideali e virtù civiche di quella generazione di valorosi combattenti,
costituisca non solo per noi ma per tutti i popoli dell’Europa, motivo di
riflessione ed esperienza e sia un valido aiuto per costruire un futuro
migliore, di pace, di libertà, di giustizia, di progresso, rispettoso della
dignità di ogni uomo e di ciascun popolo.
Che ogni
nostra azione sia degna della loro memoria e del loro eroismo.
Generale
degli Alpini Tullio Vidulich
Testimonianza a cura di Valter Morena
Tratto dal quotidiano "La Stampa"
Testimonianza a cura di Giacomo Bernardi
Testimonianza a cura di Valter Morena
18/10/2008 - Tratto dal quotidiano Cronaca Qui
Miracolo a Sant’Anna
Miracolo a Sant’Anna, film di Spike Lee, è unicamente una
pellicola, che narra la strage del 12 agosto del 1944, quando in
località Sant’Anna di Stazzema, (Lucca), le SS, appartenenti alla
sedicesima Divisione Panzergrenadier, stermina 560 civili, ( settanta,
sono bambini d’età inferiore ai dieci anni), del paese.
Il film, evidenzia come causa dell’eccidio, il tradimento di un partigiano.
Apriti cielo! Spike Lee è investito da turbini polemici, fuori luogo e completamente ingiustificati.
“La proiezione di un film è un semplice momento di riflessione”.
…L’eterogeneo pubblico, raccoglie e riflette in maniera differente i
numerosi messaggi del film. Ovviamente tutti i presenti raccolgono,
l’orrendo massacro consumato sul piazzale della piccola Chiesa del
paese. In tanti, colgono l’enorme difficoltà della truppa
afroamericana, (Buffalo Soldiers), piuttosto maltrattata dal proprio
Comando. Altri, sono attratti dal personaggio interpretato da Omar
Benson Miller: “ Gigante di cioccolato”, che a dispetto dei propri
superiori riesce a salvare il bambino che....
“…Ma ripeto si tratta di un film indirizzato verso un preciso ed
orrendo, passo di storia, tratto dall’omonimo romanzo, di James McBride
(musicista, giornalista e scrittore americano ), che il regista Spike
Lee, ha voluto rievocare, a favore e per la memoria dei più giovani”.
Ciò che viceversa disturba, è l’assurdo polemico polverone,
assecondato da chi è tenuto a sostenere e coltivare, la memoria di
questi tragici eccidi, invece di servirsene, in nome di una propria
arrotondata, verità.
…Le figure dei partigiani sono sminuite! No, non è vero, anzi.
Spike Lee nel film, racconta, impegni e doveri, delle truppe
partigiane, raccolte tra i monti dello Stazzemese e, l’ipotetico
“Giuda”, all’interno del film non è mai capace di sminuire gli sforzi
della Brigata Garibaldi, ( la 10 Bis).
LA MIA IDEA
Oggi, nel 2008, diventa insignificante arrovellarsi la coscienza
per i crimini di guerra del passato. Anche perché, la caduta del muro di
Berlino, (ottobre 1999 ), comodamente, evidenzia i molteplici
scheletri, fino a quei tempi, sapientemente occultati. Come spiego in un
altro articolo, in guerra “nessuno può vantarsi d’essere dalla parte
giusta”.
Nel mezzo della guerra civile in Italia, gli errori/orrori, spadroneggiavano da entrambi gli schieramenti.
Un esempio, è l’esecuzione del Maggiore, “Igino Ghibellini”, (dopo
l’otto settembre assume la carica di Federale a Ferrara), avvenuta la
notte del 14 settembre 1943. Qualche ora dopo, la vendetta: “Undici
antifascisti cadono per fucilazione”.
Il 25 marzo 1944, a Roma 335 ostaggi, sono ferocemente assassinati,
(Fosse Ardeatine) per conto della follia tedesca, che motiva la strage,
a causa dell’azione partigiana di Via Rasella.
Il 29 settembre 1944, Il dramma di Marzabotto: “ Luogo, dove circa
1800 rastrellati, tra partigiani e civili, restano imbrigliati nella
rete dell’odio”. Potrei continuare, ma inutilmente. Giustamente, si
persevera ad incriminare i bombardamenti aerei, inglesi, le stragi
naziste e, no, le infinite crudeltà eseguite all’interno dei campi di
concentramento, del nord/est europeo, (10.000.000 di vittime).
Ciò, che bisogna urgentemente comprendere, è il dramma vissuto, nel
periodo della seconda guerra mondiale, il cui peso è stato riversato in
molteplici e cattive pagine di storia. Ma, grazie a Spike Lee, e il suo
“Miracolo a Sant’Anna, sicuramente s’è rinnovata la speranza, di
coltivare per il futuro, un sincero desiderio di pace.
GIOVANNI LAFIRENZE
Testimonianza a cura di Valter Morena
15/10/2008 - Tratto dal quotidiano Cronaca Qui
OMAGGIO ALLA STILISTA - CHANEL - RICORDANDO I CADUTI DELLA PRIMA
GUERRA MONDIALE":
Pietra Ligure (Savona) 8 Ottobre 2008 -Prendendo
spunto dallo sceneggiato televisivo trasmesso da Rai uno,
dedicato alla biografia di " Coco Chanel", (andato in onda il 6 - 7
Ottobre u.s.), vorrei esprimere il mio plauso ad una così forte ed
emozionante
stilista – icona, che ancora oggi ci fa sognare. Una donna che seppe
assurgere
ad alte vette, grazie al dono meraviglioso che Ella ebbe dalla
natura, ovvero
il saper creare magistralmente, artistici abiti femminili,
rivoluzionando così il modo
di vestire delle donne, che voleva, belle, libere e moderne. La
prima guerra mondiale, coincide con i timidi e grandi esordi di Coco
Chanel. Infatti le tragiche circostanze belliche non fecero perdere
alla stilista il suo innato ottimismo, anzi , creò con un nuovo
tessuto
(il jersey) le divise delle "benemerite crocerossine", impegnate
nell'assistenza ai feriti in guerra. Ho voluto ricordare quanto
sopra,
anche perchè, quest'anno coincide con il" 90° Anniversario della
“Grande Guerra ", (1915 - 1918).
A Cura di Stefania Saule
Foto di bomba d'aereo da 1000 libbre
Testimonianza a cura del Dott. Mauro Quattrina
Testimonianza a cura di Renato Silvestri
Ridiamoci su che è meglio...
Sensibilità... dove sei?
Testimonianza a cura di Marco Felice
Granata da 75 mm anti-tank, fabbricazione americana
Testimonianza a cura di Marco Felice
Bomba d'aereo lanciata il 23 maggio
1944 su Giuliano di Roma (fr) e
rimasta inesplosa. Ora e' conservata all'interno di una chiesa, il
santuario della Madonna della Speranza a Giuliano di Roma.
Testimonianza a cura di Mauro Marchi, dal Passo del Tonale
Testimonianza a cura di Matteo d’Ingeo
Alla Direzione Generale
A.R.P.A. Puglia
Molfetta, 25.08.2008
Oggetto: presenza bombe all’iprite, richiesta monitoraggio acque.
Il movimento civico “LIBERATORIO Politico” di Molfetta è impegnato
da molto tempo (oltre che su altre tematiche) nella ricostruzione
storica della presenza delle bombe all’iprite, e/o a caricamento
chimico, nelle acque costiere della nostra città.
I dati raccolti, le relazioni e gli studi che abbiamo consultato,
facilmente reperibili in rete, destano non poche preoccupazioni.
Molti di noi frequentano abitualmente, e da tanti anni, le scogliere su cui sorge Torre Gavetone.
E’ ormai noto che questa torre, ricorrente in tutti i dossier,
articoli di stampa e siti specializzati, che parlano delle bombe
all’iprite, è un punto di riferimento per studiosi e ricercatori.
Proprio al largo di Torre Gavetone sono state individuate migliaia
di bombe all’iprite depositate durante la seconda guerra mondiale,
precisamente nel 1943.
In tutti questi anni sono noti i casi di ritrovamento di questi
ordigni e i casi di intossicazione, specialmente tra i pescatori
molfettesi, dovuti al contatto o inalazione del così detto “gas
mostarda”.
Abbiamo anche appreso, dagli studi dell’ I.C.R.A.M., che il
caricamento delle migliaia di ordigni individuati è costituito da
aggressivi chimici a base di iprite e composti di arsenico e in alcuni
casi l'aggressivo chimico è conservato in bidoni anch'essi adagiati sui
fondali e che, a causa della corrosione, cominciano a rilasciare
sostanze letali.
Si aggiungano a questi anche 11 bombe ormai corrose, dopo oltre 60 anni, che stanno rilasciando agenti tossici in acqua.
Senza voler creare inutili allarmismi e pregiudiziali ipotesi, i
dati riportati negli studi dell’ I.C.R.A.M. ci portano, per lo meno, a
chiederci se Codesto Ente è stato mai coinvolto dagli organi competenti
in un monitoraggio delle acque marine interessate alla presenza delle
predette bombe.
Lo studio dell'I.C.R.A.M. è chiaro. I campioni prelevati dai
ricercatori, acqua, sedimenti e pesci, "sono stati sottoposti a quattro
diverse metodologie d'analisi che indicano la sussistenza di danni e
rischi per gli ecosistemi marini determinati da inquinanti persistenti
rilasciati dai residuati corrosi".
In particolare, grazie ai confronti con esemplari della stessa specie
prelevati nel Tirreno meridionale, le analisi hanno rivelato nei pesci
dell'Adriatico "tracce significative di arsenico e derivati
dell'iprite". Particolarmente rilevanti "le alterazioni a carico di
milza e fegato". È stata anche riscontrata la presenza di parassiti in
branchie, cavità addominale e tessuto cutaneo". Questo significa "che i
pesci dell'Adriatico", rispetto a quelli del Tirreno, spiega Ezio
Amato, "
sono particolarmente soggetti all'insorgenza di tumori;
subiscono danni all'apparato riproduttivo; sono esposti a vere e
proprie mutazioni genetiche che portano a generare esemplari mostruosi".
In questi giorni l’attenzione dell’ARPA, delle istituzioni
pubbliche e sanitarie è rivolta alla sintomatologia che sta colpendo
molti molfettesi a causa dell’alga tossica (Ostreopsis ovata) e proprio
in località Torre Gavetone i casi sono stati tantissimi, forse un
centinaio, compreso il sottoscritto, ma non messi in rete e non
registrati presso alcun presidio medico, se non presso il proprio medico
curante o semplicemente dal passaparola.
Ma la nostra attenzione si è focalizzata invece su di una
particolare segnalazione di un cittadino che dopo aver letto una nostra
lettera aperta al Sindaco di Molfetta, e di altri documenti che
alleghiamo, ha ritenuto di comunicarci un curioso caso di
“infiammazione cutanea” che ha coinvolto la propria famiglia.
Riportiamo di seguito il testo della segnalazione omettendo
l’identità del denunciante nel rispettando della privacy, ma conosciuto
e identificato dallo scrivente:
“
Nel pomeriggio di domenica 27 luglio, dopo una giornata
passata a mare in località Torre Gavetone (Molfetta) mia moglie ha
iniziato a manifestare sintomi di un bruciore non consueto a livello
dell’apparato genitale, gradualmente sempre più intenso e
successivamente accompagnato da un dolore continuo localizzato però
internamente.
Il suo ginecologo, che fortunatamente ha potuto visitarla la
sera stessa del 27, ha rilevato uno stato di intensa infiammazione
vaginale sia esterna che interna, accompagnata internamente da una
lesione dell’epitelio della mucosa.
La lesione ha richiesto un intervento chirurgico con il laser
mentre lo stato infiammatorio, che nei giorni successivi si è
ulteriormente accresciuto, è stato affrontato attraverso terapie
diverse con l’uso successivo di differenti prodotti antinfiammatori
senza inizialmente riuscire ad incidere né sul dolore né sullo stato
infiammato dei tessuti.
Dei risultati evidenti si sono avuti solo durante gli ultimi
10 giorni con un riduzione visibile dello stato infiammatorio, che però
non ha tuttora comportato una riduzione significativa del dolore.
Il ginecologo ha subito scartato l’ipotesi di un agente
microbico come origine di tali problematiche, non avendo trovato
traccia di tali presenze ed ha comunque prescritto, contemporaneamente
agli interventi antinfiammatori, anche la somministrazione di
antibiotici in dosi elevate per evitare infezioni secondarie dei
tessuti lesi.
Lo stesso medico ha da subito ipotizzato l’origine delle
lesioni in un contatto con sostanza fortemente urticante la cui origine
non è in grado di stabilire. Si tratta comunque di qualcosa che può
essere entrato in contatto con il costume da bagno e di lì essere stata
assorbita dalla cute.
E’ importante rilevare che la madre di mia moglie, anche lei
con noi a mare il 27 luglio, ha manifestato, dopo 24 ore, la stessa
identica sintomatologia (infiammazione esterna e, parzialmente, interna,
lesione interna, dolori), in una forma però molto più lieve da cui è
completamente guarita in una settimana.
Mia moglie invece continua a manifestare sintomi visibili di
uno stato infiammatorio dei tessuti (in graduale e lento miglioramento)
e dolori tuttora persistenti e continui.”
Alla luce di quanto esposto il sottoscritto chiede alla Direzione
Generale e Scientifica di Codesta Agenzia se, nell’ambito delle
competenze assegnateLe, nell’esercizio della tutela e salvaguardia
ambientale, e soprattutto della tutela della salute dei cittadini,
intendano monitorare le acque marine comprese nello specchio d’acqua
antistante Torre Gavetone per verificare eventuali presenze di sostanze
tossiche riconducibili agli ordigni bellici a caricamento chimico
presenti.
Naturalmente l’area da sottoporre ad indagine, a nostro modesto
parere, non dovrebbe essere solo quella più vicina alla riva; in
accordo con gli enti che stanno già operando nella zona per lo
sminamento, bisognerebbe monitorare anche le aree marine in cui sono
state già individuate le bombe a caricamento chimico e/o i fusti
metallici che contengono altre sostanze chimiche tossiche.
Nessuno può e deve sottovalutare il rischio che incombe su tutti
noi. Se fosse vero che nei nostri fondali giacciono migliaia di bombe
all’iprite, che ogni bomba contiene in media 30 kg di sostanza chimica
tossica e che il tempo ha corroso il metallo che la contiene, dobbiamo
cominciare ad essere consapevoli di essere di fronte ad una vera e
propria “bomba ad orologeria”.
In attesa di positivi riscontri, lo scrivente rimane a Vostra disposizione per ulteriori chiarimenti e/o sostenitori.
Cordiali saluti.
Per il LIBERATORIO Politico
Matteo d’Ingeo
Testimonianza a cura di Mauro Marchi, dal Passo del Tonale
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Testimonianza a cura di PaguroSub, Associazione per la difesa dei fondali di Montalto
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Testimonianza a cura del Pr. Matteo D'Ingeo
Abbiamo appreso dall’ufficio stampa del Comune di Molfetta,
dell’inizio delle operazioni di rimozione degli ordigni bellici
presenti nel bacino portuale di Molfetta.
Lo stesso Sindaco ha esternato grande soddisfazione per
“questo straordinario intervento” di bonifica a favore del nostro mare.
Ha poi dichiarato che l’operazione in corso “è il frutto
di un lunghissimo lavoro che l’amministrazione comunale ha saputo
portare a termine nonostante grandi ostacoli burocratici”.
"Lo sminamento in atto in questi giorni – conclude Azzollini –
permetterà non solo di accelerare i lavori di costruzione del nuovo
porto commerciale, ma soprattutto rappresenterà un elemento di
sicurezza per l’incolumità dei lavoratori, quali armatori e marinai,
che finalmente potranno lavorare serenamente senza alcun rischio legato
agli esplosivi presenti in mare."
Peccato che il Sindaco oltre a voler, a tutti i costi,
mettersi una nuova medaglia al petto, sia più preoccupato dei ritardi
che potrebbe subire la costruzione del nuovo porto che del reale
pericolo che incombe da decenni sulla salute dei molfettesi.
Il “Piano di Risanamento delle aree portuali del basso Adriatico” viene da molto lontano e nella Delibera della Giunta Regionale del 5 dicembre 2007 n. 2120
non si parla solo di sminamento della zona antistante il porto, ma
anche di una vasta area di zona costiera all’altezza di Torre Gavetone.
Non si capisce se il Senatore ha la consegna del “segreto di
Stato” o siamo di fronte ad un semplice e grottesco “segreto di
Pulcinella”.
E’ da qualche anno che si ritorna a parlare di sminamento
delle nostre acque, ma nelle note ufficiali del Palazzo di Città, non
si parla mai del sito Torre Gavetone e delle migliaia di bombe all’iprite
che giacciono da 60 anni in una zona riconosciuta dalle autorità
militari internazionali e riportata nelle stesse mappe militari.
A noi piacerebbe che il Sindaco si preoccupasse non solo
della costruzione del nuovo porto ma della salute dei cittadini e delle
informazioni che andrebbero date sullo stato di salute del nostro mare
e dei pesci che mangiamo.
In questi giorni l’ARPA Puglia ha lanciato l’allarme “alga tossica”
e sappiamo bene che esattamente un anno fa abbiamo avuto a Molfetta
centinaia di ricoveri con disturbi probabilmente dovuti alla presenza
di questa alga nelle nostre acque.
Se per un attimo mettessimo insieme tutte queste possibili
fonti di attacco alla nostra salute e al nostro ambiente il Sindaco
Senatore, come primo responsabile della salute dei suoi cittadini,
dovrebbe attivare una richiesta di monitoraggio della situazione a dir
poco “esplosiva”.
Chiediamo al Sindaco Azzollini, dopo questa inevitabile premessa e dopo aver letto l’interrogazione dell’On. Francesco Maria Amoruso del 7 luglio 2003 (vedi allegato),
che informi al più presto la cittadinanza con report settimanali o
quindicinali dello stato di salute delle acque delle zone balneabili
del nostro territorio rispetto sia alla presenza delle bombe chimiche,
sia alla presenza dell’alga tossica.
Inoltre chiediamo che siano rese pubbliche le indagini fatte
dall’istituto ICRAM sullo stato delle bombe all’iprite che giacciono
nel nostro mare e degli eventuali pericoli che rappresentano per la
nostra salute e per l’ecosistema.
Cordiali saluti
Molfetta, 25.07.2008 |
Testimonianza a cura del Sig. Valter Morena
I residuati provengono dal fronte alpino settore nord- occidentale versante francese
I residuati provengono dal fronte alpino settore nord- occidentale versante francese
I residuati provengono dal fronte alpino settore nord- occidentale versante francese
Ordigno da 500 libbre ritrovato a 2800 metri, fuori da ogni sentiero battuto
I residuati provengono dal fronte alpino settore nord- occidentale versante francese
I residuati provengono dal fronte alpino settore nord- occidentale versante francese
Testimonianza a cura della Dott.ssa Stefania Saule e del Comm. Giacomo Accame
Targa commemorativa in memoria dei caduti BCM a cura del Comune di Forlì
Targa commemorativa a memoria delle vittime dell'esplosione della nave Anderson - 9 aprile 1945
a cura dell'Autorità Portuale di Bari
A cura del Cap. Luigi Ferrieri
Alcuni dei volantini che si trovavano insieme alle granate al fine di far giungere informazioni sulle linee del fronte.
Una granata "farcita" di volantini.
A cura di Mauro Quattrina
Il comune ricorda i suoi caduti
Ecco un nobile esempio del comune di Cursi (LE) che ha
realizzato una bellissima sezione dedicata ai propri caduti di tutte le
guerre.
Ricordi di Guerra
A cura di Angela Marzella
Ciò che mi sconvolge al giorno d’oggi è notare
come si possano vedere immagini di guerra, morti, invalidi, bombe,
distruzioni, soprusi con una indifferenza indicibile, mentre si
sorseggia magari un buon caffè sdraiati su una comoda poltrona. Sono
passati molti anni, ma ancora adesso non riesco a vedere un filmato o
un documentario, o una cattiva notizia al telegiornale senza che una
stretta non mi attanagli il cuore e mi faccia lacrimare. Per fortuna
episodi della mia infanzia, vissuta questa nel periodo bellico, sono
diventati così ovattati da smorzare quel dolore intenso che mi
provocavano. Posso cominciare da ciò che per molti può sembrare banale,
ma che per un genitore e una figlia diventa tragedia. Mio padre partì
per la guerra, rimase in Albania, Grecia, poi prigioniero a Milano,
oltre la linea Gotica, ritornò per fortuna mia e sua, ma io già seienne
lo appellai dicendo “chi sei tu” “vattene, non ti conosco..” Questo fa
la guerra: distrugge le famiglie di coloro che non l’hanno dichiarata.
Ripenso al giorno in cui scoppiò al porto di Bari
la nave. Ho ricordi nitidi non degli avvenimenti bellici, s’intende,
perché piccola, ma del luogo in cui mi trovavo e delle azioni che
facevo. Ero con la nonna per strada, fortuna volle a chilometri di
distanza, e notai il cielo nerissimo con nuvoloni enormi; per il boato
mi ero aggrappata al sottanone della nonna e proseguii la strada
insieme a lei di gran corsa nascosta sotto il suo lungo soprabito.
A sera notai casa diversa dal solito. Eravamo in quattro, io con
mamma e i due nonni paterni a vivere in quella casa enorme in periferia,
(ora inesistente perché in seguito anche eliminata dal Comune poiché
doveva essere sostituita insieme a tante altre da quell’ arteria col
ponte che dall’hotel Ambasciatori porta a Japigia ), che per grazia del
Cielo nonno aveva voluto fabbricare lontano dal centro abitato. Ma
quel giorno contrariamente al solito cominciò ad affollarsi di gente.
Erano parenti? Buh, non li conoscevo, ma tutti erano conosciuti dai
nonni. Andai a dormire, ma ricordo che quando al mattino cercai di
raggiungere il bagno dovetti muovermi tra una massa enorme di materassi
posti per terra e tra gente che dormiva in ogni dove. Non si notava
più un mattone libero. Erano gli sfollati che avevano avuto le loro case
distrutte o pericolanti nei pressi del porto.
Nei giorni successivi anche il rifugio era invaso da gente. Era
curioso il nostro rifugio personale; sembrava di stare sottoterra nella
tana delle talpe. Nonno l’aveva fatto costruire nel centro del
giardino della nostra casa. Chiunque entrava non poteva notare fra
gli alberi e le piante una botola mimetizzata che appariva come
piantagione. Attraverso quell’apertura si scendeva. Si notavano degli
scalini scavati nella terra, dopo si accedeva ad una galleria in cui io
sgambettavo beatamente e giocavo anche, mentre tutte le persone
entrando erano costrette a curvare la spalla; lo so perché sentivo ogni
volta il loro respiro sulla testa. La galleria non aveva il soffitto
alto e neppure doveva essere larga perché ricordo che c’erano
lateralmente dei lunghi sedili sempre ottenuti scavando nel terreno.
Quando le persone si sedevano da una parte e l’altra le loro ginocchia
quasi si toccavano.
In una delle tante incursioni aeree io bambina dormivo nel lettino.
La sirena avvisava di correre ai ripari. Qualcuno della famiglia
consigliò di lasciarmi dormire tranquilla invece di portarmi nel
rifugio. Mamma rispose, così mi raccontava : “ Dormiente o sveglia,
deve stare con me”. Mi portarono addormentata nel rifugio. Nel
risalire videro il letto su cui avrei dovuto essere pieno di tutti i
vetri rotti della finestra accanto! Viva per miracolo e per intuizione
di madre. Curiosamente, quel buio pesto del rifugio, illuminato solo a
volte da qualche sporadica candela, mi piaceva.
Non mi faceva paura. Difatti il vicinato si
meravigliava di questa bimba che percorreva metri e metri di giardino
nella solitudine e nel buio illuminato solo da lucciole e stelle tanto
che mi appellavano bonariamente “ Fata Lucia “. E poi bisogna dire che
diversi episodi mi capitarono, costringendomi a capire, per fortuna
momentaneamente, cosa sia la cecità. Ricordo che un’infezione agli
occhi mi costrinse a svegliarmi ogni mattina con tanto pus alle
palpebre che rimanevano chiuse e serrate tipo colla. Urlavo al mattino e
mamma si precipitava a lavarmi tutte le croste che si erano formate
durante la notte. Un’altra volta ancora, mentre ero nei pressi di un
passaggio a livello penetrò in un occhio un carboncino prodotto dalla
locomotiva. Non so se per mancanza di medici, o di mezzi, o perché io
fossi terribile e mi dimenavo tanto quando mi mettevano le mani addosso
da non dare la possibilità di farlo ad alcuno, certo è che dovetti
aspettare il rientro settimanale di uno zio il sabato successivo perché
qualcuno mi ridesse la possibilità di vedere. L’occhio ne fu
compromesso per un bel po’. Ed anche quella volta, come in ogni
situazione brutta, i ricordi divennero piacevoli, perché una bella
azione compensava la brutta: era la nonna che mi portava al mattino,
appena sveglia, un po’ d’acqua calda, per “sciacquare le canarile“ ;
era il suo modo di dire su qualsiasi bevanda ti proponesse, in quanto
sicuramente era il meglio che potesse offrire in quel momento. Si
alzava presto al mattino per accendere il fuoco. Il suo volto era spesso
sporco di nero perché si passava la mano sporca maldestramente sul
viso perché gli occhi le bruciavano per il fumo del carbone o della
legna, ma a me piaceva dopo pulirle le macchie col suo stesso
fazzolettone.
Era un capolavoro quella donna come aiuto per tutte le madri del
vicinato, pronta ad aiutarle quando partorivano, quando si doveva badare
ai loro figliuoli, così come era un capolavoro anche per il vicinato
quel rifugio personale . Il più vicino, pubblico ed insufficiente, era a
km di distanza, in via Pasubio, 41 e noi non avremmo potuto mai
arrivarci in tempo oppure ne saremmo rimasti fuori. La scritta con la
freccia ed una R è ancora oggi sul muro di una casa in via Alcide De
Gasperi, al numero civico 262, poco prima del 272 dove è l’edicola di
“Padr ‘eterne” che segnava il confine tra Bari e Carbonara. Il nostro
rifugio, ripeto, fu merito del grande mio nonno, ammirato da tutti.
Piccolo di statura, molto più basso della nonna (difatti in una foto fu
ritratto in piedi vicino alla moglie seduta che manteneva sulle gambe
dei bambini), ma un grande uomo. Ripenso ogni tanto alle colazioni
fatte con lui… Al mattino pomodori conservati in bottiglia soffritti
col peperoncino e pane vecchio delle galline. Sì, perché il pane era
razionato; a volte vedevo per casa e non so da dove arrivasse del
pane ammuffito che veniva lavato ben bene…e mangiato da noi invece che
dalle galline. Per colpa della guerra la nostra bella famiglia
benestante, con papà e cinque zii scapoli che apportavano il contributo
dei loro stipendi, si era ridotta a quelle quattro anime che erano
costrette ad allevare galline, ochette e conigli per poter
sopravvivere. E grande fortuna… Almeno noi mangiavamo!
Come ammiravo il nonno! Mi raccontavano che una volta avrebbe dovuto
avere la perquisizione in casa da elementi fascisti…Egli aveva
compromettenti documenti socialisti.. Lo avvisarono in tempo, raccolse
tutto e scappò; rimase per una notte ed un giorno con altri amici su
una barca al largo lontano dal porto, per poi rientrare in un’altra
casa che per fortuna aveva. Cosa non semplice per i tempi di guerra era
anche possedere una radio. Il nonno la faceva apparire
miracolosamente in casa all’imbrunire. Dov’era durante il giorno? A
sera era tutto un bisbiglio, un sussurro, un ingorgo di suoni striduli,
mamma che ripeteva ecco …ecco..ora si sente appena…gira gira…RADIO
LONDRA. Era proibito sentire le notizie! Per anni abbiamo conservato
anche a guerra finita quel pezzo da museo di radio per poi scoprire,
quando l’abbiamo data ad un amatore di Marconi, che era una radio mai
vista perché assemblata con i pezzi più vari ed eterogenei! In pratica i
miei zii ritornati salvi dalla guerra, o arrivati durante la guerra,
non so, avevano fregato i pezzi necessari qua e là, chissà da dove,
forse dagli alleati, e l’avevano costruita da soli.
In effetti nei pressi di casa nostra c’era un campo di alleati,
dicevano di neo-zelandesi, ubicati alle spalle dell’attuale Svea e
Saicaf, tra via Amendola e la ferrovia di Japigia.
Ricordo che passavano con i camion che erano gli unici mezzi
motorizzati che vedevamo. Noi si era abituati alle biciclette, a
qualche moto, ma per di più ai carri, alle carrozze ed ai cavalli. Una
volta fui portata da due militari di cui non capivo il linguaggio e da
uno zio che si era inserito come elettricista nel loro accampamento,
proprio nella cabina di un camion. Feci una lunga gita …..in pratica
pochi chilometri perché si arrivò fino al “macello vecchio” da dove
eravamo nei pressi di Mungivacca… ed ebbi anche un bel gelato. Ho ancora
chiaro il fazzolettone che mi misero al collo per non farmi
sbrodolare!
Ed è curioso il ricordo che ho dell’arrivo degli alleati a Bari.
Notammo lontano, sulla vecchia statale 100 (attuale via Amendola,
prossimità dell ‘ospedaletto pediatrico Giovanni XXIII) che collegava
Taranto a Bari, nuvole all’orizzonte ed un’accozzaglia di oggetti
indefiniti. Man mano che si avvicinavano si notava una processione di
cose che non avevo mai visto: carri armati, camion carichi di soldati
, camionette con militari pieni di mostrine e di armi, cannoni… Io mi
trovai lungo il bordo della strada perché con mia nonna ero andata a
prendere una cesta d’uva dalla contadina, grappoli stupendi e gustosi.
Rimanemmo lì incantate per la visione di questo lunghissimo e
stranissimo corteo… A un bel momento infinite mani si sporsero da un
camion e la cesta si svuotò dell’uva e si riempì di gallette,
cioccolate, caramelle.
Ma non sempre le cose erano belle. Una volta
scappammo di gran corsa perché la fabbrica “Zanoletti”, posta nelle
vicinanze della nostra villa e che produceva gomme, andò in fiamme ed
il fuoco persistette per diverso tempo. Non so se fu dolo o bomba.
Un’altra volta ricordo che ero con uno zio, zia e mamma verso il lido
Marzulli vicino al mare, quando ad un tratto un aereo cominciò a
falciare e noi corremmo verso una baracca; a mamma sanguinava una
gamba, per fortuna una ferita superficiale.
Una chicca , invece, sull’evasione di papà dalla caserma a Milano.
Era lì prigioniero con altri in attesa di deportazione, quando davanti
alle sbarre gli si avvicinò una donna che offrì proprio a lui un pacco
di sigarette. Nell’interno, arrotolato, un foglio che riportava la mappa
della fognatura… In fretta ed in segreto riuscirono ad organizzare la
fuga… Dal chiusino si portarono fuori dalla caserma e dalla città. Ogni
tanto, arrivati sotto i chiusini stradali, respiravano. Chi si era
avventurato dopo, con bagagli vari, rimase per sempre in quella fogna, o
anche chi non riusciva a respirare bene, come anche finirono falciati
dai colpi dei fucili coloro che erano stati visti sparire lì in fondo
dai tedeschi, all’inizio della loro tragica avventura. Papà raccontava
che ad un bel momento, nei pressi di un chiusino, trovarono persone che
li raccolsero, li lavarono, fecero loro indossare abiti da contadini, e
li smistarono immediatamente nelle campagne. Il mio papà, che si
chiamava Onofrio, fu ribattezzato col nome di Giacomino e mandato nelle
campagne di Caravaggio (provincia di Bergamo). Dopo tanti giorni di
digiuno e per le forti esalazioni della fogna non riusciva neppure a
mangiare. Un contadino, o forse un militare in incognito o un patriota o
chissà chi, gli offrì qualcosa che per la prima volta mio padre vedeva
e che continuò a mangiare anche dopo la liberazione: pane e
gorgonzola. Diceva che con ciò gli “si apriva lo stomaco..”!
A proposito dei mezzi di locomozione, invece, mi piacerebbe
sottolineare episodi del dopoguerra. Non si parlava alle bambine e poi
future adolescenti di tanti argomenti così detti “impuri “, non
pronunciati dai genitori, condannati dalla Chiesa… ed intanto sulla
pelle delle fanciulle cadevano tante tegole di tristi esperienze. Le
strade a quei tempi non erano asfaltate ed erano percorse da carrettieri
che trasportavano materiale pesante, tipo pezzi di tufo, mattoni,
tronchi di albero , a volte con tutte le chiome. Nel momento in cui i
carri erano vuoti i carrettieri lanciavano i loro cavalli a corsa pazza
nel bel mezzo della strada, incutendo paura a quelle poche persone che
potevano trovarsi sul ciglio tutto sconnesso e col fosso raccogli
acque che allora era presente lungo tutte le strade provinciali. Gli
uomini, però, dopo la guerra avevano una fame di sesso terribile, per
di più anche la parola pedofilo non era nel gergo quotidiano, né alcuno
che lo sapesse lo spiegava. Certo è che due carrettieri su un carro
piatto trainato da due cavalli cominciarono ad inseguire me povera
novenne che pensava di recarsi a scuola, sola, affrontando tre km circa
di strada isolata, deserta. Se correvo facevano aumentare la corsa ai
cavalli, se mi fermavo facevano fermare i cavalli impennandoli ed
essi poi ridacchiavano bestialmente. Cosa fare? Quello che ho imparato
dalla nonna : la difesa del coniglio, cercare spazi piccoli e correre.
Difatti corsi in avanti con quanto più fiato avessi, essi mi inseguirono
a velocità, improvvisamente mi lanciai nel fosso della carreggiata
esattamente al loro contrario e ritornai veloce all’indietro verso la
zona da cui provenivo. Se avessero fatto girare cavalli e carro a
velocità si sarebbero “accappottati”. Ero salva! Un’altra volta,
invece, un tizio era lungo il bordo della strada, accovacciato su un
sasso ed appena mi vide a distanza giungere cominciò con manovre che
non sapevo distinguere: quando fui nei pressi notai il suo membro di
fuori e tanti movimenti di mano…
Per fortuna era tanto vecchio ed ubriaco che non ebbe la forza di
prendermi e d’ inseguirmi. Ma ciò che mi ha fatto tener vivo
l’episodio nella mente fu il fatto che il tale signore vendeva
palloncini e giocattolini ai bambini durante le sagre, con una strana
ed ampia vetrina di legno piazzata su una bicicletta. Mentre le mamme
si informavano sui prezzi, egli accarezzava le bambine e le invogliava a
scegliere abbassandosi verso di loro e facendo aumentare
quell’antipatica scoliosi laterale che aveva. Ricordo che io,
trentenne quasi, lo rividi per la sagra di san Nicola ancora nel suo
esercizio, però accompagnato da una donna bruna che sembrava il suo
carabiniere personale. Truce ella appariva, forte e per nulla
comunicativa… ma per me era una dea! Almeno lo faceva star fermo.
E poiché nei tempi più moderni fui tra le prime donne a prendere la
patente, spesso ho sentito dire:” Beata te che non trovavi macchine
per la strada”. Ma ci pensate trovarsi sulla parte alta del sottovia
Quintino Sella, pendenza 50° circa , dietro un carro piatto trainato da
due cavalli che scalpitavano perché gli zoccoli sdrucciolavano sulle
basole bagnate di pioggia? Ci voleva capacità e soprattutto coraggio.
A cura di Rosalia Ricciardi e Bettina Di Bartolo
Questa foto è stata scattata a Sant'Agata di Militello, una cittadina che si trova a 15 km da San Fratello.
Un soldato americano sta effettuando una trasfusione di sangue ad un compagno ferito.
A cura di Rosalia Ricciardi e Bettina Di Bartolo
La storia di questa foto:
Il signor Carabbotta, allora ragazzino, ospita nella sua casetta di campagna quattro soldati tedeschi.
L'8 agosto 1943, essendo ormai arrivati gli americani a San Fratello, i quattro decidono di fuggire.
Il signor Carabbotta, insieme ad un amico (il fratello di mia nonna, Di
Franco Filadelfio), procurano dei vestiti per farli cambiare.
Sfortunatamente i quattro vengono catturati e fatti prigionieri non appena tentano di attraversare il paese a piedi.
La foto è stata scattata da un fotografo che era insieme ai soldati americani.
A cura di Rosalia Ricciardi e Bettina Di Bartolo
Ecco qui la foto di una casamatta costruita dai tedeschi nel 1943.
Oggi non esiste più.
Monumento Ai Caduti - Piazza Ricca Salerno a San Fratello (Messina)
a cura di Bettina Di Bartolo
Monumento Ai Caduti - Piazza Ricca Salerno a San Fratello (Messina)
a cura di Bettina Di Bartolo
A cura del Csi Grande Guerra
A cura di Valter Morena
Le foto sono state prese in quel periodo
che è sovraimpresso,la fonderia faceva parte di un vecchio complesso
industriale appartenente una volta alla Fiat,la zona è la barriera di
Milano, Torino.
A cura del Comm. Giacomo Accame, ricercatore storico di Pietra Ligure (SV)
A cura del Dott. GIUSEPPE ROGGERO
e del Dott. LORENZO GIACCHERO
Foto tratte dal libro "DIES IRAE
Tempi di guerra"
Se volete inviare la Vostra testimonianza del
periodo della guerra, di un bombardamento vissuto o di un ritrovamento
bellico, inviate una mail a
giovanni.lafirenze@hotmail.it