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lunedì 18 agosto 2014

Gli eroi che salvarono la città dalle bombe


di Maria Paola Pasini
Angeli in divisa da... sminatore. Salvarono la città da nuovi lutti e nuove sofferenze. Non esitarono a rischiare la loro vita per salvare quella di altri. Eroi d’altri tempi. Rimasti sconosciuti. Furono gli artificieri della Sezione artiglieria di Piacenza impegnati nei mesi successivi alla fine della guerra a «bonificare» Brescia dai numerosi ordigni disseminati in città. Le bombe erano ovunque. Nascoste tra le zolle dei campi, conficcate nei tombini della città, in agguato sotto le macerie. Ordigni e spezzoni incendiari inesplosi pronti a farsi afferrare dalle dita di un bambino a caccia di un innocuo passatempo, urtare dalla ruota di una bicicletta, calpestare da un ignaro passante. Le segnalazioni giungevano numerose al Comune che chiese l’intervento degli specialisti: prima al Comitato provinciale di Protezione antiaerea e poi, dopo lo scioglimento dell’Ente di costituzione fascista, al Comando territoriale di artiglieria di Piacenza. Mentre gli incidenti si susseguivano. Primi giorni di giugno 1945, estate in arrivo. Giochi e allegria nei campi e per le strade dove finalmente non risuonano più gli allarmi con il loro sibilo acuto e sinistro. Ma per cinque ragazzi tra i 9 e i 14 anni la festa finisce all’ospedale. che allora si affacciava in via Moretto. Qui gli incauti vengono ricoverati per le gravi ferite agli arti e al corpo provocate da schegge di bombe. Il primo incidente - lo riporta il «Giornale di Brescia» - avviene nei pressi dell’Istituto agrario «Pastori». Qui Giuseppe A. e Vittorio V., entrambi di 12 anni, «rinvenivano in un prato una bomba a mano e mentre se la passavano un con l’altro ne provocavano lo scoppio. Essi venivano colpiti dalle schegge e riportavano lesioni multiple». La seconda esplosione di domenica 10 giugno fa tremare i vetri delle finestre in contrada Santa Chiara. Qui Gianfranco D., Alberto O., entrambi di 9 anni, e Gianfranco P. di 14, accedevano «un falò in mezzo alla strada e vi collocavano un ordigno esplosivo rinvenuto poco prima.Naturalmente ne seguiva lo scoppio e di conseguenza il ferimento dei tre malcapitati ragazzi». Prognosi per i cinque: dai trenta ai sessanta giorni. Due episodi tra i tanti segnalati in queste settimane, che finiranno per alimentare una campagna di informazione e prevenzione nelle scuole attraverso manifesti che in molti casi rimarranno affissi nelle aule bresciane fino agli anni Sessanta. Le bombe, dunque, feriscono e uccidono anche dopo la fine della guerra. La loro pericolosa presenza viene indicata in via Rose e in via Dalmazia, via Mantova, in via Cremona e vicolo Sguizzette, via Zima e via Spalto San Marco, via Flero, Porta Venezia, via Morosini, via Solferino, via Chiesa nuova, un po’ ovunque. All’interno della fabbrica Breda, e alla Whurer, in via Pilastroni e lungo i binari della ferrovia. In via Musei «un ordigno, dopo un ampio spazio nella pavimentazione stradale, è penetrato nel tombino stradale e ostruisce lo scarico delle acque luride delle case vicine». Il Comando alleato provvederà al «rastrellamento» di tutti gli ordigni, viene assicurato dalle autorità anglo-americane, ma bisogna operare rapidamente perché il rischio di esplosioni con gravi conseguenze è altissimo. Rendere inoffensive queste bombe è la priorità assoluta. Entra in gioco allora il gruppo di specialisti della Sezione artiglieria agli ordini del tenente Felice Scala. A metà ottobre l’opera di «disinfestazione» è considerata completata. La città è libera dagli ordigni (o almeno da quelli identificati fino a quel momento, tanti altri ne affioreranno negli anni successivi): 130 gli interventi indicati nel rapporto finale dei militari che hanno recuperato 77 bombe e 176 spezzoni. Una massa imponente di ordigni che rischiavano di mietere vittime e provocare danni prolungando lutti e ferite ben oltre la fine della guerra. La gratitudine della città verso la squadra dei sei artificieri che misero a repentaglio la propria vita per proteggerne molte altre, si concretizzò in una delibera che assegnava un premio in denaro. E parole di elogio a nome di tutti i bresciani. Per l’«opera coraggiosa felicemente compiuta» veniva offerto al comandante, il tenente Felice Scala, un premio di 5.000 lire. Al sergente maggiore Celeste Piantoni, bresciano di Cologne, un riconoscimento di 3.000 lire. Altri premi (1.500 lire) venivano consegnati al sergente Sante Boledo (S. Nicolò di Trebbia in provincia di Piacenza), al caporale Martino Casale, agli artiglieri Giuseppe Pazzaglini e Battista Zana della sezione staccata d’artiglieria di Brescia. Un segno tangibile della riconoscenza di Brescia per quanto realizzato da questi piccoli grandi eroi rimasti per troppo tempo senza nome. mariapaola.pasini@unicatt.it
Fonte: http://brescia.corriere.it/notizie/cronaca/14_agosto_18/brescia-1945-gli-eroi-che-salvarono-citta-bombe-cb786962-26cf-11e4-bbeb-633ac699516c.shtml

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