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venerdì 19 settembre 2014

Bibak: la startup che vuole sminare il mondo


di Dario d'Elia 
Sono bastate 10 settimane alla Singularity University, l'istituzione accademica ospitata dal centro ricerche NASA di Moffett Field (Mountain View), per dar vita al progetto di un sistema di identificazione delle mine antiuomo. Selene Biffi, la giovane monzese che è ha vinto il Global Impact Challenge e relativa borsa di studio, come abbiamo raccontato ques'estate ha seguito dei corsi con i guru della Silicon Valley e realizzato il "compito" di fine corso.

Ebbene, siamo al capitolo finale e lasciamo che ci racconti com'è andata.

Scrive Biffi.

Si è conclusa da qualche settimana la mia esperienza americana presso Singularity University che per me ha significato, soprattutto, concentrare tempo ed energie su un progetto da molto tempo nei mie pensieri, ma a cui non avevo avuto ancora occasione di dedicarmi.

Il Graduate Studies Program come avrete intuito è stato diviso in due fasi: nelle prime settimane abbiamo avuto incontri, conferenze ed esercizi su numerose tematiche, le ultime cinque sono state invece interamente dedicate allo sviluppo dei progetti che ogni gruppo avrebbe dovuto presentare a fine corso e che una giuria avrebbe votato, scegliendone un numero ristretto da presentare come emblematici.

Devo dire che la competizione si è fatta sentire, soprattutto tra i progetti a tema medicale, un'area di lavoro che ha generato più interesse rispetto ad altre, come ad esempio quella della sicurezza, dell'education o dei disastri naturali. Il ritmo serrato e il senso di corsa contro il tempo ha segnato le giornate (e le notti) di tutti, con team che rimanevano a lavorare fino alle 5 del mattino tra prototipi da costruire – fondamentali per non essere squalificati – esperti da intervistare, proiezioni finanziarie, sviluppo di metriche per la misurazione dell’impatto, marketing e altro ancora.

Da testarda come sono, fin dai primi giorni a Singularity ho deciso di lavorare all'idea di un sistema di identificazione delle mine antiuomo, a prescindere dalla poca popolarità che un tema come questo riscontrava. Non mi sono però fermata e, prima lavorando da sola e poi in collaborazione con due mie compagne di classe (Lorenn Ruster e Shirley Andrade), ho dato vita a Bibak (www.bibak.org) e ai nostri sensori, un progetto scelto tra i 5 migliori di quest'anno tra i 23 presentati da una giuria composta da tecnici, investitori, giornalisti e imprenditori. Abbiamo avuto così modo di presentare Bibak al Museo della Storia del Computer di Palo Alto, durante la cerimonia di chiusura.
tomshw.it- il team Bibak




Bibak è davvero solo agli inizi, ma l'obiettivo è ambizioso: aiutare le comunità che si ritrovano, dopo un conflitto, a dover far fronte alle mine sparse sul loro territorio, con i relativi rischi che ne derivano e l'impossibilità di portare avanti attività come agricoltura o la ricostruzione di infrastrutture quali scuole e strade. Non è un problema da poco questo, dato che statistiche delle Nazioni Unite parlano di 110 milioni di mine sparse in oltre 70 paesi, e che uccidono o mutilano 20,000 persone l’anno, il 47% dei quali bambini.

Bibak sta dunque lavorando su una serie di sensori in grado di identificare mine antiuomo, che possano essere facilmente assemblati in loco e, una volta che lo sminamento è stato effettuato, possano essere riconvertiti ad altro uso utile alla comunità (per esempio trasformandoli in parte di un generatore per l’energia o per regolare il flusso di acqua utilizzato in agricoltura). I sensori sono modulari e possono essere attaccati a qualsiasi cosa, da bastoni a rastrelli fino ai droni.

Oltre a Bibak sono stati selezionati altri 4 progetti, di cui due con finalità mediche: un marcatore della saliva e un marcatore del sangue, a cui sta già guardando una importante multinazionale come Procter and Gamble, per l'individuazione entrambi di malattie, valori, carenze etc.. Di tipo più ingegneristico invece l'apparecchio acustico per anziani in grado di svolgere più funzioni: riconoscere le persone dal timbro della voce, chiamare i soccorsi in caso di emergenza e fare da promemoria. In ultimo, una stampante 3D studiata ad hoc per la costruzione di edifici, applicabile direttamente sulle gru e in grado di "stampare" vere e proprie case.

Cosa succederà a queste startup, dato che Singularity per noi è finita, dipende molto da ogni team e, nonostante il ritorno a casa, la voglia di continuare a sperimentare, provare e migliorare i nostri prototipi è davvero tanta. Nel mio caso, continuo ad assemblare il team – che al momento conta su imprenditori sociali, ingegneri, makers e sminatori – e a migliorare i sensori con l'intento di testarli direttamente sul campo a breve, quando sarò di ritorno a Kabul dove prosegue anche The Qessa Academy, la scuola per il recupero del patrimonio culturale che ho fondato l’anno scorso, e che insegna a dà lavoro a ragazzi disoccupati.

In Italia comincia invece un nuovo progetto a Nola e continua anche il lavoro dei videogiochi sulla scienza con Spillover; da novembre avvieremo inoltre il progetto EduCHANGE Spillover in cooperazione con AIESEC Italia, un programma educativo rivolto alle scuole pubbliche secondarie di primo grado che prevede uno speciale tutoring di universitari provenienti dall'estero attraverso laboratori di animazione scientifica.

Insomma, i prossimi mesi saranno tutto fuorchè noiosi, grazie anche a Singularity.

Spero di avervi incuriosito raccontandovi un po' della mia esperienza in California e chissà, magari tra voi lettori c'è il prossimo vincitore della Global Impact Competition 2015.

Aggiornamento. Pubblichiamo di seguito alcune precisazioni da parte dell'ufficio stampa di Bibak:

- Selene Biffi ha 12 anni sul campo e un'esperienza legata alla creazione di tecnologie per lo sviluppo e per l'istruzione, attualmente sta formando un team che ad oggi è composto, oltre che da lei e dalle altre 2 co-fondatrici del progetto, da vari professionisti tra cui: ingegneri, chimici, makers, sminatori con trent'anni di esperienza sul campo e personale sia di ONG che militare dedito allo sminamento. Questi professionisti hanno collaborato allo sviluppo del prototipo, ognuno con il suo know-how, e continuano ad assistere Bibak nel suo percorso con disponibilità, serietà e professionalità.

- il processo di sminamento è difficile, lungo e costoso, e impiega sminatori in grado di coprire tra i 50 e i 150 m2 al giorno con l'utilizzo, di prassi, di un metal detector e, ove possibile, di cani o ratti. La pratica di utilizzo del metal detector - poco e' cambiato dalla metodologia utilizzata a partire dalla Seconda Guerra Mondiale - è oggi coadiuvata da GPR. Nella maggior parte dei casi gli sminatori ricevono in media tra le 2 e le 4 settimane di training (parliamo di humanitarian demining, lavoro di cui si occupano circa 340 NGO al mondo e a cui si dedica anche Bibak, che non riguarda lo sminamento di tipo militare); in genere si tratta di persone della popolazione dei Paesi affetti e che, in posti come Sri Lanka o Angola, guadagna $250 al mese rischiando la vita tutti i giorni (i dati utilizzati qui e nell'articolo sono ripresi da fonti quali Nazioni Unite, Mine Advisory Group e dal Geneva International Humanitarian Demining Centre).

- i sensori sviluppati in Singularity University erano comprensivi di un metal detector, di un sensore per il nitrogeno (uno dei componenti che si degrada per primo nelle mine, e che i cani e i ratti sono addestrati a fiutare come componente del TNT, uno dei due tipi di esplosivi principali usati nelle mine, siano esse di metallo, plastica o legno) e di un GPR basico. Il prototipo iniziale e' stato montato e testato, siamo ora in fase di miglioramento, per arrivare alla prova sul campo, tra qualche settimana, per i primi test effettivi.

- I sensori usati uniscono varie tecnologie già testate individualmente e accettate come prassi dalla comunità internazionale; la possibilità di aggiungere nuovi sensori più avanzati tecnologicamente è al momento in fase di analisi. È infatti purtroppo una prassi, quella che vede ricerche promettenti in questo ambito non arrivare mai sul campo, un po' per mancanza di fondi e un po' per mancanza di volontà. Con Bibak intendiamo rendere metodi comprovati e ricerca ad alto potenziale disponibile a chi ne ha più bisogno - le comunità che si ritrovano a fronteggiare la piaga delle mine quotidianamente - creando così occupazione, skills tecniche e la possibilità di contribuire direttamente allo sviluppo locale.

- i sensori, oltre che riciclabili (possono essere trasformati in parte di un generatore per l'energia o per regolare il flusso dell'acqua in agricoltura), sono pensati per essere sviluppati ad un costo contenuto e con parti facilmente assemblabili e reperibili, una cambio radicale rispetto agli attuali costi di accesso di metal detector (dai $2,600 ai $16,000), e macchinari vari come trattori e thrashers (dai $50,000 ai $300,000).


Considerata la delicatezza dell'argomento abbiamo ritenuto opportuno fornire maggiori informazioni e approfondire alcuni dettagli. Vi terremo aggiornati sullo sviluppo del progetto. Fonte: http://www.tomshw.it/cont/news/bibak-la-startup-che-vuole-sminare-il-mondo/59209/1.html

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