di Emanuele Rossi
Le granate provengono dalla Cina o dalla Bulgaria. I mortai
dal Sudan, mentre i lanciarazzi sono iraniani. Il giro tra Spagna e Camerun per
i fucili, per i proiettili invece arrivano dla contrabbando inglese, o ceco o
belga.Secondo un rapporto compilato dal Conflict Armament Reaserch per l’Unione europea, le granate “Type 82-2″ (bombe a mano) sono così comuni nella Repubblica Centrafricana che possono
essere acquistate con prezzi anche inferiori ad un dollaro (fino a 50 cents):
«A meno di una bottiglia di Coca Cola».Sono armamenti piccoli, facilmente
trasportabili in grosse quantità, e, altrettanto facilmente, utilizzabili e
maneggiabili. Durante la guerra civile scatenata nel 2013 dai Seleka, una
colazione di ribelli in gran parte musulmani, sono state proprio le Type 82-2
ad avere il più alto
impatto sulla condizioni di sicurezza. Molti degli attacchi ─ dei morti e dei feriti, alcuni orribilmente
mutilati ─ a Bangui, la capitale del
paese, scenario del rovesciamento di potere, sono avvenuti attraverso l’utilizzo di queste bombe,
piccole e occultabili, quanto letali.Un lotto di oltre 25.000 “Type 82-2″
di una spedizione del 2006 è
stata tracciata dai ricercatori, fabbricato in Cina, e , stante al
confezionamento, destinato ai “Royal
Nepalese Army Headquarters” ─ anche se l’esercito nepalese precisò di non utilizzare questo
genere di bombe.Alcune delle armi finite in mano ai ribelli, sarebbero state
saccheggiate dagli arsenali governativi, altre contrabbandate da mercanti
stranieri attraverso i porosi confini del paese. Molte altre, sono entrate
dagli stati vicini, per primo il Sudan, nonostante sia sottoposto a sanzioni
.La guerra civile che da due anni sfianca la Repubblica Centrafricana, è un’emorragia
infinita di morte e distruzione, apparentemente senza soluzione. I Seleka, i
ribelli, hanno attirato nel territorio centrafricano combattenti dal vicino
Sudan e dal Ciad, tutti accattivati dal progetto di trasformare il paese in uno
stato islamico. Bambini soldato, villaggi bruciati, violenze, esecuzioni a
colpi di machete. I cristiani, i cosiddetti anti-balaka (anti-machete), hanno
risposto in modo altrettanto sanguinoso, bruciando moschee, lapidando i nemici,
profanandone a morsi i cadaveri. Cinque mila le vittime accertate, oltre un
milione e mezzo gli sfollati: questi i numeri, in crescita, dell’emergenza
umanitaria.Tutto avviene in un paese ricco di risorse nel sottosuolo (petrolio,
oro, diamanti), ma poverissimo in superficie. Il 60 per cento della popolazione
vive con 1.25 dollari al giorno. L’indice di sviluppo umano (indicatore di
sviluppo macroeconomico utilizzato dall’Onu) è di 0.384: cioè il 171° paese su
177. L’analfabetismo si appaia alla povertà endemica e alla diffusione di ceppi
virali come malaria e lebbra (sembra quasi un miracolo che ancora non sia
ancora arrivata ebola).Nel settembre 2014 è arrivato il primo contingente di
peacekeeper delle Nazioni Unite (Eufor RCA risoluzione Onu 2134), per
sostituire le truppe dell’Unione Africana che avrebbero dovuto garantire la
stabilità del paese.Tra i loro compiti, permettere la mobilità delle forze
europee (già presenti sul posto prima dei Caschi blu), bonificare di residuati
bellici, la realizzazione di lavori infrastrutturali di base in favore dei
civili e del governo locale e, appunto, il monitoraggio dei traffici di
armi.Vent’anni fa fu hutu contro tutsi in Ruanda, oggi c’è il rischio di un
nuovo genocidio, quello incrociato tra cristiani e musulmani a Bangui: guerre
fomentate dall’odio religioso, razziale, settario, e veicolate dalla facilità
con cui in certe parti del mondo, come l’Africa, si arriva a disporre di
un’arma. Fonte: http://www.formiche.net/2015/01/24/benvenuti-centra-africa-dove-unarma-costa-meno-cena/
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